Las Parejas

Las Parejas

Di Paola Cecchini

La città di Las Parejas (municipio di seconda categoria appartenente alla Provincia di Santa Fe, nel dipartimento di Belgrano) nacque come entità urbana con l’arrivo di piemontesi e marchigiani che fondarono una colonia esclusivamente italiana dove, per prima cosa costruirono una stazione di sosta per diligenze e carovane provenienti da Buenos Aires e dirette in Perù, lungo la ruta provincial n.178.
La ferrovia, arrivata nel dipartimento di Belgrano nel 1870 (la stazione venne costruita nel 1890) diede impulso allo sviluppo del villaggio che prima fu pueblo e più tardi divenne città, come testimonia il toponimo originario di Pueblo Elisa, mutato poi in Las Parejas, in ricordo dell’antica stazione postale.
All’interno della comunità marchigiana – racconta Maila Pentucci, autrice di uno specifico lavoro sull’argomento – è possibile concentrarsi su un ulteriore gruppo territoriale omogeneo e compatto, quello proveniente dal comune di San Severino Marche: dei circa 12.000 abitanti che compongono attualmente la popolazione cittadina, circa 1.500 sono discendenti di famiglie settempedane emigrate all’inizio del Novecento o subito dopo la fine della prima guerra mondiale.
Spulciando i registri anagrafici comunali, si nota che le famiglie espatriate durante la grande emigrazione furono circa quaranta; giunsero a Las Parejas tra il 1909 ed il 1912, quando la colonia era già in via di sviluppo.

Il primo ad arrivare fu Giovanni Menichelli, residente nella frazione di Pitino: emigrò una prima volta da solo nel 1903, poi tornò in paese nel 1909 per riprendere la moglie Maria Petrocchi. I discendenti di Giovanni e Maria vivono tuttora a Las Parejas e continuano la tradizione rurale familiare, essendo divenuti possidenti di notevoli fondi cerealicoli.
Analogo fu il caso di Giuseppe Domizi di Ugliano che, emigrato per la prima volta nel 1905, tornò l’anno seguente per riprendere la moglie Adorna Puntaroli ed i cinque figli. La loro presenza è attestata a Las Parejas fin dal 1906, ma i loro discendenti non vi abitano più. Nello stesso anno emigrò la famiglia di Antonio Domizi di Aliforni, che possiamo supporre parente di Giuseppe e partito assieme a lui.

Analizzando i registri, si notano espatri di interi nuclei familiari e ricongiungimenti dopo brevi periodi (da sei a ventiquattro mesi).
Fu questo il caso di Enrico Giuliani, fabbro, partito con il figlio maggiore Sante nel 1911, e raggiunto dalla moglie Ada e l’altro figlio l’anno successivo; o quello di Giulio Alba, calzolaio, che – registrato a Buenos Aires nel 1905 – venne raggiunto l’anno successivo dalla moglie Elvira, dai tre figli e due dei sette fratelli.
I registri annotano diversi matrimoni tra compaesani, alcuni dei quali avvenuti per procura: tra i primi figura quello di Augusto Eugeni di Serripola che sposò nel febbraio 1911 Annunziata Petrocchi, giunta con la famiglia da Pitino nel 1910. L’atto di matrimonio risulta stipulato ad Armstrong, poiché a Las Parejas non esisteva al tempo un ufficio di stato civile.

Il primo matrimonio registrato presso la cittadina, invece, fu quello di Garino Lucietti, celebrato il 28 ottobre dello stesso anno.
I cognomi acquisiti di altre emigrate settempedane sposate in Argentina sono testimonianze di endogamia a diversi livelli – continua la Pentucci: Isolina Salvucci emigrò con il padre ed i fratelli dalla parrocchia di Serripola nel 1910 e si sposò là con un certo Francescangeli, marchigiano di altro paese. Grazia Micozzi invece, emigrata nel 1909, sposò Carlo Bruè, piemontese.

Tra i settempedani della prima generazione, nove hanno raggiunto Las Parejas nel primo dopoguerra, probabilmente a seguito della nascita del partito fascista.
Tutti erano discendenti di coloro che – tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento – avevano già tentato l’esperienza migratoria nel Paese.
Uno di essi fu Cesare Dobboletta, stabilitosi a Las Parejas nel 1920; la sua famiglia era emigrata da Chigiano nel 1902, o Pietro Catena, a Las Parejas negli anni Trenta, dopo una precedente esperienza decennale dei suoi congiunti.

E’ interessante notare la specializzazione rurale del flusso diretto a Las Parejas, come se anche l’appartenenza ad una stessa categoria lavorativa potesse influenzare la direzione dell’esodo: la colonia tradisce le sue origini agricole fin dalla scelta del sito, individuato all’incontro esatto fra la zona del mais e quella del frumento nel bacino idrografico del Río Salado, dove i marchigiani giunsero ricchi di un’esperienza rurale di generazioni, anche se inapplicabile nel sistema agrario argentino.
In un fondo di circa sessanta ettari, essi ne lavoravano alla marchigiana circa cinque, coltivandoli in modo intensivo (frutta e ortaggi) ed allevando pochi capi di bestiame ad uso domestico; in questo modo potevano disporre di una base alimentare sicura.

Il restante appezzamento richiedeva un radicale rinnovamento dei meccanismi coltivativi: così abbandonarono la lavorazione intensiva a favore dell’estensiva, privilegiando il grano facilmente commerciabile e redditizio. Divenne indispensabile la sostituzione degli utensili, spesso portati dall’Italia, con macchine agricole che si adattavano meglio alle grandi estensioni, così come l’impiego di concimi chimici in grado di rimediare alla mancata rotazione delle colture.

I marchigiani diedero prova di grande adattabilità ed intelligenza imprenditoriale: istallarono piccole officine di riparazioni meccaniche che con il tempo determinarono lo sviluppo dell’industria locale, a tutt’oggi basata sulla produzione industriale di macchine agricole; un caso significativo è rappresentato dalla ditta D’Ascanio & Fagotti, specializzata nella produzione di silos, macchine per la mietitura e la pulitura del grano, a tutt’oggi tra le più importanti nel centro industriale di Las Parejas. I proprietari sono originari di Treia.
Le attività connesse all’agricoltura rappresentarono una risorsa preziosa per i nostri corregionali che non poterono contare sull’assegnazione di terre: essi si dedicarono al commercio di prodotti agricoli, all’ingrosso ed al dettaglio, ed aprirono negozi di generi di consumo in città, sfruttando la tendenza degli immigrati di rivolgersi ai connazionali per i loro bisogni. Contribuirono così al mantenimento delle abitudini alimentari regionali, puntando sull’offerta di prodotti tipici, dapprima preparati artigianalmente, come il pane e la pasta, poi importati dall’Italia se introvabili in Argentina.

Paola Cecchini Redazione Radici

Paola Cecchini

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