In aprile cominciano a scadere  i contratti di fornitura gas per il settore industriale, in prevalenza contratti a prezzo fisso di durata annuale. Secondo un’inchiesta pubblicata da MF il prezzo richiesto in questi giorni è più alto del 250% rispetto al 2021. Rischiano di finire fuori mercato interi comparti, dall’industria della ceramica a quella della carta.  Chi può, scaricherà gli aumenti a valle, cioè sui consumatori. Per gli altri le prospettive sono incerte.

Non sembra che la soluzione possa trovarsi sulle navi metaniere che dagli Stati Uniti trasportano il gas liquefatto in Europa. Un altro quotidiano, il Sole 24 Ore, ha calcolato infatti che chi a dicembre ha comprato gas in America ha speso almeno il 50% in più rispetto a chi si è rifornito dalla Russia.

Ma qualcuno ha sborsato anche il quintuplo se si è servito di  intermediari come Shell.
Il problema del caro-energia  riguarda, sia pure in misura diversa, tutti i paesi europei. I governi stanno investendo  cifre significative per ridurre l’impatto e i sussidi maggiori rispetto al Pil sono stati erogati da Spagna e Italia.
Con il decreto del 21 marzo il governo Draghi ha portato a 19 miliardi la cifra la cifra finora impiegata. Tra i provvedimenti ci sono la riduzione delle accise, crediti di imposta per le imprese, bonus sociali per elettricità e gas, fondi a sostegno degli autotrasportatori.

Ora sono in arrivo altri provvedimenti per complessivi 6 miliardi.

Per tagliare i ponti con Mosca si stanno cercando in fretta nuovi fornitori, dall’Algeria all’Egitto, dal Congo all’Angola. C’è chi non approva, ma è difficile che – in attesa dell’autosufficienza energetica – si possano scegliere i fornitori in base alla loro affidabilità democratica.