Invecchiare senza radici

Invecchiare senza radici

Di Daniela Piesco Co-Direttore Radici

Una gran parte dei nostri connazionali dopo un certo numero di anni è tornata definitivamente in Italia, quasi sempre nella casa costruita con quanto guadagnato all’estero a prezzo di grandi sacrifici. In questo scritto non parlerò di questi ultimi, ovvero di chi ha scelto dopo anni di emigrazione di trascorrere la sua vecchiaia nella nostra nazione. Al contrario mi riferirò unicamente a coloro che sono andati all’estero in cerca di fortuna e, pur potendolo fare, non sono poi più ritornati nella loro nazione.”

                    Michele Marino: “Invecchiare       senza   radici -20 Interviste ad anziani emigrati”.

Il libro da dove nasce l’incipit del mio pensare  sarà presentato domani all’Akademie der Nationem della Caritas di Monaco di Baviera . Leggendo la notizia e informandomi sui contenuti dello stesso ma anche  sull’autore ho ritrovato lo spunto per parlare di una problematica che ho già più volte affrontato : i motivi della partenza dall’Italia.

Preliminare è d’uopo fare qualche accenno sull’ autore che  è nato a Nusco nel 1956. Dopo la laurea in giurisprudenza ha lavorato in Italia, con un piede in Germania, dedicandosi al giornalismo e alla docenza. Nel suo libro raccoglie venti interviste ad anziani emigrati dall’Italia in Germania, nazione in cui hanno speso una vita lavorativa, hanno acquisito una nuova lingua, hanno conosciuto e adottato delle buone abitudini sportive e dove passeranno la loro vecchiaia e non faranno più ritorno in Italia.

Michele Marino,con notevole sensibilità intellettuale, riporta una sorta di “antica contemporaneità”, illuminando bene l’abbraccio tra le vicende migratorie del passato e i tempi che viviamo.

Il dispiacere, l’orribile senso di emarginazione razzista provato dall’emigrato italiano nel sentir dire “Auslander raus” (via gli stranieri) o leggere davanti ai locali “Vietato l’ingresso ai cani e agli italiani” riflette lo stesso stato psicologico negli anni 2000 del giovane bengalese nel sentirsi dire da un gruppo di ragazzi romani,dopo aver terminato di lavorare, “sporco negro, via gli immigrati dall’Italia”.

Da radici a sradicamento il passo è davvero breve e sarebbe significativo poter credere che la vera madre patria di sempre è sempre e soltanto la cultura

Ma perché si decide di invecchiare senza radici?

La decisione di una tale scelta risiede,come ho sottolineato in premessa,nei motivi della partenza dall’Italia.

Proprio i motivi di partenza continuano ad avere un peso determinante sullo stato emotivo degli italiani all’estero, anche a distanza di molti anni. Provano infatti nostalgia di casa soprattutto coloro che non riuscivano a trovare alcun tipo di lavoro in Italia o volevano una carriera più rapida, mentre non sembrano avere rimorsi coloro che sono emigrati per scelta o stile di vita, cercando esperienze internazionali o un migliore equilibrio tra vita privata e lavorativa.

Benché le intenzioni siano salde, tra coloro che cercano attivamente di rientrare ,circa 90mila persone ,più di un terzo dichiara l’impossibilità di trovare un impiego. Un altro terzo invece indica motivazioni legate alla qualità dei lavori disponibili: troppo precariato (14 per cento), lavori poco stimolanti (12 per cento), stipendi bassi (10 per cento).

Tra coloro che attendono occasioni migliori per rimpatriare, più della metà non ha ancora iniziato la ricerca poiché ritiene che il mercato del lavoro in Italia non sia sufficientemente attrattivo.

Si tratta soprattutto di laureati magistrali ed emigrati alla ricerca di migliori salari e meritocrazia.

Molti di loro , per il prossimo futuro, preferiscono ancora fare esperienze all’estero.

Del resto chi vorrebbe rientrare in Italia ha le idee chiare su come rendere più attrattivi gli ambienti di lavoro del nostro paese: una delle priorità dovrebbe essere l’aumento dei salari. O Almeno che venga valorizzata maggiormente la meritocrazia.

I cervelli, nei Paesi liberi, sono liberi non sono in fuga

È bene chiarire che non si tratta di fuga o almeno smettiamola nel definirla tale .

Oggi possiamo sconfinare ovunque, grazie alle nuove tecnologie della comunicazione che mettono “in rete” idee, competenze, opinioni. Difficile è confinare  o costringe un cervello che come sosteneva anche Rita Levi Montalcini non ha lucchetti.

L’unica gabbia che possa imprigionarli è il loro corpo. Se i “cervelli” se ne vanno dall’Italia è perché fuggono dal loro “corpo” (sociale).

Ebbene sì ,ammettiamolo : il corpo sociale italiano è troppo vecchio per permettere loro di esprimersi. O almeno: di operare. Di utilizzare la loro opera.

L’Italia è un Paese vecchio. Il più vecchio d’Europa. Dopo la Germania, che, però, può permettersi di invecchiare perché attira i giovani migliori dagli altri Paesi. Compreso il nostro. E li trattiene, li utilizza al meglio. Mentre i nostri giovani se ne vanno, noi non ci accorgiamo di invecchiare.

Così invecchiamo senza accorgercene e senza accettarlo. Investiamo le nostre risorse nell’assistenza e nella sanità, com’è giusto. Molto meno nella scuola, nella formazione, nell’università . Cioè, nei giovani. Nei figli. Nel futuro.

A loro,ai figli e ai giovani , ci pensano gli adulti. In fondo, quasi 8 italiani su 10 tra 18 e 38 anni (e quasi 3, fra 30 e 34 anni) risiedono con i genitori . Sottolineo: non “vivono” ma “risiedono”. Cioè: fanno riferimento a un’abitazione e a una famiglia, per affrontare una biografia sempre più precaria e intermittente.

L’Italia è il Paese con il più alto tasso di disoccupazione giovanile in Europa. Ma per dirla tutta l’Italia è anche il Paese dei Neet. Quelli che non studiano e non lavorano. Circa 2 milioni: il dato peggiore, nei Paesi dell’Ocse, dopo il Messico.

I giovani: una generazione precaria e disoccupata

La sociologia delle generazioni ha coniato, al proposito, il neologismo “giovani adulti”per indicare, con un ossimoro, coloro che hanno 30-35 e perfino 40 anni.

Sono questi che emigrano. Se ne vanno altrove. Di certo, non debbono affrontare l’esodo drammatico dei disperati che partono dai Paesi dell’Africa e del Medio Oriente, stipati nei barconi. Per fuggire dalla guerra e dalla povertà.

I “nostri” giovani se ne vanno con il sostegno delle famiglie. Addestrati da periodi di studio all’estero (Erasmus e Master), trascorsi durante e dopo l’università.

Cercano e spesso trovano occupazione. In alcuni casi, di livello elevato. Perché i “giovani cervelli”, in Italia, sono formati da un sistema scolastico e universitario che, nonostante gli sforzi per logorarlo, ancora resiste.

Non è una “fuga”, ma la ricerca di lavoro e di esperienza, in un mondo dove i confini sono sempre più aperti , soprattutto per chi non proviene dai Paesi poveri. Un mondo dove i “cervelli” sono sempre ben accolti.

Questo è il problema, per l’Italia. Non che i nostri “cervelli” se ne vadano. Ma poi che non ritornino. E poco si faccia per farli rientrare. O per attirarne altri, di eguale qualità e competenza.

Ecco perché si decide di invecchiare senza radici ..

Perché noi importiamo lavoratori a bassa qualificazione. Ed esportiamo i nostri figli, dopo che hanno concluso o comunque sviluppato il loro percorso di studi.

Perché perdiamo i giovani e i cervelli.

Perché siamo incapaci di offrire loro un destino coerente con le loro attese e le loro competenze.

Perché occorre partire dall’Italia. Un Paese vecchio.

Perché oltre al cervello rischiamo di perdere anche il futuro.

Daniela Piesco Co-Direttore Radici

Redazione Corriere Nazionale (http://www.corrierenazionale.net)

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pH Fernando Oliva (https://www.facebook.com/fernando.oliva.1029)

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