Rullo di Tamburri
“Negli anni, il Calandra si è sviluppato fino ad abbracciare una serie di obiettivi molto più ampi. L’Istituto svolge oggi attività di ricerca ed organizza eventi aperti al pubblico a titolo gratuito. Pubblica anche una rivista accademica semestrale, l’Italian American Review e ha uno staff composto da diciassette dipendenti e quattro consulenti.
Produce programmi TV via cavo disponibili su CUNY TV e su YouTube, che si concentrano su argomenti legati alla cultura italoamericana e la sua biblioteca ospita numerose raccolte accademiche di libri e riviste relative alla storia della diaspora italiana.”
A raccontarcelo è Anthony Tamburri, Distinguished Professor of European Languages and Literatures, che del Calandra è il “Dean”, il preside.
A tutti gli effetti il Direttore.
Nato nel ’49 a Stanford, in Connecticut, con studi in California a Berkeley e a Firenze, dopo aver insegnato alla Purdue University e alla Florida Atlantic University, è a New York dal 2006, ma ama definirsi ancora uno “Yankee Fan”.
“La nostra missione è promuovere e studiare la cultura degli italiani d’America. L’istituto nasce da un reportage, datato 1978, che sottolineava come il tasso di chi non finiva l’università tra gli italoamericani fosse altissimo. Erano i terzi in classifica, dopo afroamericani e latini, con il 22%. Oggi siamo intorno al 7%, una differenza abissale”.
Tamburri parla come un libro aperto della letteratura italoamericana: “Inizia in lingua italiana, nel 1885, ma nonostante questo gli studiosi vogliono vedere la letteratura italiana come un prodotto confinato nella penisola, snobbando quello che c’è al di fuori. Noi abbiamo sempre avuto, qui negli Stati Uniti, scrittori in lingua italiana, che non venivano riconosciuti né in Italia né negli Usa. Questo trend è un po’ cambiato negli ultimi anni e gli esperti stanno cominciando a parlare di questa letteratura in lingua italiana prodotta oltreoceano”.
E sullo snobismo rincara la dose: “C’è un continuo stereotipo dell’italiano in America come ignorante, cafone e piccolo mafiosetto. Lo si vede bene nel film My name is Tanino, girato nel 2002 da Paolo Virzì”.
Ma nonostante queste barriere culturali, il Calandra continua a lavorare incessantemente. Lo ha fatto anche con la pandemia, spostandosi online. Non era una novità per loro, che già nel 2012 trasmettano in live streaming alcuni degli eventi. L’avvento del Covid non li ha dunque presi alla sprovvista, ma gli ha anzi permesso di aumentare le iniziative e accrescere il proprio pubblico.
“Anche perché il Calandra – racconta Tamburri – in fin dei conti è un istituto di ricerca e vuole che il suo pubblico riesca a capire l’impegno che c’è dietro ogni progetto. Troppe volte vediamo dalla comunità la creazione di certe narrative che storicamente non hanno nessuna base di fondo, ad esempio quando si parla della statua di New York di Cristoforo Colombo a Columbus Circle. Quella è indubbiamente un simbolo degli italoamericani, però non è un risultato del linciaggio del 1891 (quello di New Orleans, quando una folla inferocita linciò 11 immigrati italiani), cosa che molti dicono. Che importanza ha correggerli? Molta, perché è fondamentale conoscere la storia esatta. Partendo da un antefatto sbagliato non si arriva mai a raccontare i fatti corretti. Per me Colombo è ancora un figura su cui discutere. Non ho nessun problema con certe statue, però bisogna capirne e studiarne l’origine”.
E proprio su questi temi il Calandra, ora che la pandemia si sta affievolendo, è deciso a riprendere le attività a pieno ritmo. Sono diverse le iniziative pensate per diffondere la cultura italoamericana, che prevedono nuove pubblicazioni ed eventi accademici. C’è tanto da imparare e ancor di più da scoprire.
“Vorrei che i simboli spingessero gli italoamericani a studiare di più la storia degli Stati Uniti – conclude Tamburri – e così la loro storia migratoria. Dobbiamo tutti domandarci “perché siamo qui?”. Potremmo capire molte cose di noi stessi e forse anche degli altri””.