Benfica-Inter: La pazzia, l’incoscienza, l’allegria
di Fil De Fazio
Tra le regole scritte nel regolamento dell’International Football Association Board non lo troverete, ma normalmente quando un allenatore si dispone a schierare una squadra sperimentale (sulla definizione “squadra sperimentale” si rimanda al noto compendio “come rovinarsi un torneo in cinque mosse”) lo fa perché vuol vedere l’effetto che fa, non certo per vincere la partita che va ad affrontare.
Prendi tre gol in una dozzina da minuti, in ossequio all’adagio per cui il gol dell’ex è più che una sentenza e quindi l’ingrato di turno ti fa non uno, ma tutte e tre le reti che ti ritrovi sul groppone? Ebbene, sappiatelo: sono dettagli di nessun conto. Non si guardi alla figura barbini ma piuttosto gli spunti tattici, alle prestazioni dei giovinastri, al modo che assumono i rincalzi di muoversi in campo. E questa è la teoria.
Poi però quando vedi la tua squadra procedere spedita verso un’indegna imbarcata, il muso lo storci parecchio, anche se ti ci eri preparato.
Se poi si va nella fattispecie che riguarda i fatti nostri, vedi Joao Mario (no, dico. Joao Mario) decidere di vendicarsi di non si sa cosa e prendersi il lusso di bucare il povero Audero per tre volte in poco più di mezz’ora. Come fai a non imbufalirti abbestia? Possibile che non si possa fare meglio di quello scempio? E quindi ti ritrovi a fare il rewind di tutte le partite in cui Inzaghi abbia attutato – giocoforza con incontri cruciali ad attendere la squadra sullo sfondo – il benedetto turnover. Quasi sempre è coinciso con prestazioni deludenti e risultati quantomeno altalenanti. Tutto questo non dà forza al sospetto che Inzaghi se non si fida troppo – che ne so – di un Asslani, una certa parte di ragione ce l’abbia?
“Inzaghi non tiene nella giusta considerazione i giovani”, è il ritornello che si sente negli ambienti dei Bar dello Sport. Gli avventori di certi locali sono per definizione inaffidabili nelle loro strampalate statistiche, si sa. Se il buon Inzaghi non vede di buon occhio i suoi garzoncelli non è cosa che si possa sapere per certa. Ma di certo c’è che se poi quelle volte che azzarda a schierare una linea verde finisce a carte e quarantotto, ecco che il tecnico mi si avvilisce, si costituisce parte civile come parte lesa, e la prossima volta si affiderà ai soli veterani.
D’altra parte è pure vero che Asslani, Bisseck, Sanchez, Klaassen e Arnautovic probabilmente non hanno mai giocato insieme neanche una Candelora’s Cup. Come si pretendeva che potessero opporsi al tourbillon dei lusitani? Il risultato era scontato: due passaggi completati di seguito? Manco a parlarne. Pericoli portati alla porta di Trubin? Già tanto se si è superato il centrocampo.
Il Benfica, in quel marasma generale ci è andato a nozze, e non si è fatto certo intenerire dallo sguardo smarrito del povero Audero, alla sua prima presenza ufficiale nell’Inter e capitato suo malgrado nel bel mezzo di una tempesta perfetta. A raccoglier palloni in fondo alla rete per tre volte, roba che a furia di chinarti ne esci con la schiena distrutta.
Game, set, partita, per dirla nel gergo tennistico, al giorno d’oggi tornato tanto in auge.
Immagino la tentazione di cambiar canale degli amici interisti davanti alla tv: palpabile sul due a zero, tetragona dopo il terzo.
Cosa che ha fatto il nostro corrispondente da Lisbona che alla malaparata ha telato, guadagnando in scioltezza l’uscita del Gate 24/A dell’Estadio da Luz. Ha indicato ad uno svogliato tassista afghano l’aeroporto di Lisbona, gongolando all’idea di raggiungere prima del previsto Milano ove, con un po’ di fortuna, avrebbe trovato ancora aperta un’osteria in grado di organizzargli un succulento ossobuco alla milanese.
Mal glien’è colto, a quell’incauto perché per la sua frettolosità e nel suo approssimativo modo di considerare gli eventi che riguardano l’Inter, si è perso il meraviglioso lato B di un disco che aveva giudicato – colpevolmente – già al secondo accordo, un “ignobile ciarpame”.
Invece il secondo tempo dell’Inter è stata pura sinfonia. Arnautovic, rinato dai suoi muscoli di seta ha guidato la riscossa con un gol di pura rapina all’alba della ripresa seguito, giusto cinque minuti dopo, da una flipperata di Frattesi, che fino a quel momento aveva corso tanto ma a vuoto, ha dato la stura alla rimonta interista.
Il Benfica è rimasto a guardare, incredulo, quell’undici che aveva di fronte, così diverso eppur così uguale all’avversario dei precedenti quarantacinque minuti. Con la mansuetudine del tremante agnellino prima del sacrificio, si è consegnato all’avversario, in attesa del colpo fatale.
Ci ha pensato Thuram, chiamato a guarire l’anemia di Sanchez, a seminare il panico tra i difensori portoghesi che hanno abboccato a tutte le sue serpentine. Otamendi pensava di aver intravisto un pallone tra i piedi del francese ma era un inganno, quel pallone una frazione di secondo dopo non c’era più. Al suo posto, il piede destro dell’attaccante interista. L’arbitro ha solennemente indicato il dischetto.
Il reo ha protestato inutilmente. Inutilmente perché l’aggancio malandrino c’era, per quanto di lieve entità, poi perché così facendo ha trasmesso la sua rabbiosa impotenza a tutta la squadra.
Obnubilato dagli eventi avversi, il Benfica non ha capito che dal 65esimo minuto il suo avversario si era trasfigurato e aveva innestato la marcia per l’allungo. Barella aveva rilevato un fumoso Klaassen, lo stesso Thuram era entrato al posto di Arnautovic, volenteroso ma con pochi minuti nelle gambe. Più tardi si uniranno all’assalto finale Dimarco e Lautaro Martinez.
All’ottantaseiesimo il Benfica sbracava definitivamente, facendosi espellere Antonio Silva, per un fallo assassino su Barella. Era il segnale che confidando sulle energie residue si poteva provare a portare a casa ben più di un risicato e miracoloso pareggio. Purtroppo una botta al 94esimo di Barella pescato da un cross di Dimarco all’altezza del dischetto del rigore, si schiantava contro il palo alla destra di Trubin.
Il Benfica non avrebbe meritato la sconfitta, come non l’avrebbe meritata l’Inter che si sono divise equamente il dominio delle frazioni di gioco. Il pareggio è salomonicamente il verdetto più consono al balzano andamento del match.
Una volta arrivato a Milano il nostro corrispondente da Lisbona ha appreso del rocambolesco pareggio davanti ad un vecchio Mivar a 14 pollici, una flaccida pizza margherita, e una birra alla spina, sciapa e sgasata della premiata Pizzeria da Ramsete, in zona Porta Genova. Voce circostanziate riferiscono che il licenziamento del reporter arriverà a breve giro di posta.
Alla conta, si scoprono in molti ad aver motivo di mangiarsi le mani fino ai gomiti. Gli austriaci Salisburghesi, che visto il tipo di formazione scelta da Inzaghi hanno avuto plastica conferma di quello che da sempre pensano degli italiani: sleali e inaffidabili; i “supporter” delle “Aguias”, che neanche stavolta hanno visto la loro amata vincere, malgrado fosse così vicina; infine, lo stesso Inzaghi, che quando ha scoperto che, con un pizzico di prudenza in meno e qualche titolare in più dal primo minuto, avrebbe potuto contare su due risultati validi su tre nel prossimo scontro diretto contro la Real Sociedad. Peccato.
foto radiosportiva.com