BELGIO (6. Il primo giorno in miniera)

BELGIO (6. Il primo giorno in miniera)


Di Paola Cecchini

Il secondo trauma per gli emigrati arrivati in Belgio consiste nell’incontro con la miniera: la consegna di tuta, pala, lampada e casco (il cui costo verrà trattenuto nella prima busta paga) e poi giù al fondo, senza alcuna informazione ulteriore o addestramento, dato che l’accordo non ne prevede. Il passaggio in ascensore è un momento indimenticabile per tutti:
‘E’ stata una cosa terribile la prima volta che sono sceso. Quando la gabbia è partita con un “vuu”, in un minuto, un minuto e dieci eravamo sotto a 930 metri e lo stomaco mi è venuto in bocca. Quando ho sentito questo rumore ho pensato: “E’ scoppiata una bomba” e sono rimasto irrigidito. Non avevo capito niente, chi mi spingeva per farmi uscire e io non sapevo se dovevo restare o uscire, non capivo più niente, ero scioccato’ (Luciano Coli)

Il primo giorno di lavoro è per molti terribile:
‘Intanto che aspettavo l’ascensore, tremando di paura, ascoltavo ciò che dicevano gli altri per cercare di capire ciò che mi aspettava. Una volta arrivati in galleria, il capo mi disse: ‘Vai, vai! Vai con quello là’. Io con la lampada in mano lo seguii nel buio guardandomi continuamente intorno per la paura. Percorsi circa un chilometro e mezzo. Improvvisamente non lo vedo più e la galleria è finita.
‘Ma dove sarà andato’ mi chiesi. Così ritornai indietro, incontrai il capo e gli dissi che non trovavo più quello che mi aveva detto di seguire.
‘Vieni, vieni con me’ mi disse, e mi riportò di nuovo in fondo alla galleria. Qui mi indicò di lato un buco dove ci passava a malapena un uomo e mi disse di entrarci. Alla vista di quel buco mi venne un colpo…guardavo il minatore che si preparava al lavoro attaccando il suo martello pneumatico al tubo di gomma dell’aria compressa. Appena accese il martello, dalla paura mi attaccai ad un puntello di legno abbracciandolo.
‘Se solo riesco a risalire- pensai- non scendo più!’ (Giuseppe Devincenzi)

La prima cosa che non viene rispettata dalle autorità belghe è la durata del contratto che da 12 mesi è elevata a 24. Poi si deroga sull’età, elevata a 40 anni per facilitare partenze più numerose. La presenza dei minatori italiani negli charbonnages belgi aumenta notevolmente di anno in anno, Dai 24.653 espatri del 1946, si passa a 29.881 nell’anno successivo, quindi a 46.365 nel 1948. Dopo una flessione nel biennio 1949-‘50, dovuta alla crisi del settore (5.312 del 1949 e 4.226 nel 1950), il flusso migratorio riprende in modo sensibile negli anni Cinquanta.
Fin da subito i nostri connazionali sono destinati al fondo. Pala chiaro la percentuale sia rispetto alla totalità degli ouvriers stranieri, sia rispetto alla totalità degli ouvriers che lavorano nei bacini carboniferi belgi: dal 3% nel 1945,si passa al 28% nel ’46, al 47%nel ‘47
al 56% nel ‘49, al 70% nel ‘51e tale rimane negli anni seguenti.
La prima formazione professionale inizia nell’aprile 1952, allorché- a seguito di scioperi e congressi operai- entra in vigore un nuovo contratto di lavoro:
‘Non avevo mai lavorato in miniera. Ero autista di camion. Quando al magazzino ci hanno dato un pezzo di legno, io mi chiedevo a cosa serviva. ‘Sarà per camminare’ pensavo e invece era il manico della pala. Per me era un legno qualsiasi’ (Erminio B)

Guai se ci si ammala durante i primi mesi di lavoro, quando non si è in regola con la Cassa Mutua. Per essere in regola, un operaio deve lavorare almeno 120 giorni nei primi 6 mesi; se per qualche motivo ne lavora 1 in meno, deve cominciare daccapo.
Per molti è difficile lavorare 6 giorni la settimana: è una questione di resistenza fisica.
I primi arrivi suscitano anche episodi di stampo razzista che confluiscono nella tragedia dell’aprile 1951, allorché i custodi del carcere di Liège uccidono un minatore italiano senza per questo essere puniti.

I primi anni si lavora assieme ai prigionieri di guerra e ai collaborazionisti, a coloro cioè, che durante il conflitto mondiale hanno collaborato con i tedeschi.
‘…Li condannavano alla metà della pena, ma in miniera. Paga niente, naturalmente…stavano in un campo guardato dall’esercito e si distinguevano perché avevano la lampada bordata di rosso. Ma siccome di notte tutti i gatti sono bigi, cosa facevano questi prigionieri? Cercavano di fregare le nostre lampade e lasciavano quelle bordate di rosso.
Uscivano con i minatori ‘liberi’ e montavano in ascensore prima, anche d’accordo con qualche minatore. Quando uscivano, a 20 chilometri, c’era la frontiera olandese e così se ne andavano…Ai prigionieri davano pale pesantissime e grandi, invece noi che ci compravamo gli attrezzi di lavoro, avevamo delle pale molto più piccole e svelte. E un giorno uno mi ha chiesto di comprargli una pala piccola, ma non mi poteva dare i soldi. Mi ha ripagato in sigarette (Luigi Gori).

Le miniere sorgono su montagne di scorie di carbone, in paesaggi desolati. E’ facile riconoscere una mina dall’esterno, grazie alle torrette per il tiraggio dell’aria: una per l’entrata, l’altra per l’uscita.
Gli ascensori si fermano alle diverse profondità, in corrispondenza di gallerie attraversate dalle tubature dell’aria a pressione, dell’acqua e dell’energia elettrica.
Le gallerie vengono aperte ogni qualvolta é individuata una nuova vena (veine) o taglia (taille) che i minatori abbattono col motopiq o con cariche di esplosivo. Ci sono tanti tipi di vene:
‘Si sudava, faceva caldo e la borraccia del caffé finiva molto presto. Si sa che la temperatura della terra aumenta di un grado ogni trenta metri di profondità. E alcune miniere scendono fino a 1200-1300 metri. Ci si può fare un’idea del calore che vi fa là dentro’ (Mario A.)

‘Fino a 450 metri si poteva ancora stare bene, ma una volta oltrepassati i 500 di profondità allora si iniziavano ad avere 40, 42, anche 46 gradi centigradi di temperatura… e ti sentivi soffocare. Si lavorava nudi, era tanto il calore laggiù a quelle profondità che anche a stare nudi si sudava da impazzire. A volte, superati i mille metri, quando il caldo era infernale, ci sfilavamo le mutande, le strizzavamo e le indossavamo nuovamente’ (Lucio Parrotto)

‘Nella miniera Pays Bas- Trieu Kaisin venni trasferito nella taglia Leopold Couchant …lavoravamo estraendo il carbone dalla vena alta 40 centimetri. Stavo su un fianco utilizzando il motopiq con le due mani e spingendo fuori il carbone con i piedi. Ho lavorato in queste condizioni per quattro anni’ (Luigi Manfredini)

Nelle miniere di Marcinelle il lavoro è svolto con l’aiuto di cavalli, ognuno dei quali
‘…trainava otto carrelli ed era così ben addestrato che se gliene attaccavano uno in più si rifiutava di andare avanti. Il carbone veniva portato in superficie da un ascensore a quattro piani. Per scavare le gallerie usavamo la dinamite: attraverso il foro che praticavamo per inserire il candelotto di dinamite poteva uscire il gas la cui presenza ci veniva segnalata dalla lampada ad olio (se la fiamma si alzava, il grisou era presente). Le porte frangi-fiamme erano in legno perché dicevano che se ci fosse stata una frana, le porte scricchiolando ci avrebbero avvertito del pericolo’ (Innocente Carlet)
Per i minatori, i maggiori fastidi sono rappresentati dalla polvere, dal caldo, dal buio, dalla costante necessità di mantenersi vigili in ogni fase del lavoro; tutto questo spesso impedisce l’utilizzo della maschera sul viso che è obbligatorio:
‘Ti davano la maschera anche se sapevano che non la si portava, perché non si poteva respirare a causa della polvere, del calore, del sudore. Veramente si aveva del male a respirare anche senza maschera… I vecchi minatori ci dicevano che senza maschera si respirava la polvere e che più tardi ci avrebbe fatto male. Lo dicevano soprattutto a me che ero uno dei più forti, uno che voleva guadagnare molti soldi. ‘Attenzione, sono sempre i più forti che cadono’.
Rispondevo gentilmente: ‘Grazie’, ma non ci credevo (Antonio Ciscato)

L’organizzazione del lavoro?
‘Bisognava fare tutto in fretta, sempre di corsa. Il primo turno di mattina, alle cinque, poi c’è una specie di pullman che ti porta alla miniera. E poi sempre di corsa, andavi a prendere il tuo numero, quel numero…era tutto quanto il meccanismo, con quel numero prendevi la paga, gli attrezzi di lavoro, la lampada da mettere sul berretto…e con gli attrezzi poi correvi come un pazzo per prendere il posto per andare giù, altrimenti se rimani fuori, addio, è andata la giornata… e tutto di corsa’ (Giuseppe M)

La scelta del cottimo Bedaux- definito da più parti sistema di sfruttamento scientifico dei lavoratori – attira agli italiani le antipatie dei belgi che li disapprovano apertamente:
‘Avevano anche un po’ ragione- dice Pietro T. – Lavorando a cottimo succedeva che per trasportare questa tavola se una volta la pagavano diecimila lire facendo molto lavoro, dopo la pagavano solo sei, ecco quello che loro volevano dire: “Voi lavorate troppo e ci calano il prezzo sui metraggi che facciam. Era una concorrenza…si cercava di mandare a casa il più possibile’.

La scelta del cottimo da parte degli italiani fa impennare la produzione annuale di houille : nel 1945 era pari a 15.683.656 tonnellate, l’anno seguente a 22.704.829; tre anni dopo a 27.784.196, fino ad arrivare a 30.357.201 tonnellate nel 1952.

Poiché la retribuzione è proporzionale ai metri avanzati nelle taglie, la necessità di avanzare
qualche metro in più diventa un’ossessione per i minatori, tanto da far dimenticare ad alcuni le misure di sicurezza che ognuno è tenuto a rispettare. Il rischio più frequente in questo caso è rappresentato dalle frane che possono travolgere tutti coloro che si trovano nei paraggi.
Al fondo l’ambiente è molto familiare: gli italiani lavorano con marocchini, algerini, polacchi e russi, descritti come un popolo molto duro, molto severo, uomini energici, pezzi d’uomini grossi:
‘…Polacchi e russi non si sono mai adattati sia al linguaggio sia al modo di vivere dei belgi. Come pure al loro mangiare e cosa che stonerà un po’, anche al loro bere. Bevevano molto e spesse volte per questo succedevano delle baruffe. Probabilmente ciò era dovuto al fatto che non avevano neanche la prospettiva di andare nella loro patria e quindi poteva essere una reazione naturale (Giuseppe Sanson)

Quasi tutti gli ex minatori considerano il lavoro svolto per anni come inumano:
‘…è una vita inimmaginabile, una realtà brutale. Mi domando se poteva essere peggio di così. Un compagno di lavoro che aveva fatto la guerra diceva spesso: “Meglio fare la guerra che venire a lavorare qua sotto’ (Angelo Verardo)

E’ penoso anche soltanto immaginare alcuni aspetti del lavoro dei minatori, come indossare la mattina gli abiti sporchi del giorno prima:
‘E sporchi lo erano…facevano già venire i brividi sentirsi addosso sulla pelle quella polvere, poi andare a ritirare la lampada che pesava tre chili e mezzo, te l’appendevi al collo con un filo torto, ti sbatteva sulle unghie… Se oggi uno venisse a chiedermi di andare a lavorare in mina, preferirei ammazzare qualcuno e andare in galera. Ma in miniera no, basta. I miei figli ad un certo momento non volevano più studiare e ho tenuto loro questo discorso: “Se non volete più andare a scuola, non ci andate, ve la caverete ugualmente. Ma che non vi venga l’idea di andare a lavorare in mina perché io vi ammazzo tutti e due”. E penso che se lo avessero fatto, li avrei proprio ammazzati tutti e due (Angelo Verardo?)

Tutti appaiono molto critici nei confronti del governo italiano del periodo, mentre riconoscono l’aiuto accordato loro dalle istituzioni belghe in diverse occasioni:
‘Noi stranieri eravamo in balìa di noi stessi, di quello che facevamo. Non c’era niente, neppure nelle grandi feste come Natale e Pasqua. Nel Borinage, questione organizzazione, c’era zero, sia in comune, che tra italiani tra loro… Mai visto un prete, un missionario italiano: eravamo abbandonati …Non c’era nessuna informazione, nessuna organizzazione, niente di niente… Se posso permettermi di dire quello che penso, devo dire che ad un certo momento ho pensato che siamo stati della gente venduta come carne di macellaio. Se io ho avuto degli aiuti, li ho avuti dai belga, se ho avuto del problemi, li ho risolti coi belga. Se mi fossi indirizzato al consolato italiano mi avrebbe mandato a destra e a sinistra, avrebbero chiesto soldi…e questi si faceva fatica a prenderli (Antonio Ciscato)

Capita talvolta che un ex minatore, quando si rammarica di aver perso la salute, si senta rispondere: ‘Sì, ma ti hanno pagato e hai una bella pensione’.
Questa frase ha l’effetto di una scudisciata sul volto per Angelo Verardo:
‘Ma ci ho perso la salute! Com’é questa storia? La salute è il bene più bello che si possa avere. A chi vuole, potrei far vedere tutto il pacchetto di medicine che ho là, e che devo ingoiare, se voglio vivere. Prima la mutua passava le bombole di ossigeno che ti aiutano a respirare se non vuoi morire soffocato; adesso te le devi anche pagare. Altro che pays de cocagne! Bisogna dirlo, c’è qualcosa che non va!’

Redazione Radici

Redazione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.