Scrittori del Mediterraneo italiano e radici plurime

Scrittori del Mediterraneo italiano e radici plurime

di Rosaria Scialbi

Il Mar Mediterraneo è da sempre un crocevia di popoli. Ha ospitato, sulle sue sponde, greci, fenici, arabi, albanesi, spagnoli, francesi, normanni e molti altri.
La cultura mediterranea è meticcia, è plurima, è ricca di incroci di radici.
Queste radici si sono poi innestate nel terreno della cultura e hanno dato frutti fertili.


Senza le sue radici, senza quel modo di percepire la vita tutto sardo, senza quella lingua che ha conservato il suono del vento fra le canne, senza quella legge non scritta, ma che scandiva e regolava la vita comunitaria, Grazia Deledda non sarebbe stata Grazia Deledda e non avrebbe vinto il Premio Nobel.

Senza il Monte Caos, senza la lingua della sua Agrigento, senza quel paesaggio aspro, incastonato in un fondale ceruleo, Luigi Pirandello non sarebbe stato il Pirandello che tutti invidiano e che vinse il Nobel. Certo, accostarlo a Grazia Deledda, con la quale non ebbe buoni rapporti, né lui contribuì a migliorarli, potrebbe apparire strano; ma non è così. Se in lui non fosse stato radicato un certo sentire tutto di Girgenti, un certo modo di concepire i ruoli familiari, forse i due sarebbero andati d’accordo. Ma, se così non fosse stato, se la cultura di Pirandello non fosse stata infusa di un percepire tragico magno-greco e siculo, quindi anche fenicio e arabo, non avremmo mai avuto la sua lezione sull’ironia; se non avesse vissuto nei luoghi aspri e nei paesini di vecchiette vigili e sempre in allerta, pronte a dare “buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio”, non avremmo mai avuto L’ esclusa e Il Turno.


Se Eugenio Montale, altro nostro premio Nobel, non avesse trascorso l’infanzia e l’adolescenza sulle rive di Monterosso, oggi non parleremmo di quel suo sole abbacinante, in grado di trapassare le pagine e accecare i lettori; se la sua identità non si fosse radicata lì, egli non sarebbe mai giunto alla concezione di arsura e prosciugamento dell’ io, non avrebbe mai parlato di un “rovente muro di orto” e di “cocci aguzzi di bottiglia” che ci rendono impossibile il valicare dei confini, lo squarcio nel cielo, il taglio del velo.

Se Bodini non fosse cresciuto a Lecce, non sarebbe mai giunto alla formulazione di Barocco esistenziale; probabilmente, non avrebbe nemmeno mai stato un cantore della Spagna, intingendola in un calamaio contente tinte così vivide.

Se Giacinto Spagnoletti non fosse nato a Taranto, in una terra da lungo tempo ostile agli intellettuali, ma portale temporale verso un mondo antico, in cui risuonano voci dalla metrica assai lontana, e in grado di abbracciare e fare proprie influenze culturali derivanti da incontri di gente che il mare trasporta dove vuole, sarebbe mai stato uno dei più importanti critici e antologisti del secolo scorso?

Anna Maria Ortese, duramente osteggiata durante la vita, ma scrittrice sopraffina, avrebbe mai potuto scrivere i suoi capolavori intrisi di un linguaggio complesso, ma perfettamente governato, se non avesse vissuto nella complessità mediterranea?

Infine, Alessandro Leogrande, fine scrutatore del presente e anticipatore di tristi tendenze del futuro prossimo, avrebbe mai potuto vergare pagine importantissime per la storia del giornalismo italiano, se non fosse cresciuto con una porta sul Mediterraneo variopinto?


La verità è che il Mediterraneo, meticcio e poliglotto, è in questi scrittori e in queste scrittrici geografia dell’essere prima ancora di essere collocazione su carta.

Redazione

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