“Ti Presento: Maria Sica”
Di Annalisa Spinelli
Oggi,per la Rubrica ” Ti presento”, ho il piacere di parlarvi della direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura a Stoccolma, Maria Sica, attraverso un’intervista che le ho fatto. Il mio obiettivo, attraverso la sua intervista, è di informare i lettori, per quanti non ne fossero ancora a conoscenza, anche delle funzioni dell’Istituto Italiano di cultura all’estero, che è un organo periferico del Ministero degli Affari Esteri. Il suo compito è quello di promuovere la cultura italiana nel paese in cui si trova stabilendo contatti con le istituzioni e gli enti culturali del luogo, promuovendo iniziative culturali, insegnando la lingua italiana avvalendosi di lettori italiani.
La direttrice vi presenterà sapientemente l’Istituto di Stoccolma e vi racconterà della sua storia, infatti esso rappresenta un grande vanto per noi italiani qui in Svezia. Vi parlerà dei futuri progetti e delle sue esperienze, ma anche del rapporto degli svedesi con la cultura italiana e specularmente del rapporto degli italiani con l’Istituto. La direttrice prima di arrivare a Stoccolma ha svolto le funzioni di Addetto presso l’Istituto di Cultura di Mosca dal 2007 al 2013 e di Direttore presso l’Istituto di Cultura a Zagabria dal 2013 al 2016. Nel 2017 ha lavorato presso la Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO. Ha al suo attivo articoli pubblicati su riviste di settore e il volume Breve storia dei rapporti culturali italo-giapponesi e dell’Istituto italiano di cultura di Tokyo, 1999 Longhi editore.Ringrazio la Direttrice per questa intervista perché anche se non ci siamo potute incontrare per via della pandemia, abbiamo tenuto una buona corrispondenza elettronica.
L’intervista:
Il progetto per la realizzazione dell’Istituto porta l’illustre firma di Giò Ponti, ce ne vuole parlare?
L’ Istituto venne inaugurato il 24 novembre 1958 alla presenza del re di Svezia Gustavo VI Adolfo. Nacque dal genio dell’architetto e designer Giò Ponti e Carlo Maurilio Lerici che lo volle autore del progetto. È perció frutto di un dialogo tra due mondi, l’imprenditoria e l’architettura ed è nato come espressione di un’opera d’arte totale: l’architettura, gli arredi e anche i più piccoli dettagli incarnano nella loro globalità quei valori umanistici che legarono in un unico progetto Giò Ponti e Carlo Maurilio Lerici, industriale dell’acciaio, che ne sostenne la maggior parte dei costi di realizzazione. La nuova sede dell’Istituto, che precedentemente si trovava in un appartamento di Linnegatan, vide inoltre gli interventi di Pierluigi Nervi per il soffitto a losanghe luminose dell’auditorium, e di Ferruccio Rossetti per l’ampliamento dell’atrio. Ancora oggi la presenza degli arredi, delle luci, dei materiali originali dell’epoca e dei colori, la cui scelta era parte integrante del progetto di Ponti, nonché la destinazione d’uso rimasta immutata in questi 63 anni, ne fanno un unicum nella storia dell’architettura italiana nel mondo e nell’opera di Ponti.
Cosa pensano gli svedesi della cultura italiana e verso quali iniziative si sono dimostrati più attratti e partecipi?
Gli Svedesi amano profondamente la cultura italiana e nel corso di questi anni, fino allo scoppio dell’emergenza pandemica, hanno frequentato la nostra sede dimostrando di apprezzare sia iniziative di tipo più tradizionale, di ambito musicale ad esempio, quanto eventi dedicati ad aspetti e linguaggi della cultura contemporanea italiana. Penso a serate che hanno visto l’inaugurazione di installazioni di arte contemporanea sulla facciata del nostro edificio o anche a manifestazioni dedicate all’architettura e al design italiano, che qui sono molto seguiti e suscitano sempre grande interesse.
Ultimamente l’Istituto ha posto in essere un’iniziativa a Stoccolma molto importante: portare la poesia italiana tra gli svedesi in un modo particolare, ci vuole parlare di questo progetto e come è nata l’idea?
In un momento in cui, di fronte all’emergenza pandemica, tutti siamo colpiti da un’ansia del vivere, il messaggio positivo e incoraggiante espresso dalla selezione di testi poetici che abbiamo scelto desidera restituire nuova forza alla speranza, che in questo momento dobbiamo considerare una virtù obbligatoria, e aiutare a ritrovare energia e capacità di resistenza dentro di noi.
Vuole darci qualche anticipazione di futuri progetti?
Anche quest’anno, come il precedente, ci vede impegnati in una programmazione che deve necessariamente fare i conti con le restrizioni imposte dalla pandemia e che quindi non prevede, per il momento, eventi all’interno dei nostri spazi. Abbiamo allora programmato iniziative che si avvalgono di modalità di comunicazione differenti e che possono comunque arrivare al pubblico svedese. Penso, ad esempio, ad una rassegna di film dedicata al design italiano che andrà in onda su una piattaforma streaming, ad una serie di progetti in digitale che spazia dal mondo classico a grandi temi di architettura che pongono Italia e Svezia in relazione strettissima, alla pubblicazione in svedese di antologie poetiche dedicata a poetesse italiane del XX e XXI secolo, a webinar che vedono confrontarsi su temi di grande attualita’ studiosi dei due Paesi, portando così avanti quella missione di promozione della nostra cultura ma anche di scambio culturale alla base della civile convivenza tra i popoli.
Come è il rapporto della comunità italiana con l’Istituto e i suoi progetti?
Le nostre iniziative si rivolgono sempre a tutti, agli Italiani residenti in Svezia e al pubblico svedese. Quello che proponiamo rappresenta sempre il risultato di una scelta attenta che ha nella qualitá e pertinenza due criteri imprescindibili.
Naturalmente lavoriamo per accrescere sempre di più la nostra audience e far sì che l’Italia venga percepita come un Paese di cui non si apprezzi soltanto la storia e l’immenso patrimonio culturale ma anche i talenti, la creatività, i giovani artisti e i nuovi ambiti di ricerca.
Cosa pensa della sua esperienza in Svezia e quali sono le differenze con le altri sedi nelle quali e’ stata?
Ogni Paese ha la sua storia, i suoi ritmi e il suo DNA. Questa è la parte che maggiormente mi appassiona e mi coinvolge di questo lavoro. Nessun Paese è mai uguale ad un altro e quindi ogni volta bisogna azzerare tutto e partire dall’inizio, cercando di capire quali sono i fili da riannodare, ascoltarne le sintonie e le dissonanze. Ho lavorato per molti anni in Russia, dove è facile riconoscere un autentico amore per la cultura italiana, in Croazia, dove risiede una comunità italiana autoctona e dove entrambi i Paesi si affacciano sullo stesso mare.
La Svezia mi ha proposto un modello di vita sicuramente differente rispetto agli altri Paesi dove ho lavorato, ma la sensibilità che qui si registra verso temi cruciali e oggi quanto mai centrali come quelli relativi all’ambiente o alla parità di genere mi danno il privilegio di farmi sentire al posto giusto nel momento giusto e poter, ancora una volta, contribuire alle relazioni e al confronto tra il Paese che rappresento e quello in cui opero.
Annalisa Spinelli corrispondente Progetto Radici Stoccolma
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Foto a cura di Massimiliano Lacertosa