Giornalismo ed Etica

Giornalismo ed Etica

Subito dopo la seconda guerra mondiale ed agli inizi  degli  anni Cinquanta si registrò, soprattutto in Occidente,  un’autentica ”esplosione delle informazioni” favorita da diverse concause: lo sviluppo della democrazia e del pluralismo dopo gli anni bui del nazifascismo che aveva abolito la libertà di stampa; la nascita o la rivalutazione degli organi locali politici e amministrativi, la moltiplicazione dei centri per la raccolta di  notizie ed informazioni da trasmettere ai cittadini, l’allargamento dell’istruzione pubblica, l’estensione del diritto di voto; all’estero la conquista dell’indipendenza da parte di decine di paesi già colonie, la nascita di nuove nazioni, l’interdipendenza fra le varie parti del mondo.

Grazie anche al progresso tecnologico (radio, telefono, televisione; poi telescrivente, telefax, satelliti artificiali; poi computer) le agenzie di informazione diventarono i soli strumenti in condizione di assicurare un’informazione completa e, insieme, un’informazione rapida, un’informazione diretta (stando comodamente sduti a casa o in ufficio) , un’informazione selezionabile secondo le esigenze del fruitore, un’informazione memorizzata, e quindi pregressa, accanto all’informazione corrente.

Dagli anni Ottanta alla fine del secolo le nuove tecnologie elettroniche e il passaggio dall’analogico al digitale aprono nuovi orizzonti. Le agenzie di informazione sono gli unici organismi capaci di garantire anche le nuove conquiste informative: la multimedialità (cioè l’unificazione in un solo medium della parola scritta, della parola detta, dell’immagine fissa, cioè la foto dell’immagine in movimento, cioè il filmato), l’ipertestualità (cioè l’arricchimento immediato di un testo con altri testi), la personalizzazione dell’informazione (cioè un’informazione “a misura” del fruitore). Il trionfo fu però breve. Nel frattempo era arrivato Internet.

Se il giornalismo è mediazione tra la fonte e il fruitore dell’informazione   (e le agenzie sono, a monte dei giornali, il principale organo di mediazione), questa grande rete planetaria ha reso possibile al fruitore l’accesso diretto alle fonti di informazione. E’ il massimo dell’interattività, permettendo al fruitore di essere non un ricettore passivo ma un protagonista attivo e creativo. E’ il massimo della personalizzazione, permettendo al fruitore un’informazione “costruita” attraverso una personale ricerca delle fonti.

Le fonti primarie, cioè i soggetti pubblici e privati hanno un proprio biglietto da visita, spesso autorevole, ma distribuiscono ovviamente una loro codificata “verità”; e le altre fonti, cioè i mille e mille siti senza una riconosciuta identità, reperibili casualmente in Rete o che i motori di ricerca raccolgono, con meccanismi automatici, senza preoccuparsi di garantirne l’autorevolezza, offrono un’informazione ricchissima ma molto spesso  inaffidabile o, per lo meno, di non facile controllo.  Se l’informazione è oggi indispensabile come strumento di conoscenza e di lavoro, l’informazione deve essere corretta e quanto più possibile trasparente ed affidabile.

La sopravvivenza delle agenzie di informazione nonchè la  necessità di ricorrere ad esse come sicuri organi di base, dipende allora dalla misura in cui la loro mediazione significhi non soltanto gestione delle informazioni che circolano fuori dalla Rete e dentro la Rete, ma anche verifica e controllo di quelle informazioni; una mediazione che sia soprattutto mediazione di verità. Quale che sia il sistema generale dei media – ieri, oggi o domani – le agenzie di informazione hanno quattro fasi di lavoro: la raccolta delle informazioni, la selezione e il controllo delle informazioni (due atti paralleli), la gestione delle informazioni, la loro distribuzione.

La distribuzione non ha più problemi. Reti telefoniche, satelliti artificiali e Internet assicurano da tempo una distribuzione rapida, sicura e dovunque in qualsiasi parte del mondo. Non ha problemi anche la raccolta delle informazioni. Una grande agenzia ha una sua organizzazione capillare in molti o in tutti i continenti, integrata dagli accordi di reciprocità e di scambio con le altre agenzie nazionali e internazionali. Esiste quindi una rete planetaria in condizione di garantire la conoscenza di un evento nel giro di qualche secondo o, attraverso i canali televisivi, una conoscenza immediata, cioè, come si dice, in tempo reale.

Qualche problema nasce per la selezione e per il controllo delle informazioni. Il criterio di selezione dipende dal mercato o dai mercati cui le agenzie si rivolgono. Da qualche tempo ha assunto una posizione decisamente dominante. Un tempo le agenzie avevano, per l’interno, più notiziari di informazione generale, diversi per contenuti e soprattutto per ampiezza, secondo le esigenze dei destinatari: uno più esteso (l’Ansa di 220-260 mila parole, 600 o 700 notizie) e altri ridotti (50-60 mila parole, con le notizie più importanti; 30 mila nei notiziari regionali, in rapporto agli interessi informativi delle singole regioni; più brevi e non giornalieri i notiziari specializzati).

I nuovi meccanismi elettronici permettono oggi all’utente di “ritagliare” da sé nel grande notiziario di base (questa operazione è chiamata “un’informazione alla carta”) le categorie informative (politica, esteri, economia, cronaca, sport, spettacolo) che lo interessano; oppure di ricercare, in base ai codici che identificano ogni notizia o in base a parole chiave (ogni parola può essere parola chiave), le notizie di cui ha bisogno. Ma che cos’è una notizia?. Ogni accadimento importante o interessante, ovunque accada,  è un evento degno di essere raccontato se si ritiene che interessi il destinatario; cioè è notizia il fatto che si è convinti  possa soddisfare i bisogni informativi del cittadino-lettore (o radioascoltatore o telespettatore) e accrescere il suo patrimonio di conoscenze, dandogli modo di essere più libero nei suoi giudizi, più sicuro nelle sue decisioni, più soddisfatto nelle sue curiosità.

L’utilità (e quindi l’informazione che aiuta ad amministrare la propria vita personale e familiare), la partecipazione (e quindi l’informazione che aiuta a convivere  meglio nella comunità) e la curiosità (cioè il desiderio di sapere e la sete di conoscenze) sono i tre stimoli che nella preistoria dettero vita alla comunicazione diretta e sono i tre stimoli che danno vita anche oggi alla richiesta di informazione. La richiesta di informazione da parte dei cittadini ha tuttavia una sua storicità; cioè può cambiare secondo il momento e i suggerimenti offerti da quello che accade intorno a noi. Di conseguenza cambia, per gli organi dell’informazione primaria, non il criterio di base delle scelte, ma la valenza o la priorità di certe scelte. Non di più, però. I giornali possono indulgere alla discutibile tendenza alla drammatizzazione dei fatti (il “doping” dell’informazione) o alla creazione di quelli che vengono chiamati “eventi mediatici”.

Per i giornali il mercato è da conquistare: o per fini commerciali con la competitività e la concorrenza; o per fini politici con la strumentalizzazione e la manipolazione delle informazioni. Per le agenzie il mercato – per lo meno quello giornalistico – è praticamente stabile; non è da conquistare ma da conservare, e lo si conserva soltanto con l’autorità garantita da una informazione corretta. La correttezza dell’informazione è ovviamente assicurata non solo da una pertinente selezione delle informazioni, ma dal controllo della loro esattezza. Le due operazioni – di selezione e di controllo – marciano parallele: l’informazione selezionata o è prodotta dalle stesse strutture dell’agenzia (ovviamente affidabili in quanto tali) oppure è omologata dall’autorità della fonte (autorità conosciuta per esperienza o accertata   attraverso controlli incrociati con altre fonti) oppure, in mancanza di certezze, è riferita con la chiara attribuzione alla fonte che l’ha emessa e col potente sussidio delle virgolette.

Ci sono anche le informazioni, a volte interessanti e importanti, messe in giro da fonti anonime o che pretendono l’anonimato; ma un’agenzia seria le ignora. l pericolo è che l’agenzia, anche se privata, venga condizionata, di più o di meno, dal Potere politico o dal Potere economico; dal primo più che dal secondo, perché lo Stato è – per servizi e numero di abbonamenti (abbonati sono tutti gli organi istituzionali, all’interno e all’estero) – il cliente più importante dell’agenzia e la maggiore fonte di introiti. Il pericolo può presentarsi, e spesso si presenta, anche in una democrazia pluralistica. Dipende dal governo e dalla maggioranza che lo guida e dipende dalla fermezza della proprietà dell’agenzia e della Direzione giornalistica.

Resta  però un problema generale, che riguarda tutto il giornalismo: il problema dell’etica e della deontologia. Per certi aspetti le agenzie di informazione ne sono più coinvolte, per certi aspetti meno. L’etica del giornalismo è l’etica del giornalista, cioè, come per chiunque altro, la sua coscienza morale, come cittadino e come professionista; ma, a differenza di altri, chi opera nel campo dell’informazione deve essere ben consapevole delle possibili conseguenze morali, sociali, politiche e culturali di un lavoro che non si esaurisce in se stesso o nell’ambito di poche persone, ma istituzionalmente si rivolge – con un forte potere di convincimento – a un largo universo di cittadini. Più di chiunque altro, quindi, il giornalista deve, nell’esercizio della sua professione, attenersi con rigore non solo al rispetto dei codici e della legislazione del suo paese, ma anche e soprattutto al rispetto della verità.

Se una “formazione” etica è dovere di tutti, per un giornalista è necessaria anche una “informazione” etica, cioè una buona conoscenza del codice penale, della legislazione sulla stampa e dei codici deontologici stabiliti, in Italia, dall’Ordine professionale (fra cui la cosiddetta “Carta di Treviso”, un documento di autodisciplina per la salvaguardia dei minori, e la “Carta dei doveri”, che ricorda l’obbligo di non ricorrere a discriminazioni di razza, religione, sesso, condizioni fisiche e mentali e opinioni politiche, il diritto delle persone alla riservatezza, la presunzione di innocenza per chi è sotto processo, la trasparenza delle fonti, la turbativa di mercato, l’aggiotaggio). Per gli illeciti penali veri e propri (la diffamazione, per esempio) la responsabilità delle agenzie è più pesante, perché il reato da esse commesso si moltiplica per tutti gli organi d’informazione che pubblicano il testo contenente l’illecito penalmente perseguibile (ma il codice prevede una eguale pena per l’una e per gli altri).

Per il resto l’illecito dipende non tanto dai contenuti quanto dai modi di raccontarli (le dimensioni, il linguaggio; l’immagine più della parola); e perciò riguarda il tipo di testata in cui si opera (di informazione generale oppure settoriale o specializzata); e soprattutto riguarda il pubblico dei destinatari: sono soltanto alcune fasce socioculturali quelle cui si dirige l’informazione stampata, ma è l’intera società (adulti, bambini, anziani) quella a cui si dirige l’informazione parlata; riguarda, perciò, per le testate radiofoniche e ancor più televisive, anche l’ora di trasmissione: mattina, pomeriggio, prima serata, seconda serata. La televisione è quindi deontologicamente impegnata più della radio, la radio più di un giornale a stampa, il giornale a stampa più di un giornale specializzato.

Se rispettano le norme di base, le agenzie risultano praticamente esenti per i notiziari che vengono trasmessi ai giornali; ogni giornale decide infatti autonomamente in relazione al proprio pubblico. Eguale, per le agenzie e per gli altri organi di informazione, è il problema che riguarda il diritto di cronaca e il segreto professionale. Sul diritto di cronaca esiste un’ampia giurisprudenza e il dibattito continua a riproporsi in ogni caso importante in cui la cronaca di un fatto comporta la lesione dell’onore di qualcuno o dei suoi interessi.

Analogamente dibattuto è anche il tema del segreto professionale, un tema su cui la giurisprudenza è tutt’altro che uniforme e concorde in sede nazionale e anche in sede internazionale (Corte dei diritti dell’uomo, Strasburgo, e Parlamento europeo). L’articolo 2 della legge istituiva dell’Ordine dei giornalisti (1963) proclama la libertà di informazione, il rispetto della verità, la tutela della personalità altrui, la lealtà, la buona fede.

Le agenzie di informazione hanno in questo campo una maggiore responsabilità, perché operano a monte della stampa scritta e parlata e possono esserne modello ed esempio. Il problema, a monte e a valle, è comunque di quei giornalisti (soprattutto dei direttori, non per nulla chiamati in Italia “responsabili”) che spesso si dimenticano di avere in mano uno strumento importante e delicato.

Un giornalismo serio e corretto dipende dalla loro coscienza morale più che dai vincoli della legge, dalle norme deontologiche, dai codici politici.

Marcario Giacomo

Redazione

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