Da Poggibonsi alle consolle di tutto il mondo. Intervista a Luca Donzelli

Da Poggibonsi alle consolle di tutto il mondo. Intervista a Luca Donzelli

«Ho preparato il mio trasferimento in Spagna negli ultimi tre anni a Poggibonsi perché il lavoro che faccio qui a Barcellona e a Ibiza d’estate non è considerato nello stesso modo lì. Come prima cosa non è retribuito bene e, secondo, un ragazzo che sta tutto il giorno in uno studio a comporre musica o che sta dietro ad un’etichetta discografica è visto come un perditempo. Questo è quello che costringe a scappare da casa e che fa pensare “cosa ci faccio qua?”»

“Una persona che sta tentando di fare della musica la sua propria vita, vivendo le emozioni che girano attorno a questo mondo”. Così si definisce Luca Donzelli, il ventisettenne poggibonsese che è riuscito a farsi strada tra le discoteche di tutto il mondo con i suoi dischi.

Com’è nata la passione per la musica e cosa ti ha spinto verso la techno?

«Quando ero piccolo in casa ascoltavo musica di ogni tipo. Mio padre amava la New age, come gli Enigma, mentre mia madre ascoltava la disco music anni 70. Ricordo che a Natale, mentre preparavamo l’albero, invece ascoltavamo vari cd di Bob Marley. Poi la storia è cambiata quando ho cominciato le scuole medie; infatti a quell’età mi divertivo a creare compilation per i compagni di classe dal nome “Donzellation”, comprando i singoli e rimasterizzandoli in cd vergini, con i successi radiofonici e qualcosa che piaceva solo a me.

Arrivato alle superiori ho preso una strada un po’ più grunge, hard rock come i Rage Against The Machine, Nirvana, Pearl Jam, Audioslave… poi, dopo che un mio compagno di classe non faceva altro che ascoltare Nasdaq Su di Paolo Kighine, ho cominciato a cercare per informarmi sul genere techno, cosa tanto nuova per le mie orecchie. Lì ho scoperto un programma radiofonico (Essential Mix della radio inglese BBC RADIO1) in cui ho potuto apprezzare i set dei migliori dj al mondo e che mi hanno fatto innamorare del genere iniziando a creare anche qualcosa di mio».

Sei conosciuto come il dj del Morositas, com’è nato questo progetto e cos’è?

«Si, dopo essermi divertito con i miei amici ad organizzare feste di compleanno, di Halloween, capodanni vari suonando col Virtual Dj, siamo cresciuti tutti cercando anche di salire di livello da un punto di vista organizzativo e ad un capodanno in particolare abbiamo conosciuto dei ragazzi, con cui ci siamo uniti creando il progetto antecedente a Morositas, al Papillon, dove io con altri dj a turno suonavamo in una piccola sala fumatori del locale. L’idea iniziale era quella di dare qualcosa di nuovo alla gente visto che per trovare la musica “di tendenza” ci dovevamo spostare a Firenze e questo era molto scomodo. L’unico obiettivo era quello di divertirsi e far divertire crescendo piano piano. Infatti da qualche anno siamo riusciti a fare feste come il D-Day, la festa Amnesia riportata a Poggibonsi, e poi la festa Morositas al Tartana di Follonica che dà una soddisfazione stupenda, in quanto penso sempre al fatto che suono per la mia festa in un locale in cui io andavo a 17 anni a sentire altri importanti dj. Quindi il progresso che abbiamo fatto da quando siamo nati è sicuramente soddisfacente e sono troppo contento di questo. Ora vediamo cosa ci aspetta in futuro considerando anche progetti all’estero visto che ormai vivo a Barcellona».

Gli obiettivi odierni sono diversi da quelli iniziali o sono rimasti gli stessi?

«L’obiettivo principale rimane comunque quello di far divertire le persone ma ovviamente se ne aggiungono nuovi come farsi conoscere il più possibile per poter far crescere anche il marchio per potersi espandere ed andare a suonare anche in altri luoghi. Dove prima le aspettative erano provinciali o regionali ora sono più nazionali o anche internazionali».

Parlando proprio di aspettative internazionali e di una vita a Barcellona, ormai ti abbiamo perso?

«Purtroppo si. Ho preparato il mio trasferimento in Spagna negli ultimi tre anni a Poggibonsi perché il lavoro che faccio qui a Barcellona e a Ibiza d’estate non è considerato nello stesso modo lì. Come prima cosa non è retribuito bene e, secondo, un ragazzo che sta tutto il giorno in uno studio a comporre musica o che sta dietro ad un’etichetta discografica è visto come un perditempo. Questo è quello che costringe a scappare da casa e che fa pensare “cosa ci faccio qua?”».

Cosa ti ha portato proprio a Barcellona e a Ibiza?

«Barcellona è uno dei posti in cui ho lasciato il cuore, infatti il mio primo ricordo di questa splendida città è legato ad un viaggio fatto con mio padre in moto da Milano alla grande città spagnola appunto. Poi ci sono tornato in gita scolastica e in seguito quando stava cominciando il progetto Morositas; quindi poi è stato conoscere Mar-T il proprietario dell’etichetta WOW! che è quella che ora gestisco. Lui aveva sentito delle mie tracce, tra cui Bottleof Truth, suonate da Marco Carola ad una chiusura all’Amnesia, ed essendogli piaciuto ha chiesto di me, facendomi poi contattare. Da lì è cominciato tutto mandando le mie tracce che sono uscite proprio su WOW una ogni 4 mesi, più o meno, e lì Mar-T ha cominciato a chiedermi di andare ad Ibiza per lavorare con lui.

Abbiamo cominciato a fare dei dischi insieme per gioco, poi vedendo che riuscivamo a lavorare bene, nel 2013 mi fece la proposta di diventare Label Manager di WOW!. Ovviamente continuando a produrre vari dischi con lui, e lavorando anche sull’etichetta, due anni fa mi propose di trasferirmi proprio a Barcellona ma inizialmente non ero proprio convinto perché non volevo lasciare mia nonna da sola; quando c’è stata la possibilità di portarla in Francia da mio padre, allora non c’è stato più niente che potesse fermarmi. Dopo la prima stagione estiva ad Ibiza, che è stata l’anno scorso, ho trovato casa a Barcellona a novembre e poi a maggio sono tornato sull’isola ed ora il 20 d’ottobre ritornerò in una nuova casa a Barcellona, quindi i miei prossimi anni saranno proprio così: in inverno a Barcellona e in estate a Ibiza, direi che non mi posso lamentare».

La famiglia come ha preso questa tua decisione di trasferirti per inseguire la musica?

«Beh in Italia è visto come la pigrizia che porta a prendere la via più semplice, in più l’alcol, la droga e tutto quello che gira intorno a questo mondo non aiutano a darne una bella immagine. Mi sento di dare un consiglio ai giovani che vogliono intraprendere questa strada: io ho sempre vissuto la mia carriera musicale con mia nonna (nella foto sopra) e, con mio padre lontano, è sempre stato difficile spiegare ad una donna anziana che mi stavo guadagnando da vivere facendo musica “tunzi tunzi” come diceva lei e non capiva l’essere chiamato a suonare in molte parti dell’Europa perché ovviamente quando è nata la figura del dj lei era in casa a badare alla famiglia e non andava a ballare. Anzi, se lo faceva, andava a ballare il liscio. Non essendo facile spiegarglielo, come prima cosa devi portare dei risultati a casa. Un esempio è dire che non hai più bisogno della paghetta perché hai i tuoi soldi. Ma ancora più importante è far vedere che sei responsabile: tornare a casa la mattina completamente lucido e raccontare tutto quello che hai fatto durante la serata dà ovviamente un grosso vantaggio, piuttosto che farsi vedere ubriaco e che non ricordi niente. Poi il lato economico passa in secondo piano. Se uno vuole rimanere nella sua zona è bene che si crei una cerchia di amici che lo aiutino ad organizzare delle feste. Chi invece vuole fare della musica il suo futuro deve comportarsi diversamente; riferendomi sempre al quadro familiare, se i genitori o i parenti vedono che un ragazzo ci dedica del tempo come se fosse un lavoro, rispettando comunque degli orari, allora iniziano a non vederlo più come qualcuno che non sa cosa fare della sua vita, ma iniziano a prenderlo sul serio. Ci deve essere sempre un equilibrio tra il mondo della musica che non ha schemi e non ha orari e il lato dell’impegno dove quello che fai è proprio il tuo lavoro. Mia nonna, quando le ho detto che mi avevano proposto di andare a vivere a Barcellona si è messa a piangere dalla gioia, perché aveva capito quello che era diventato la mia vita oltre che il mio lavoro. Io c’ho messo 6 anni per arrivare a questo punto, non è stata una cosa che si è sviluppata in un anno, quindi ci vuole tanto impegno e anche qualche sacrificio».

Pensi che ci possa essere un ritorno in Italia in un futuro prossimo?

«La Toscana ovviamente è un posto bellissimo e mi farebbe piacere ritornare ma sono talmente innamorato del mio lavoro all’estero, della gente e della città in cui sto vivendo che onestamente non credo ci possa essere un ritorno. Poi non si sa mai, perché ci sono tantissime persone che sono venute a lavorare qua e che si sono innamorate del posto, ma poi la nostalgia le ha riportate in Italia. Al momento sto anche cercando di guardare il lato economico, quindi sto cercando di conoscere il governo spagnolo per capire come funziona il sistema contributivo e pensionistico per vedere se ci può essere un futuro migliore che in Italia. Sinceramente, ormai mi sono innamorato della cultura spagnola e ho creato anche una lingua tutta mia inventando delle parole dall’italiano allo spagnolo che ormai tutti sanno che dico solo io, possiamo definirla il “Donzegnòl”. Detto questo, rispondere definitivamente a questa domanda è un problema, ma purtroppo nonostante il dispiacere per la mancanza dei miei amici, dell’olio toscano e della schiacciata (perché in Spagna non sanno cosa sia la schiacciata e io invece ne vado pazzo) dico Viva la Spagna!».

Sappiamo che sei un amante del mangiare, che tua nonna è stata un grande chef e ora vivi da solo senza di lei…

«Senza di lei sono 9 kili in meno! E so che si arrabbierà se leggerà questo dettaglio perché l’attenzione che una nonna dà al proprio nipote è indiscussa. Stare senza di lei mi ha portato ad essere molto più indipendente, ho imparato molte cose in questi anni con lei dal punto di vista culinario. Non faccio niente di eccelso ma non faccio di certo morire di fame la gente! Quando ci si alza dal mio tavolo lo si fa con la pancia piena. Una delle cose più belle dell’andare a trovare mia nonna in Francia è che mi fa trovare sempre pronti dei barattoli di sugo al ragù; e una delle mie più grandi sofferenze è la base dei nostri piatti, quindi gli ingredienti come aglio, olio ecc perché qui tutti i condimenti hanno un sapore diverso».

Un’ultima domanda: qual è la cosa che ti manca di più della tua vecchia vita?

«Sicuramente il fatto di non avere più del tempo libero perché ho sempre qualcosa da fare. Mi mancano gli amici, mi manca il fatto di metterci in salotto a fare due chiacchiere piuttosto che portarli con me alle feste. Tra l’altro solo uno di loro, il mio grande amico Aldo Grassini, è riuscito a venire a vedermi suonare ad Ibiza e ad essere sincero mi piacerebbe averli tutti dietro la consolle mentre suono e fare una bella foto da appendere in camera. In più mi manca casa mia, perché la cosa più brutta di passare da un appartamento ad un altro è proprio quella, ovvero 4 mura che possa considerare mie. Però come detto prima mi manca riuscire ad avere un momento di tranquillità».

Lorena Deidda

Antonio Peragine

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