Arte come Filosofia:La seconda natura. Viaggio immersivo nel Parco di Sculture di Dušan Džamonja in Croazia
Arte come Filosofia 6.
Di Andrea Cramarossa
Capita che, nel pieno di una estate assolata, ci si ritrovi a dover guardare il mondo con occhi nuovi, aprire la propria mente alla potenza di un sogno fatto in piena coscienza. Ci si ritrova, cioè, immersi in un mondo altro, eppure sottilmente e implacabilmente ancorato a qualsiasi principio di realtà.
Il sole cocente aiuta a lasciarsi andare, a perdere la propria essenza e il proprio respiro nel calore del circostante che sembra voler anelare ad una oggettività sciolta nella memoria comunitaria di questa umanità nostra.
In Croazia, esiste un luogo che è luogo della realtà e fortemente luogo di altra realtà, dove prima e seconda natura trovano punti di incontro-scontro e, quindi, di dialogo. È quella contrapposizione tra le cose che rende la propria presenza nel mondo un punto sensoriale di captazione delle vibrazioni cosmiche. Le due nature, quella “prima” della natura propriamente detta e quella “seconda” dell’arte realizzata da mano umana, chiedono, al fruitore di tale meraviglia, l’ascolto dei dialoghi tra “viventi immaginari”, cioè quelle vibrazioni che si attorcigliano nei tronchi degli alberi, nei fili d’erba, nelle traiettorie delle farfalle, nelle braccia vegetali che implorano il diritto al trapasso del vento e della pioggia.
Questo luogo esistente in Croazia è il “Parco di Sculture di Dušan Džamonja”, precisamente collocato all’entrata della cittadina di Orsera (Vrsar in croato), nota per le sue incantevoli spiagge e per l’acqua cristallina del mare e, ovviamente, anche per questa insolita occasione di “viaggio oltre il viaggio”.
Fig. 1 Veduta dell’ingresso del “Parco di Sculture di Dušan Džamonja”.
È un ulteriore viaggio – viaggiante quello che il visitatore – turista si trova a compiere nel suo passeggiare all’interno del Parco. Un viaggio che trascende l’atto stesso del viaggiare, la sua idea e il suo ideale, il suo principio, la sua sonorità vacanziera. Il Parco (naturale e artistico) in questione, fu realizzato dallo scultore di origini erzegovesi Dušan Džamonja, noto il tutto il mondo. Si può entrare liberamente nel complesso palesemente residenziale e muoversi osservando ciò che circonda la propria persona. Non manca molto per intendere l’osservazione come un canale a doppio senso: noi osserviamo ciò che ci sta osservando. Non è mai semplice descrivere le sensazioni che si provano quando si viene in contatto con esperienze che chiedono l’immersione totale del proprio essere in un “sistema” pensato e strutturato, immersione che, per intenderci, comprende principalmente un possibile continuo cambio di paradigma rispetto alla propria idea di prima e di seconda natura e, comunque, una altrettanto possibile e bene augurante messa in discussione della propria presa di posizione, qualunque essa sia, nei confronti del visibile esistente e del non-visibile immanente. Ma una cosa è certa, e cioè che questa difficoltà a lasciarsi svuotare dei propri contenuti per riempirsi nuovamente di altre sonorità, richiede una volontà specifica ed un amore per la conoscenza, l’avventura e la scoperta, che non sono più parte della nostra epoca, se non per confermare ulteriormente il nostro ego quale unica terra di conquista e di (noiosa) affermazione di sé.
Fig. 2 Scultura del “Parco di Sculture di Dušan Džamonja”.
Ad onor del vero bisogna dire che questa prima natura, ossia questa natura qui presente e visibile nel parco, è una natura certamente ordinata, così sembra, segue un filo logico o di racconto, è posta voluminosamente in dialogo coi mondi evocati dalle sculture posizionate sapientemente lungo confini di altri mondi, collocati in universi concretamente in dialogo e in continua rotazione, dialogo che insiste attraverso una chiara dimensionalità spaziale volta a determinare traiettorie mai divise da cesure ma, invece, coese in un continuo canto che tutto lega.
È possibile udire il suono di questo canto o, meglio, è l’energia sonora che si sprigiona da questo movimento rotatorio, una circolarità gravitazionale e levitante, che ipnotizza e ri-sveglia oltremodo il nostro essere, ciò che noi sentiamo, ciò che avvertiamo, come una sorta di sospensione, di evasione da noi stessi, una esplosione di infinito interiore. Così, captiamo i suoni e li seguiamo, noi soli visitatori in questa mattina d’estate, come attratti da una suadente onda cosmica, una sorta di “suono primordiale”, pur nell’immersione del silenzio più assoluto. Solamente il sole grida tutta la sua esistenza.
Dušan Džamonja (Strumica, Macedonia, 31.01.1928 – Zagabria, 14.01.2009), iniziò la costruzione della sua casa istriana nella zona Valkanela di Orsera nel 1965, sul sito di un vecchio podere in stato di abbandono. Tale casa fu pensata come luogo polivalente: villa di campagna, casa, ufficio, studio, galleria privata, laboratorio e parco di sculture. Džamonja realizzò diversi bozzetti e opere di incredibile bellezza in questi spazi, così come nell’atelier di Beuxelles e nella dimora di Zagabria.
Džamonja concretizzò il sogno, forse, di molti scultori: realizzare un giardino di sculture.
Opere dello scultore croato d’adozione sono sparse in tutto il mondo, da New York a Parigi, da Roma a Berlino, opere giganti e astratte che risuonano ovunque, oltre che i monumenti commemorativi della battaglia di liberazione della Jugoslavia realizzati nei luoghi simbolo della guerra. Grande è, dunque, il significato simbolico di queste opere e la loro forza fisica e metafisica, la loro sonorità, diremmo, esaltata dall’utilizzo di materiali quali l’alluminio, l’acciaio, il cemento armato, il vetro. Materiali inusuali, probabilmente, ma assolutamente coerenti con quella ricerca volta alla liberazione dalla forma che contraddistinse l’espressionismo astratto in America e l’informale in Europa. Opere viventi, diremmo, pianeti popolati. Voci.
Fig. 3 Sculture del “Parco di Sculture di Dušan Džamonja”.
Liberazione, dunque, anche dalla eteronomia dei materiali, come volle Marcel Duchamp, dichiarando il diritto dell’arte a che qualsiasi oggetto possa essere da essa afferrato, per divenire padrona di se stessa, eliminando il proprio fluire grezzo che è la sua incoerenza, senza la mediazione della spiritualità. Così, queste opere di Dušan Džamonja, si stagliano come sorgenti di voluminosa energia e, nel contempo, di biologico assorbimento del vivente, quasi che l’inerte voglia dirsi “movimento statico”, principio di allerta, cuore pulsante della contemplazione, ancora una volta vedere se stessi nell’atto di esser visti. Queste opere d’arte, evidentemente di seconda natura, in dialogo con le innumerevoli reminiscenze letterarie della prima (dalla ginestra di Leopardi al biancospino di Proust, fenomeni primevi del comportamento estetico), sentono fortemente il bisogno di uscire da sé, ossia cercano consolazione e la cercano propriamente nella prima natura, questo perché l’identità nell’arte non è mai qualcosa di finito ma tende alla transitorietà, che è essenza dell’arte stessa, così come all’esperienza transeunta della vitalità.
È questa transitorietà a rendere immortali le opere d’arte.
L’arte fatta dagli uomini, come diceva Kant che, per questo e in parte, la disprezzava, si contrappone al “bello naturale” poiché essa si fonda e si realizza su sistemi organizzati e convenzioni che non sono della natura, determinando, così, una realtà nuova, umana, ciò che, appunto, chiamiamo realtà e che, spesso, dimentichiamo di definire come “nostra realtà” che, di questi tempi, è sempre meno oggettiva e sempre più frutto di creazione, invenzione, temeraria virtualità. Kant ha attribuito alla natura il sublime e, con ciò, qualunque bellezza che sfugga al puro gioco formale. Ma è l’idea del “parco” che viene in nostro aiuto per circoscrivere una manifestazione estetica oltre misura, poiché delimita un fenomeno a sé stante, una superficie trasparente (il trasparente!) dove si può stabilire il dialogo tra prima e seconda natura, una idea, cioè, che è anche ideale ed è ideale dell’idea in sé, oltre che del “parco” in sé. Nel “parco” avvengono cose, fatti, storie; il “parco” è come un palcoscenico, non della vita, ma dell’arte dove la finzione non è convenzione come in teatro ma, piuttosto, lo è la nudità. Ciascun albero ci guarda come ci guarderebbe se fosse in qualsiasi luogo del mondo, ma qui è diverso, di quella diversità che è uno spostamento minimo, una piccola inclinazione, cioè, dalla direzione retta e solida che si erige come colonna del nostro sapere. Il suo guardare impone e noi che guardiamo di vederci con gli occhi dell’albero, così esso stesso diviene parte, non totalità, certo, ma parte del meccanismo dell’arte e le opere d’arte, a loro volta, sollevate dalla natura circostante dall’entrare in stretta e continua relazione con le sostanze di cui sono fatte e derivate, manipolate e formate, diventano un po’ più parte – di – albero e -parte – di – pietra. Si può comprendere ancor di più se pensiamo a tutto l’astrattismo calato nel quotidiano cittadino e urbano, come esso necessiti e aneli fortemente almeno ad un passaggio di prima natura, almeno ad un fruscio, un profumo, un colore.
Fig. 4 Sculture del “Parco di Sculture di Dušan Džamonja”.
È così che una seconda natura può conservare una immagine della prima, non con l’imitazione, non con la mimesi, ma dentro un “parco” e dentro una “idea di parco”, e, soprattutto, dentro l’idea dell’idea di “parco”, dove le posizioni delle piante e delle opere e gli echi di “presenza scenica” da queste prodotte, sono la determinazione che sprona al dialogo e la sintesi di questa dialettica ricade dentro noi che guardiamo con gli occhi di chi ci sta guardando. In definitiva, in noi, accade il sublime.
La magnificenza dell’opera – giardino – delle – sculture, è una cattedrale che ancora risuona in me o, per meglio dire, è puro suono, pura onda sonora, puro canto circolare, una circolarità, direi, quantomai necessaria poiché oggi il rapporto estetico con qualunque passato è inquinato dalla attitudine retriva odierna con la quale quel passato è venuto a patti ma, senza memoria storica non ci sarebbe alcuna bellezza, senza ripetizione non ci sarebbe alcuna bellezza, senza sconvolgimento non ci sarebbe alcuna bellezza.
“Suono” e “dialogo” sono le due parole che fortemente e più di tutte hanno caratterizzato il mio passaggio nel “Parco di Sculture di Dušan Džamonja”, ma anche spazialità, universo e universalità, cosmo, pianeta, natura e arte. Una esperienza fortemente edificante, carica di interrogativi e di questioni che ho potuto trattare qui solo in minima parte, colma della bellezza della natura intesa come manifestazione e mai come materiale e della bellezza dell’arte intesa come vivida esperienza di immagini, in un bello potentissimo che non è azione ma pura essenza do noi stessi nell’empiria sublime della nostra impermanenza.
Andrea Cramarossa
“Parco di Sculture di Dušan Džamonja” a Orsera (Vrsar), Croatia. Visitato il 22.08.2023.
Il parco è visitabile tutto l’anno.
Testi di riferimento:
– “Teoria Estetica” di Theodor W. Adorno (Ed. Einaudi).
– “Estetica” di Georg W. F. Hengel (Ed. Einaudi).