Chi ha paura di voi non vi ha guardato negli occhi!

Chi ha paura di voi non vi ha guardato negli occhi!

Fenicotteri rosa che camminano leggiadri nell’acqua al tramonto che esplode di rosso
tori indomiti che pascolano sereni nella brughiera
cavalli bianchi che vivono allo stato brado : benvenuti in Camargue!
Adiacente alla più nota Provenza, rilassante e rilassata, questa terra racchiude 75.000 ettari di sabbia, paludi, stagni e risaie, un immenso parco di natura incontaminata, un tripudio di colori e scorci dove l’uomo sembra essere ancora un ospite temporaneo.
Noto è il carattere duro dei suoi abitanti, ancora profondamente legati a usanze secolari: anziane signore in abiti tradizionali durante le cerimonie, guardians (butteri) col cappello di feltro nero, camicia a fiori e foulard al collo e numerosi gitani con la chitarra in mano, la cui presenza in zona è attestata fin dal 1855: erano conosciuti come Figli del vento.

Proprio in quella che è considerata la capitale della regione, Saintes Maries de la Mer, il 24 e 25 maggio di ogni anno si svolge Le Pèlerinage des Gitans (il pellegrinaggio dei Gitani).
Non è l’espressione corretta: accanto a quelli che comunemente chiamiamo gitani (kalè iberici), arrivano da ogni parte Rom, Sinti, manouches francesi, tziganes ungheresi, diversi tra loro per il patrimonio storico e culturale ma tutti provenienti dalla medesima zona (gli stati dell’India settentrionale, in prevalenza Rajastan e Punjab).
Tutti arrivano per venerare la loro patrona (santa) Sara la Nera, la cui statua e reliquie sono custodite nella cripta della chiesa parrocchiale di Saint Michel (nel 1840 classificata come monumento storico francese): vi riposano assieme alle sculture di Maria Salomè e Maria Jacobè, figure menzionate nei Vangeli : la prima come madre degli apostoli Giovanni e Giacomo il Maggiore, venerato a Santiago di Compostela e l’altra come madre dell’apostolo Giacomo il minore.

Secondo il racconto tradizionale, Sara – per alcuni originaria dell’alto Egitto, per lo scrittore Frans de Ville, una Rom dalla pelle scura (‘Tziganes, témoins de temps’, Oficine de Publicité, Bruxelles, 1956) – era al servizio delle due donne che seguirono Gesù di Nazareth dalla Galilea a Gerusalemme: erano ai piedi della croce accanto alla madre Maria e furono le prime a vedere Gesù risorto il giorno di Pasqua.
A seguito della prime persecuzione dei cristiani, nel 42 d.C. fuggirono con Sara dalla Palestina a bordo di un’imbarcazione senza vele e senza remi con cui riuscirono in qualche modo ad approdare su una spiaggia vicina al delta del Rodano in Camargue: sbarcarono in un luogo detto Oppidum Râ, noto in seguito come Notre Dame de Ratis (Râ fu cambiato anche per influsso del latino ratis, cioè zattera).
La città che venne fondata – e che accolse in seguito altri seguaci del Nazareno, che per primi portarono il Credo cristiano in questi luoghi – si chiamò in un primo tempo Notre Dame de la Mer e in seguito Saintes-Maries-de-la-Mer (1828) in onore alle due donne.

La tradizione racconta che erano su quella barca anche Maria Maddalena, Lazzaro, sua sorella Marta di Betania, San Massimino e San Sidonio. Altre versioni della leggenda includono Giuseppe d’Arimatea, venerato come santo dalla Chiesa cattolica, luterana, ortodossa e da alcune Chiese anglicane: secondo alcune leggende medievali, Giuseppe sarebbe collegato al mito del santo Graal, la leggendaria coppa con la quale Gesù celebrò l’Ultima Cena e in cui Giuseppe raccolse il sangue sgorgato dal suo costato, trafitto dalla lancia del centurione romano Longino durante la crocifissione.

Nonostante la tradizione delle Marie sia alquanto antica (se ne trova traccia nella Legenda Aurea di Jacopo da Varazze del XIII secolo), Sara appare soltanto nel 1521 ne La Légende des Saintes-Maries di Vincent Philippon, mentre la devozione alla sua figura è nota soltanto dopo il 1800.
Secondo alcuni, Sara la Nera (Sarah-la-Kali ) potrebbe essere collegata alla divinità indiana Kālī (Bhadrakali, Uma, Durga e Syama): questo nome concorda con l’ipotesi dell’origine indiana della comunità Rom che giunse in Francia verso il IX secolo.
Sara rappresenterebbe, in tal caso, una manifestazione sincretistica e cristianizzata della dea Kali. Non solamente il nome coincide (benché questo abbia la propria spiegazione nel suo significato letterale), bensì anche nel rituale alcuni hanno colto coincidenze singolari: Durgā (altro nome di Kali) dea della creazione, della malattia e della morte, è rappresentata con il volto nero durante un rito annuale che si svolge in India dove viene immersa nella acque e poi fatta riemergere.

Stessa cosa avviene con la statua di Sara, vestita dai fedeli con abiti multicolori e addobbata di gioielli, che il 24 maggio viene portata in processione verso il mare (sebbene non sia riconosciuta dalla Chiesa, le funzioni religiose che la riguardano sono officiale da sacerdoti e dal Vescovo di Aix en Provence).
E’ scortata da sedici guardians in sella a cavalli bianchi: ognuno porta sulla mano destra un bastone lungo, usato per la conduzione dei tori, che termina con un piccolo tridente. I guardians avvicinano il tridente ai tori quando devono raggrupparli per tornare nella stalla: non c’è bisogno di colpirli perché i tori sanno che il tridente fa male e se ne stanno alla larga.

Anche la statua di Sara è immersa per tre volte in mare. La tradizione vuole che chi riesce a toccare il suo mantello nel tragitto dalla chiesa al mare godrà di benedizioni e fortuna durante tutto l’anno.
Sono ateo ma devoto a santa Sara, la nera, la piccola, la discriminata, che protegge i viaggiatori, gli emarginati, i rifiutati, i non riconosciuti’– ha confessato Piero Pelù, frontman dei Liftiba, che ha dedicato a Sara un bellissimo brano, ‘Latcho Drom’ (‘Buon viaggio’ in lingua romanì. https://www.facebook.com/watch/?v=341712789822587

Il giorno seguente, la celebrazione in Chiesa e la processione sono dedicate alle due Marie, patrone della città. Durante la festa -che pullula di turisti e colori e che proseguirà nei giorni successivi con prove equestri, rodei e corride non cruente nell’arena locale –la musica riveste necessariamente un ruolo molto importante:
‘La presenza della musica Rom in Europa è molto antica: già verso il 1430 un’orchestra ‘zingara’ suonava alla corte di Sigismondo di Lussemburgo, re d’Ungheria, Imperatore del Sacro Romano Impero (1433-1437)’ – mi racconta il musicista Santino Spinelli, autore del libro ‘Le verità negate’ (Meltemi editore, Milano, 2021), dal 2001 rappresentante per l’Italia al Parlamento dell’Unione Internazionale Romaní (IRU), organizzazione non governativa con sede a Praga, attiva nel campo dei diritti dei popoli Rom a cui è stato garantito lo status consultivo presso alcuni organi delle Nazioni Unite-.
Forse non tutti sanno che il modo inconfondibile di fare musica delle comunità romanès, con i suoi ritmi, le melodie, le strutture modali e della strumentazione ha effettivamente influenzato fin dal suo arrivo in Europa un’infinità di musicisti, tra cui Schubert, Beethoven, Liszt, Saint Saëns, de Sarasate, Ravel e Debussy.
E’ commovente vedere la devozione dei gitani alla loro patrona: alcune decine di essi, durante la Messa, si sono battezzati e hanno fatto la Comunione per la prima volta.
Ma sì, forse è poprio vero che… chi ha paura di voi non vi ha guardato negli occhi!
Paola Cecchini

Paola Cecchini

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.