Turandot e l’oriente fantastico di Puccini,Chini,Carramba

Turandot e l’oriente fantastico di Puccini,Chini,Carramba

Ph Galileo Chini, Vasto piazzale della reggia. Bozzetto per scenografia della Turandot. 1924, Milano, Archivio Storico Ricord

  La nuova mostra della Fondazione Museo del Tessuto di Prato sarà un omaggio alla storia del teatro lirico e dell’arte del primo ventennio del Novecento, la cui scena artistica, letteraria e musicale fu pervasa dal fenomeno dell’Orientalismo.
Turandot e l’Oriente fantastico di Puccini, Chini e Caramba”, in programma dal 22 maggio al 21 novembre, è il frutto di un lungo e accurato lavoro di ricerca compiuto dal Museo sullo straordinario ritrovamento di un nucleo di costumi e gioielli di scena risalenti alla prima assoluta della Turandot di Puccini e provenienti dal guardaroba privato del grande soprano pratese Iva Pacetti.
Un’esposizione inedita, altamente suggestiva, multidisciplinare e di ampio respiro che nasce grazie alla collaborazione di enti e istituzioni pubblici e privati italiani di grande prestigio che a vario titolo hanno contribuito a questo ambizioso progetto: ricostruire le vicende che hanno portato il grande compositore toscano Giacomo Puccini a scegliere il genio scenografico di Galileo Chini per la realizzazione dell’allestimento e delle scenografie per la Turandot, andata in scena per la prima volta al Teatro alla Scala il 25 aprile 1926, diretta da Arturo Toscanini.
Co-organizzatore della mostra è il Sistema Museale dell’Ateneo fiorentino nel cui Museo di Antropologia e Etnologia è conservata una collezione di oltre 600 cimeli orientali riportati da Galileo Chini – grande interprete del Liberty italiano – al rientro dal suo viaggio in Siam nel 1913 e da lui personalmente donati nel 1950 al Museo fiorentino. Ma si avvale anche della collaborazione dell’Archivio Storico Ricordi (Milano) – che custodisce un immenso patrimonio documentale sulla storia e sull’estetica dell’opera lirica nell’Ottocento e Novecento – e della Fondazione Giacomo Puccini (Lucca) creata proprio per promuovere e valorizzare il ricco patrimonio pucciniano. A questi si aggiunga anche il contributo degli enti prestatori, tra cui il Museo Teatrale alla Scala e l’Archivio Storico Documentale Teatro alla Scala, le Gallerie degli Uffizi – Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, la sartoria Devalle di Torino, l’Archivio Corbella, la Società Belle Arti di Viareggio e numerosi prestatori privati.
LA MOSTRA
Tutto ha avuto inizio nei primi mesi del 2018, quando al Museo venne proposto di acquisire un misterioso baule contenente materiale eterogeneo proveniente dal guardaroba del soprano pratese Iva Pacetti, misteriosamente scomparso da decenni.
Gli studi condotti dalla conservatrice del Museo, Daniela Degl’Innocenti, hanno permesso di riconoscere in due costumi e in due gioielli di scena quelli disegnati e realizzati dal costumista del Teatro alla Scala Luigi Sapelli (in arte Caramba) per la prima assoluta dell’opera e indossati da Rosa Raisa, il primo soprano della storia a interpretare il ruolo della ‘Principessa di gelo’.
I riscontri iconografici non lasciavano dubbi: non si trattava di generici costumi di epoca Déco, ma di quelli della prima scaligera della Turandot, dati per irrimediabilmente persi ormai da tempo.
Nasce così l’idea di creare una mostra che ricostruisca le vicende che hanno portato alla progettazione di questi costumi, nel quadro della genesi dell’opera e del sodalizio artistico che prese corpo tra Giacomo Puccini e l’artista e amico Galileo Chini e del successivo coinvolgimento del costumista del Teatro alla Scala Caramba.
Sodalizio che nasce dalla precisa volontà del compositore di affidare l’ambientazione orientale dell’opera a un artista che l’Oriente lo aveva vissuto veramente da vicino: Galileo Chini, infatti, soggiornò in Siam (attuale Thailandia) per ben tre anni, dal 1911 al 1913, per lavorare alla decorazione del Palazzo del Trono del Re Rama VI.
Dal suo soggiorno orientale Chini tornò profondamente affascinato e con un bagaglio di centinaia di manufatti artistici di stile e produzione cinese, giapponese, siamese che influenzarono la sua produzione artistica anche dopo la permanenza in Siam e, all’interno di essa, successivamente, la genesi figurativa delle scenografie per l’opera Turandot.
IL PERCORSO ESPOSITIVO
Il percorso espositivo della mostra – che occupa circa 1.000 metri quadri – si apre nella Sala dei Tessuti Antichi con una selezione di circa 120 oggetti della collezione Chini, proveniente dal Museo di Antropologia e Etnologia di Firenze.
Come già ricordato, la collezione Chini venne donata dal Maestro al Museo nel 1950 e vi rimase esposta fino agli anni Settanta; in seguito, solo alcuni degli oggetti conservati sono stati visibili al pubblico.
Questa mostra rappresenta dunque un’occasione per valorizzare una delle collezioni più preziose e interessanti del Sistema Museale dell’Ateneo fiorentino.
Il visitatore potrà ammirare tessuti, costumi e maschere teatrali, porcellane, strumenti musicali, sculture, armi e manufatti d’uso di produzione thailandese e cinese, – suddivisi per ambiti tipologici all’interno di grandi teche espositive – che sono stati continua fonte di ispirazione per l’Artista e sono diventati soggetti di suoi numerosi dipinti. L’allestimento di questa sala crea continui rimandi tra il manufatto e il dipinto offrendo al visitatore la possibilità di immergersi nell’Oriente vissuto dal pittore toscano.
L’esposizione prosegue al piano superiore con una sezione dedicata alle scenografie per la Turandot e al forte influsso che l’esperienza in Siam ebbe nell’evoluzione del percorso creativo e stilistico di Chini.
Accanto a opere provenienti da collezioni private, a reperti inediti e curiosi, campeggia la tela raffigurante La fede, parte del trittico La casa di Gothamo di proprietà della Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti. Invece, la grande tela raffigurante la Festa dell’ultimo dell’anno a Bangkok, anch’essa appartenente alla Galleria, è oggetto di un’installazione multimediale che dialoga con una bellissima testa di dragone della Collezione Chini.
In questa sala sono esposti anche gli straordinari cinque bozzetti finali delle scenografie della Turandot provenienti dall’Archivio Storico Ricordi di Milano e altre due versioni di proprietà privata.
La terza e ultima sala mette finalmente in mostra, dopo decenni di oblio, gli straordinari costumi della protagonista dell’opera, corredati dalla meravigliosa corona realizzata dalla ditta Corbella di Milano nonché dalla parrucca e dallo spillone originali, anch’essi provenienti dal misterioso baule di Iva Pacetti.
Rinvenuti in pessimo stato conservativo, i due costumi e i gioielli di scena sono stati sottoposti a importanti e complessi interventi di conservazione e restauro.
I costumi sono stati restaurati dal Consorzio Tela di Penelope di Prato, mentre i gioielli sono stati affidati alle cure di Elena Della Schiava, Tommaso Pestelli e Filippo Tattini che li hanno riportati a nuovo splendore.
Il restauro è stato reso possibile grazie a un poderoso sforzo corale, che ha visto da un lato il cofinanziamento della Regione Toscana, dall’altro l’organizzazione da parte del Museo del Tessuto di un’impegnativa campagna di crowdfunding denominata “Il Costume Ritrovato”, alla quale hanno contribuito quasi 170 privati provenienti da otto Paesi diversi, aziende e associazioni del territorio.
Accanto alle opere di proprietà del Museo, sono esposti 30 costumi straordinari provenienti dall’archivio della Sartoria Devalle di Torino, comprendenti i ruoli primari e comprimari – l’Imperatore, Calaf, Ping, Pong e Pang, il Mandarino – e i secondari – i Sacerdoti, le Ancelle, le Guardie, i personaggi del Popolo.
Si tratta dei costumi originali realizzati per la stessa edizione dell’opera, anch’essi inizialmente scomparsi, ma poi rocambolescamente ricomparsi a metà degli anni Settanta ed entrati a far parte definitivamente di questo meraviglioso archivio storico privato.
In mostra anche alcuni bozzetti originali e pochoir dei costumi dell’opera del celebre illustratore Filippo Brunelleschi, artista inizialmente designato da Puccini, il manifesto originale della prima dell’opera e la riduzione per canto e piano editi da Casa Ricordi e illustrati con la celebre immagine di Turandot realizzata da Leopoldo Metlicovitz, a oggi una delle immagini più iconiche del melodramma italiano.
A Iva Pacetti, protagonista silenziosa della nostra mostra, il Museo ha dedicato una sezione espositiva multimediale a conclusione del percorso.
La mostra è accompagnata da un catalogo di 240 pagine, con 160 illustrazioni, edito in italiano e inglese da Silvana Editoriale.
ATTIVITÀ COLLATERALI
Parallelamente alla mostra, il Museo del Tessuto sta organizzando una serie di itinerari chiniani e pucciniani che collegheranno l’esposizione di Prato con altri luoghi toscani.
Il visitatore potrà inoltre usufruire di una scontistica integrata sul biglietto di ingresso con la Fondazione Puccini di Lucca e il Museo di Antropologia ed Etnologia di Firenze, che in occasione della mostra pratese organizzerà una propria esposizione per valorizzare altri tesori appartenenti alla Collezione Chini.
DICHIARAZIONI
“Con questa mostra il Museo del Tessuto restituisce le opere ritrovate alla pubblica fruizione, in un percorso di ampio respiro che ripercorre la genesi artistica e l’ambientazione orientale della Turandot e offre al visitatore un’esperienza culturale inedita e multidisciplinare”, ha dichiarato Francesco Nicola Marini, presidente della Fondazione Museo del Tessuto di Prato.
Gli ha fatto eco Marco Benvenuti, presidente del Sistema Museale di Ateneo dell’Università degli Studi di Firenze: “Questa iniziativa congiunta del Sistema Museale di Ateneo di Firenze e del Museo del Tessuto di Prato”, ha detto, “consente finalmente di far conoscere meglio al pubblico Galileo Chini. Auspico che questo evento possa segnare l’inizio di una ancor più ampia e profonda collaborazione tra i due Enti organizzatori”. 

Redazione

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