ARTE COME FILOSOFIA 9.

ARTE COME FILOSOFIA 9.
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“Enzo Guaricci – Natura Scultura”. In mostra dal 10 febbraio al 30 giugno 2024, presso la Pinacoteca Metropolitana “Corrado Giaquinto” e il “Museo Archeologico di Santa Scolastica” a Bari.
A cura di Christine Farese Sperken e Roberto Lacarbonara.

Di Andrea Cramarossa

Fig. 1. “Pesci fuor da qua” 2002 – 2024. Gesso, acrilico, plastica, luce di wood, imbuto, sonoro. Installazione ambientale.

In questa esposizione denominata “Natura Scultura”, esposizione di opere d’arte dell’artista Enzo Guaricci, vi è una forte determinazione esistenziale. L’esistenza si fa parte compositiva della materia in quanto fenomeno calato nel tempo e nello spazio e nel Tempo grande più segreto, misterioso. C’è un gioco, diremmo, artato in cui esistere è principio primario degli elementi che compongono la grammatica particellare delle opere, la molecolarità insita nell’espressione concentrica del dirsi materia, un gioco che contempla figure temporali extra – organiche, extra – frastiche, extra – artistiche. Poiché, qui, il “gioco della temporalità” si evidenzia nella sfida all’autenticità, alla relatività della presenza in-oggetto, ponendo giustamente a rischio l’oggettività del soggetto, cioè, mettendo in dubbio lo sguardo di chi guarda, pone accenti sulla plasmabilità delle forme arcaiche e di quelle contemporanee, in altre parole, apre spiragli alla visione tragica, ponendo interrogativi su cosa sia “individuo”, cosa sia “autenticità” e cosa sia “morte”.

Fig. 2. “Esodo – è sodo”, 2011. Polvere di marmo, resina, tecnica mista.

Esistere, venire fuori, alla luce, apparire, farsi corpo visibile, levarsi dalla terra per tenere, ancora, di quella terra, le brame mobili di polveri antiche, serpentine suadenti di quarzi grezzi e incantevoli, riflessi luccicanti di semi oscurità, anfratti di piccolissime spoglie di passaggi fossili. Calarsi in un fulgido segno di leggerissimo peso ma, allo sguardo, pesantissimo, di quel peso degli anni, pochi in verità, se non dei secoli nell’immaginario spinto nel vortice del gioco parallelo. C’è una forte “narrazione biblica”, così sembra, nell’apparire dei segni che si attuano anche attraverso plausibili magie, dove palloncini di “pietra” diventano leggeri come piume o dove un contrabbasso pare sia stato suonato da un Sapiens per allietare la sua famiglia nelle lunghe serate invernali in grotte preistoriche appena illuminate dalla luce lividognola di un fuocherello. Sarebbe come seguire in diretta, passo dopo passo, le gesta di un Profeta o di un Messia, perduti tra le desertiche sabbie di qualche continente, innamorati di una Natura e-statica, quasi una natura-morta che, però, traccia trame di un respiro archeologico, traccia l’enfasi della scoperta, del geroglifico addormentato nel tufo, della meraviglia che di umana natura intarsia le nostre memorie ogni volta che scopriamo la nostra splendida, meridiana, genealogia poetica.

Fig. 3. “Ma quale mare”, 2003. Gesso, pneumatico, acrilico.

Di questo patrimonio poetico, noi, siamo chiamati ad essere testimoni, più che osservatori occasionali nel passaggio tra i corridoi e le stanze dei musei. Diverso è l’incanto a cui veniamo sottoposti in questa strettoia spazio-temporale proposta da Enzo Guaricci, per rinverdire il nostro, di patrimonio, per non smettere mai di interrogarci nella serissima voluttà dell’Ignoto, ove non osiamo perderci, ove non osiamo più costruirci un “altrove”, essendo esso ormai dimensionato a oggettino-protesi-specchio di noi stessi, quel luogo – che fu – di fiaba e di leggenda che è la nostra vera salvezza. Il luogo in questione è l’oggetto del miracolo di questa mostra, dove l’arte supera se stessa, per farsi oltre-modo, oltre-fatta, e per dirsi, in realtà, in una dimensione incompiuta e sempre in movimento tra una posizione critica ed una più fuggevole, limpida, come limpido è lo sguardo della paura, in una rincorsa all’eternità e all’eternizzazione del tempo attraverso la continua stesura di poesie del frastornato ricordo, dove l’oggetto fossilizzato conduce a noi stessi nella postura della modernità, vittime consapevoli dell’abbandono in-visibile della coltre che ci ha visti nascere, crescere e morire. Le nostre “sembianze pop” intagliate nel magistrale profilo vitruviano del languido abbandono delle rimembranze.

Fig. 4. “Manuale di Etologia”, 2010. Polvere di marmo, resina.

Le opere di Guaricci gridano all’osservatore che “noi siamo nel mondo”, noi opere, certamente, ma anche noi osservatori, noi persone. Dicono di noi che siamo esistiti e che, ancora, esistiamo, per fare, forse, della nostra stessa esistenza quel capolavoro tanto riflesso nella nostra volontà e che, spesso, non possiamo vedere. Questo essere nel mondo è principio stesso di un mondo ed è anche sua coscienza e nuovo mondo come nuova storia (naturale), essendo l’oggetto in questione – quello di questa arte esposta in questo momento e che ha reso eterno il momento della visita – già storia e tradizione, cultura e religione, preghiera e infanzia, rispecchiandosi, dunque, in una possibile “coscienza naturale”, ed è in questo senso che intendo anche il titolo dato a questa retrospettiva. Resto incantato, lo confesso, dalle immagini dei olii degli anni ’70 del Guaricci riprodotti sul catalogo della mostra edito da “Sfera Edizioni”; olii esplicativi, direi, così fraterni ai rimandi di una corrente di pensiero e di espressione che avviluppò anche altri artisti attivi in quegli anni (penso a Vettor Pisani, ad esempio) ed essi a lui, e che hanno fatto della dimensione epica e onirica, la loro dimensione della verità. In questa mostra l’oggetto d’arte esposto è sempre relativo alla coscienza ma di una coscienza molteplice e vivida di strutture dinamiche significanti, come quella coscienza che ha accomunato artisti di altri tempi, proprio perché sottilmente in contatto “magico” tra di loro, poiché tutta la struttura significata è stata fatta a pezzi dai sentimenti, per renderla più leggibile, forse, o darne un movimento più prossimo alla vita e alla gioiosa vibrazione che la contiene. È questo immenso sentimento d’amore ad aver fatto grande il Tempo del guardare, in un continuo battito che muove parallelamente al vagito dell’infinito, vagito ascoltabile se accostiamo l’orecchio a ciascuna opera di Enzo Guaricci, il quale ha scelto noi osservatori quali custodi di quelle spoglie che hanno raccolto il gesso, la resina, l’acrilico, la sabbia, la terra, in uno splendore tutto umano che ci ha visti nascere all’origine dell’ordine dei Tempi, la placenta di uno spazio immenso e piccolissimo, nostro fraterno canto siderale, la misteriosa culla dell’eternità.

Andrea Cramarossa

“Enzo Guaricci – Natura Scultura”. In mostra dal 10 febbraio al 30 giugno 2024, presso la Pinacoteca Metropolitana “Corrado Giaquinto” e il “Museo Archeologico di Santa Scolastica” a Bari.
A cura di Christine Farese Sperken e Roberto Lacarbonara.

Mostra vista il 10 febbraio 2024.

Daniela Piesco

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