Il paradosso del voto iraniano

Il paradosso del voto iraniano

Per quanto possa sembrare paradossale, le dittature spesso cercano di organizzare e sfruttare dimostrazioni pubbliche e anche elezioni farsa per dimostrare la loro forza contro qualsiasi possibile minaccia.

Da un lato, le dittature considerano queste dimostrazioni di supporto popolare come un’importante vittoria propagandistica contro i loro nemici esterni. Dall’altro lato, i governi dittatoriali possono sfruttare l’apparente supporto popolare anche per scoraggiare qualsiasi protesta o ribellione interna.

Ovviamente, anche la Repubblica Islamica d’Iran ha adottato questa strategia sin dalla vittoria dei fondamentalisti durante la rivoluzione del 1979.

Nonostante le numerose violazioni dei diritti umani e la mancanza di libertà politiche fondamentali, ogni quattro anni il governo di Teheran organizza impeccabilmente le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea consultiva islamica, cioè il Parlamento iraniano, e ogni otto quelle dell’Assemblea degli Esperti, l’organo preposto alla nomina della Guida Suprema, ovvero il capo assoluto dello Stato.

In realtà, molti osservatori internazionali ed oppositori interni del regime considerano queste elezioni una farsa. La selezione dei candidati è infatti gestita dal Consiglio dei guardiani della Costituzione, un altro organo dello stato i cui membri vengono nominati direttamente dalla Guida suprema.

I guardiani della Costituzione permettono solo ai candidati graditi al regime di candidarsi e possono anche dichiarare il voto popolare invalido, qualora rappresenti una minaccia per i valori fondanti della teocrazia iraniana.

Molti sospettano inoltre che l’Iran stia diventando una dittatura ereditaria, simile alla vicina Siria, in quanto il più probabile successore di Ali Khamenei come Guida Suprema è suo figlio Mojtaba.

Le elezioni di quest’anno, in cui bisogna votare per entrambi gli organi politici, sono avvenute però in un momento particolarmente critico per il regime fondamentalista iraniano. Queste elezioni potrebbero aver dimostrato non la devozione popolare verso il regime di Teheran, ma al contrario l’impopolarità di Khamenei e del suo governo.

Queste sono infatti state le prime elezioni in Iran dopo la morte di Mahsa Amini, uccisa dalla Polizia Morale nel 2022 per aver indossato non correttamente il velo islamico. La sua morte e i tentativi di Teheran di insabbiare la vicenda avevano poi causato numerose proteste, tutte soppresse violentemente dalle autorità iraniane.

A differenza delle proteste degli anni precedenti, la violenta reazione da parte di Teheran non è riuscita però a placare lo scontento popolare verso il governo. Al contrario, ha solo peggiorato l’instabilità interna della Repubblica Islamica.

La morte di Amini è stata la causa scatenante dello scontento popolare, ma non il motivo principale. In realtà, ormai da anni la popolarità del regime iraniano è in declino per diversi motivi.

Oltre alle rivendicazioni politiche, molti iraniani chiedono infatti anche delle riforme economiche. L’economia iraniana è in pessime condizioni a causa della corruzione dilagante e delle sanzioni occidentali. Più del 50% della popolazione vive al di sotto della soglia della povertà, mentre il tasso di disoccupazione giovanile si aggira attorno al 15%.

Per questo motivo, la censura governativa è stata ancora più severa durante queste elezioni. Quasi tutti i candidati fanno parte del fronte conservatore, apertamente ostile alle proteste e a qualsiasi riforma politica. Al contrario, alla maggior parte dei politici liberali non è stato permesso presentarsi alle elezioni, incluso l’ex Presidente iraniano Mohammad Khatam.

Tuttavia, sembra che questa politica repressiva si sia ritorta contro il governo iraniano. Dato che non è possibile eleggere candidati più liberali, la maggior parte degli iraniani semplicemente non è andata a votare.

Nonostante gli inviti del regime iraniano a rimanere uniti contro i nemici israeliani e statunitensi, è stato calcolato che a malapena il 40 % della popolazione iraniana ha partecipato alle votazioni. Il vero vincitore di queste elezioni è stato quindi l’astensionismo.

Questo risultato è particolarmente umiliante per Khamenei poiché è l’indice di partecipazione più basso sin dalla fondazione della Repubblica Islamica.

Peggio ancora, è oramai chiaro che le generazioni più giovani hanno perso fiducia nel governo iraniano. Queste generazioni sono stati i principali organizzatori sia delle proteste, sia del boicottaggio del voto.

Anche se i conservatori continueranno a controllare il governo iraniano, il loro rifiuto di concedere maggiori libertà o di risolvere i problemi economici non farà altro che aumentare lo scontento popolare ed alienare ancora di più i giovani del paese.

Redazione Radici

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