Petraeus:per gli Usa è come Dunkerque

Petraeus:per gli Usa è come Dunkerque

Per l’America questo è un momento come Dunkerque. Dobbiamo riconoscerlo e rispondere in modo aggressivo e appropriato. Abbiamo un obbligo morale nei confronti di coloro che hanno condiviso i rischi e le difficoltà con noi. E dobbiamo essere all’altezza di questo momento”. Lo afferma, in una intervista al Corriere della Sera, l’ex comandante delle forze americane in Afghanistan ed Iraq David H. Petraeus.

Secondo il generale ed ex direttore della Cia Biden “dovrebbe fare tutto ciò che è umanamente possibile, impiegando le nostre forze speciali e i nostri leader più capaci per assistere coloro che ci hanno appoggiato, che hanno servito in guerra con noi e che adesso si trovano sulla lista degli obiettivi talebani da assassinare. I normali requisiti burocratici dovrebbero essere sospesi.

Tutte le risorse militari e diplomatiche necessarie dovrebbero essere impiegate e rafforzate per prendere decisioni sul terreno, anziché gestirle nei minimi dettagli da Washington. E i talebani vanno informati che ogni tentativo di impedire il nostro lavoro riceverà una risposta decisa”.

E aggiunge: “E’ giusto citare Saigon, sì. Ma io faccio un paragone con Dunkerque per trasmettere l’urgenza che dobbiamo sentire a Kabul e nei confronti delle persone che abbiamo, finora, abbandonato”.

C’è il rischio che i 6.000 marines inviati all’aeroporto si trovino invischiati in combattimenti con i talebani?

Certamente, ma sospetto che i talebani non vogliano fare l’errore di spingersi troppo oltre e costringere gli Stati Uniti ad esercitare la nostra forza militare su di loro. I leader talebani sanno quello che possiamo fare. Ne hanno fatto esperienza in passato. E sembrano comprendere il valore della cautela — e persino di un certo grado di umiltà — in questo momento, a Kabul, perlomeno”.

Fino a che punto la responsabilità ricade sull’amministrazione Biden rispetto al tre passati presidenti, e ci sono errori commessi dalla Nato e dagli europei?

La situazione è ovviamente straziante, disastrosa e tragica. C’è abbastanza colpa per tutti. Certamente, i negoziati della precedente amministrazione e il forte desiderio di andarsene non sono stati né saggi né utili. Ma alla fine dei conti, penso che la decisione di ritirarsi, poi l’effettivo ritiro (molti pensavano che avremmo esitato all’ultimo minuto) e poi la rimozione dei contractor che consentivano alla cruciale Aeronautica Militare Afghana di effettuare i voli abbiano inflitto psicologicamente un duro colpo alle forze afghane, ai leader locali e agli altri: si sono resi conto che nessuno sarebbe venuto a salvarli se avessero continuato a combattere contro i talebani. Ma questo dibattito potrà essere affrontato in seguito. Al momento dovremmo concentrarci sull’aiutare gli afghani che, finora, abbiamo vergognosamente abbandonato”.

E’ un fallimento perché gli Stati Uniti dovrebbero restare in Afghanistan oppure perché hanno sbagliato nelle modalità del ritiro?

Credo che ci fossero alternative sostenibili in termini di vite e di soldi, e che, almeno, avrebbero potuto evitare questa terribile situazione. Dato il disastroso stato delle cose sul terreno al momento, penso che sia difficile argomentare che quello che abbiamo fatto sia positivo per gli Stati Uniti, la coalizione, gli afghani e gli interessi di sicurezza nazionale. Ma, ripeto, si può dibattere di tutto questo più tardi. Ora pensiamo a coloro che sono in pericolo a causa nostra”. 9Colonne

Redazione

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