I talebani sono cambiati con Abdul Ghani Baradar?

I talebani sono cambiati con Abdul Ghani Baradar?

di Daniela Piesco

I talebani sono un esempio di sistema politico che non conosce il concetto di democrazia e che rifiuta di confrontarsi ideologicamente con la modernità.

L’unica linea di persuasione ,che l’uso della forza non ha aiutato ,poteva consistere nello smorzare il veleno del radicalismo religioso con l’analisi accurata di tutte le radici teologico-politiche musulmane per vedere fino a che punto sarebbero state operabili delle mediazioni con quello che sta alla base del concetto democratico occidentale.

Ma adesso tutto è cambiato.

La bandiera della Repubblica afghana ai tempi della Nato viene arrotolata al momento dell’ingresso dei Taleban nei palazzi del potere a Kabul.

I talebani sono cambiati?
Abbiamo idea di come sarà un governo talebano?

I talebani governano l’Afghanistan tra il 1996 e il 2002 e lasciano,senza dubbi, un triste ricordo.Ci sono due modi per cercare di rispondere: uno è guardare a come hanno già governato e l’altro è prendendoli in parola.

Un “governo islamico può essere inclusivo”?

I riferimenti all’Islam e alla Sharia sono al centro del movimento talebano e, soprattutto, sono visti come l’unica cosa che unisce un Paese composto da diverse nazionalità.

Cosa unisce difatti tutte le popolazioni dei pashtun, degli uzbeki, dei tagiki e persino degli hazara sciiti?

L‘ Islam.

Come ho scritto in un precedente articolo (https://www.progetto-radici.it/2021/08/16/kabul-cronistoria-di-unabbandono/) bisogna ricordare che l’Islam non funziona come il Cristianesimo. Per quanto difficile possa essere alla mente di un cristiano, nell’Islam non esiste la scissione tra vita sociale, ossia l’appartenere alla comunità politica, economica e quotidiana di un individuo e il momento religioso.

In Italia, cristianità e vita quotidiana possono o meno coincidere; nell’Islam tutto è un’unica amalgama e credere nei testi sacri arriva necessariamente a regolare ogni singolo aspetto della vita privata e di comunità.

Per questo, per un fattore culturale che esiste da sempre, un talebano che crede nella ijtihād non potrà mai scindere la propria vita da quella della comunità, né la religione in cui crede dal proprio essere umano e dal proprio affacciarsi al mondo.

Da qui si può facilmente capire quanto la vita sociale, politica e giuridica di un islamico sia strettamente legata alla religione, cosa che non avviene nel Cristianesimo. Secondo l’ijtihād sono invece i testi sacri a dettare perfino le norme giuridiche di un popolo.

Cosa sta succedendo?

Forse i talebani stanno capendo che la loro riluttanza degli anni 2000 a creare uno Stato è costata loro cara: senza ancoraggi amministrativi o territoriali diversi dalle loro comunità di origine, il loro sgombero da parte degli americani è stato tanto più facile.

Chiaramente, i talebani oggi vogliono continuare e quindi installare un regime nelle loro mani. Fondamentalmente, hanno in mente la resilienza del regime della vicina Repubblica Islamica dell’Iran, che ha saldamente il controllo del Paese da più di 40 anni.

Chi sono oggi i leader dei Talebani?

A differenza di altri movimenti jihadisti, non esiste un ramo politico separato da quello militare. D’altra parte, una squadra composta da pochi leader si occupa da anni delle trattative con lo straniero proveniente dall’estero.

Concretamente, dalla rappresentanza permanente dei talebani in Qatar.

Al loro interno c’è un “primus inter pares”: Abdul Ghani Baradar, che ha negoziato l’accordo del febbraio 2020 con gli americani e che domenica è tornato in Afghanistan.

Si dice che sia pragmatico e piuttosto aperto a tutti i negoziati. Quello che è certo è che a lui dobbiamo tutti i compromessi e le promesse fatte con i Paesi che, domani, peseranno sul futuro del Paese: Iran, Russia, Cina, Pakistan e persino Stati Uniti.

È lui a promettere di non fare del suo Emirato islamico un rifugio per i jihadisti internazionali e tanto meno per lo Stato Islamico, nemico mortale.

Ora inizia la parte più difficile: gestire un Paese complesso di 40 milioni di anime.

Ma chi è Abdul Ghani Baradar?

Nasce nel 1968 nella provincia di Uruzgan e negli anni ‘80 combatte al fianco dei mujaheddin contro i sovietici.

Con la cacciata dei russi nel 1992 e la fiammata della guerra civile in Afghanistan, Baradar istituìsce insieme all’ex comandante Mohammad Omar una ‘madrasa‘a Kandahar, cioè una scuola musulmana dove si impartiscono insegnamenti di religione e diritto. Nel 2010 viene arrestato dalle autorità pakistane a Karachi quando già è diventato una leggenda.

Nel 2018 i Talebani afghani ne annunciano la scarcerazione e iniziano i tentativi statunitensi di far ripartire i colloqui di pace tra il movimento e il governo di Kabul. L’anno successivo Abdul Ghani Baradar viene nominato a capo dell’ufficio politico dei Taleban a Doha, in Qatar, cioè la sede per i colloqui di pace. Così nel 2020 partecipa alla firma dell’accordo con gli Usa ma va detto che lo scorso luglio si è recato in Cina per incontrare a Tianjin il ministro degli Esteri della massima potenza asiatica, Wang Yi.

Nei giorni scorsi il mullah Baradar (che letteralmente significa ‘fratello’) ha promesso serenità a tutta la nazione afghana..

Intanto in Europa :Priti Patel chiede agli altri stati dell’Ue di aiutare a ospitare i rifugiati afghani

Priti Patel esorta i paesi europei a dare asilo agli afghani in fuga dai talebani annunciando che la Gran Bretagna concederà asilo a 20.000 rifugiati.

L’appello del ministro dell’Interno arriva tra i timori in Europa che il numero di afghani che cercano di fuggire dai talebani potrebbe causare una nuova crisi migratoria in tutto il continente.

Emmanuel Macron, il presidente francese, avverte ,nel contempo, di “flussi migratori irregolari” dall’Afghanistan e afferma che Francia, Germania e altri paesi dell’UE stanno lavorando a una risposta coordinata.

Angela Merkel, la cancelliera tedesca, appoggia le proposte per i rifugiati in fuga dall’Afghanistan di essere curati nei paesi vicini, aggiungendo: “Poi possiamo pensare, come secondo passo, se le persone particolarmente colpite possono essere portate in Europa in modo controllato. ”.

La Grecia ,infine, afferma di non voler essere il punto di ingresso per una nuova ondata di afghani in fuga verso l’Europa.

Per Patel ,in sintesi, la Gran Bretagna non può agire da sola: “Anche il Regno Unito sta facendo del suo meglio per incoraggiare altri paesi ad aiutare. Non solo vogliamo dare l’esempio, ma non possiamo farlo da solo

E dunque si spera che , dopo il più grande fallimento del 21 esimo secolo , almeno il resto del mondo sostenga il fianco di coloro le cui luci della Libertà sono state spente.

E forse per sempre .

Daniela Piesco Vice Direttore Radici

(daniela.piesco1975@gmail.com)

Redazione

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