Fallaci e quell’intervista a Khomeini senza velo

Fallaci e quell’intervista a Khomeini senza velo
© STIG NILSSON / PRESSENS BILD / AFP - Ruhollah Khomeini

Se Christiane Amanpour non s’è piegata, e non ha voluto nemmeno metterselo sulle spalle il velo simbolo della sottomissione femminile, la giornalista italiana lì per lì accettò, ma poi se lo tolse. E non poteva che farlo in modo plateale

 Non si sfugge al paragone, si spera solo che le conseguenze non siano altrettanto esiziali. Perchè se Christiane Amanpour non s’è piegata, e non ha voluto nemmeno metterselo sulle spalle il velo simbolo della sottomissione femminile, Oriana Fallaci lì per lì accettò, ma poi se lo tolse. E non poteva che farlo in modo plateale. Era il 1979, ed il mondo guardava non senza fascinazione a quel vecchio con la barba lunga e lo sguardo calamitoso che, spes contra spem, nel nome di Dio l’Altissimo il Misericordioso aveva cacciato dalla sua reggia il Re dei Re, e sul trono del Pavone ormai abbattuto aveva piazzato i testi sacri, e le antiche tradizioni.

L’assetto geopolitico

Fu così che la Fallaci andò da lui, da Ruhollah Khomeini: un po’ per dovere, molto per curiosità. Per rendersi conto di certe cose, bisogna tornare indietro a quei giorni: fatti di terzomondismo in Europa e rivolte delle masse arabe e persiane. Gheddafi era al potere da dieci anni, l’Egitto aveva da poco sostituito Nasser con Sadat.

Arafat era un terrorista o poco più, ma anche lui il suo seguito poteva vantarlo. A Teheran sedeva imperante Reza Pahlavi, figlio di un semiusurpatore. Aveva imparato, soprattutto dopo le vicende dell’invasione russa del 1946 e del golpe contro Mossadeq, che era meglio stare dalla parte dell’Occidente. Anzi, divenire Occidente esso stesso doveva il suo Iran. Prese il via la più grande campagna di occidentalizzazione forzata dai tempi del turco Ataturk.

Ma è vero: l’anima dei popoli non può essere violata sennò, prima o poi, si ribella. E Khomeini, spedito per tempo in esilio a Parigi, tornò a furor di popolo e di Corano a restaurare quello che per lui era l’ordine divino delle cose. Piaceva, l’idea, dentro e fuori l’Iran, anche perchè la prima fase della Rivoluzione Islamica vide la convinta partecipazione dei laici moderati locali, rappresentati da Abolhassan Banisadr. Sarebbe finito a sua volta a Parigi, ma ancora non lo si sapeva. Si pensava, semmai, che quei volponi avrebbero imbrigliato in poco tempo l’austero vecchietto, ma fu lui a mangiarsi loro. Austero, mica sprovveduto.

La prima intervista a Khomeini

Ora, per capire cosa avvenne tra la fumina Fallaci e l’iroso ayatollah si consideri che la posta in gioco era veramente alta: la prima intervista del massimo studioso coranico. A una donna. Ecco quindi dovere e curiosità. E forse anche un pizzico di polvere di narciso, che è uno dei grandi combustibili delle carriere memorabili. Insomma, la Fallaci lì per lì accettò l’incredibile, il chador che ne lasciava visibile solo il volto, ed il pastrano fino ai piedi perchè, si dice da certe parti, vai a resistere alla visione di una caviglia femminile.

Ebbe torto ad accettare? Difficile dire che l’avesse: erano, per l’appunto, tempi in cui nel nome dell’apertura alle culture oppresse si accettava da esse anche l’oppressione. (Per chiudere il discorso: Amanpour ha compiuto una scelta più facile, dal momento che sono tre giorni che a Teheran ci sono morti e feriti per una ragazza uccisa in un commissariato, a causa di un velo portato male).

Per dirla in breve: accettò, accettò anche le condizioni che solitamente vengono poste in questi casi, e alla fine fu ammessa alla presenza della Rivoluzione in persona. Quella che segue è solo la fine del colloquio, chè tanto questa è la parte che conta: “Amore o fascismo, Imam? A me sembra fanatismo, e del genere più pericoloso. Cioè quello fascista. Chi potrebbe negare che oggi esiste in Iran una minaccia fascista? E forse un fascismo s’è già consolidato”. “No, il fascismo non c’entra. Il fanatismo non c’entra. L’Islam è giustizia, nell’Islam la dittatura è il più grande dei peccati, quindi fascismo e islamismo sono due contraddizioni inconciliabili”.

“Cosa intende per libertà?”

“Non capisco. Mi aiuti a capire. Che cosa intende per libertà?”. “La libertà… Non è facile definire questo concetto. Diciamo che la libertà è quando si può scegliere le proprie idee e pensarle quanto si vuole senza essere costretti a pensarne altre… E anche alloggiare dove si vuole… Esercitare il mestiere che si vuole”. “Ho ancora molte cose da domandarle. Su questo chador, per esempio, che lei impone alle donne e che mi hanno messo addosso. Perchè le costringe a nascondersi sotto un indumento così scomodo e assurdo, sotto un lenzuolo con cui non si può muoversi, neanche soffiarsi il naso? Ho saputo che anche per fare il bagno quelle poverette devono portare il chador. Ma come si fa a nuotare con il chador?”.

(E nota, la Fallaci: ” Allora i terribili occhi che fino a quel momento mi avevano ignorato come un oggetto che non merita alcuna curiosità, si levarono su di me. E mi buttarono addosso uno sguardo molto più cattivo di quello che m’aveva trafitto all’inizio. E la voce che per tutto quel tempo era rimasta fioca, quasi l’eco di un sussurro, divenne sonora. Squillante”). “Tutto questo non la riguarda. I nostri costumi non riguardano voi occidentali. Se la veste islamica non le piace, non è obbligata a portarla. Il chador è per le donne giovani e perbene” “Prego?”. “Ho detto: se la veste islamica non le piace, non è obbligata a portarla. Il chador è per le donne giovani e perbene”. “Grazie, signor Khomeini. Lei è molto educato, un vero gentiluomo. La accontento sui due piedi. Me lo tolgo immediatamente questo stupido cencio da medioevo“.

E “con una spallata lasciai andare il chador che si afflosciò sul pavimento in una macchia oscena di nero. Quel che accadde dopo resta nella mia memoria come l’ombra di un gatto che prima se ne stava appisolato a ronfare e d’un tratto balza in avanti per divorare un topo. Si alzò con uno scatto così svelto, così improvviso, che per un istante credetti d’esser stata investita da un colpo di vento. Poi, con un salto altrettanto felino, scavalcò il chador e sparì”. Fu quel pomeriggio che, a Qom, Oriana Fallaci sviluppò la sua teoria dell’islamofascismo, quella che avrebbe enunciato dopo l’11 Settembre ne “La Rabbia e l’Orgoglio”. Il resto è storia nota.

AGI

 

Redazione Radici

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