Una commovente lettera di addio. “Il dolore della perdita”

Una commovente lettera di addio. “Il dolore della perdita”

Riceviamo e pubblichiamo una nota carica di emozione….

Carissimo Andrea,

Oggi come ogni altro giorno ti penso. Cerco di pensare a te e non a quello che ti è successo, ma mi viene difficile, è come se la tua morte sopraffacesse ogni altro pensiero. Ho bisogno di qualcuno che mi dia istruzioni sulla vita, e nonostante tu fossi più piccolo di me, penso che potresti essere quella persona.

È stata una mia vecchia psicologa a dirmi di scrivere lettere per esprimere le mie emozioni. Prima le lettere della rabbia — ne ho scritta una alla nonna — poi semplicemente lettere che mi aiutassero a mettere ordine nella mia mente. Ne ho scritta una anche per il papà, e penso sia doveroso scriverne una anche per te.

Sei stata la luce della mia vita, e da quando te ne sei andato vedo solo il buio. È una mancanza asfissiante, ci sono giorni in cui penso solo a te dalla mattina alla sera. Da quando sei andato via, non c’è stato un singolo giorno in cui non abbia pensato a te, anche solo per un momento.

Una volta dalla finestra della mia classe ho visto una mamma camminare verso il cancello della scuola. Aveva un bimbo in braccio, e ho pensato fosse la mamma che mi veniva a prendere con te. È stato dopo che mi sono ricordata che ormai sei morto, e non avrei più visto te e la mamma venire insieme verso la scuola.

Fa male pensare a te, ma penso che farebbe più male dimenticarti. A volte credo che i nostri cugini l’abbiano fatto. L’altro giorno era la Cresima di Grazia — ha la tua età, e lo stesso giorno c’erano le Cresime nel nostro paese — e Laura, che è stata la tua madrina e ora lo è stata per Grazia, ha detto che il funerale più triste a cui sia mai andata è stato di un suo compaesano che aveva una ventina d’anni. Sono giorni che ripeto quest’interazione nella mia mente, cerco di rileggere le espressioni del viso di tutti i presenti, ma la cosa che mi chiedo di più è perché non sia stato il tuo il funerale più triste.

Se sapessero quanto sto male per te, starebbero più attenti? Forse, semplicemente, non gliene frega nulla. Secondo Simona, la mia psicologa, loro sono andati avanti, ma ciò non vuol dire che ti abbiano dimenticato. Spero abbia ragione.

Ricordo la prima volta che ti ho visto. Eravamo all’ospedale vecchio di Bergamo, e ho visto solo il tuo piedino che si muoveva, perché c’erano tutti i parenti che occupavano la grande vetrina davanti alle culle. Eri ricoverato tra i bambini in incubatrice, hanno dovuto fare il taglio cesario a mamma per tirarti fuori, non volevi lasciarla credo. Come darti torto.

Mamma è sempre la solita. Vuole fare quella forte, da quando sa che sto male ancora di più. Non la vedo piangere da qualche anno, ovvero quando mi ha accompagnato ad una seduta dalla mia vecchia psicologa, che mi ha aiutato a spiegare a mamma come sto davvero. Secondo lei — la vecchia psicologa — i genitori dopo la morte di un figlio si allontanano oppure stanno ancora più vicini, e facendolo si dimenticano degli altri figli.

Non so nemmeno io come mai sto così male. Vorrei dare tutta la colpa alla tua morte, ma non credo sia così, non sono l’unica ad averti perso. Sarebbe diverso se non avessi avuto nessuno, ma io avevo mamma, papà e nostra sorella. Forse è perché non so riconoscere le emozioni.

Ricordo una volta, stavamo davanti alla tua tomba. Non ricordo se ci fosse già la lapide o se ci fosse ancora la croce di legno, fatto sta che papà stava per piangere. Aveva gli occhi tutti rossi, ci ha passato le mani sopra, ma ho visto, e qualcosa dentro di me si è spezzato.

Dopo la Cresima di Grazia siamo andati a casa della zia Maria. La zia Caty parlava della nonna a un certo punto, e tutti ridevano, pure io. Ma mi chiedo cosa ne penseresti tu del mio ridere sui suoi ricordi, dopo quello che ti ha detto.

Non l’ho mai perdonata. So che le zie non credono che abbia detto quelle cose — “Soffocatelo con un cuscino” — lo capisco perché se ci credessero nemmeno loro l’avrebbero perdonata. Siamo una famiglia unita, ma a che costo? Perché tocca a me ingoiare il rospo quando ha sbagliato lei?

Una volta mi ha detto che le ricordavo sé stessa, perché anche lei ha perso un fratello. Marco, da cui il papà ha preso il nome. Penso spesso alle sue parole, perché spero non siano vere. Non voglio diventare come lei, non voglio essere cattiva gratuitamente. Vorrei essere come la nostra mamma. Voglio essere gentile e buona e generosa.

Non mi manca la nonna, anche ora che è morta. Mi è dispiaciuto per i nostri cugini e le zie quando è morta, soprattutto per il papà, ma il mio dolore si è fermato lì. Non mi ha mai toccata personalmente.

Non ricordo il tuo sorriso, e la cosa mi distrugge. Vorrei riuscire a farlo. Vorrei avere la tua memoria chiara nella mente, invece ricordo qualche spezzone e le fotografie. Ti ricordi la prima volta che ti sei tirato il piedino, e io stavo lì a farti mille foto? Vorrei ricordarlo per sempre, ma non credo sia possibile. Il tempo ti ruberà da me di nuovo.

Ho paura di invecchiare. Ogni anno che passa è un anno più lontano da te, e come tale si prende i tuoi ricordi. Mi chiedo se la mamma e il papà riescano a ricordare quale dei tuoi occhi avesse una piccola macchia marrone senza guardare le foto.

È morta una bambina a Vigolo. Aveva dei problemi di salute. Aveva appena dieci mesi. Egoisticamente, ho invidiato i genitori che l’hanno avuta per tre mesi più di quanto io abbia avuto te. Certe volte sono davvero cattiva. Poi ho pianto, perché era solo una bambina, e non se lo meritava.

L’altro giorno in macchina parlavo con la mamma. Lei diceva che nessun dolore per lei è paragonabile ad aver perso te, anche se i suoi genitori le mancano tutti i giorni. Io ho paura di perdere i nostri, controllo in modo ossessivo le loro posizioni, controllo se quando dormono respirano. Ho paura di conoscere un dolore ancora più grande di quello che mi ha dato la tua perdita, ovvero la perdita di un figlio. Farebbe più male? Spero di non saperlo mai.

Voglio avere dei figli un giorno. Da piccola ero convinta che se avessi avuto un figlio maschio, l’avrei chiamato Andrea. Ora non lo sono più. Penso che farebbe troppo male.

La nonna ha chiamato il papà come il fratello che ha perso. A volte pensavo che questo fatto ci abbia portato sfortuna, come se fosse un nome maledetto o qualcosa di simile. Ora sono cresciuta, ma ogni tanto lo penso ancora.

Odio vivere senza di te. Il cielo non è più altrettanto azzurro, il sole non splende più allo stesso modo. La bambina che è morta si chiamava Marta, e se non fossi morto anche tu, non avrei pensato a lei un minuto di più.

Mi piacevano i bambini da piccola, quindi averti è stata una benedizione. Ci siamo divertiti tanto insieme, lo so anche se non lo ricordo più tanto bene. Una volta ci siamo messi sul lettone di mamma e papà e fingevamo fosse una barca, e che la collana a forma di topolino che avevo fosse il nostro modo magico per cambiare posto. Penso spesso a quel giorno.

All’esame di terza media ho parlato di te. Ho scritto un testo che doveva essere un estratto dal mio diario personale, e parlavo di una giornata a Foresto con te e Grazia. Non ricordo nemmeno da quanto tempo non vedevo Grazia, non penso di averla vista molto da piccola, o se l’ho fatto non lo ricordo proprio. Era una giornata inventata, anche se dalla traccia doveva essere vera, e non ricordo nemmeno perché ho deciso di farlo. Forse volevo la pietà dei professori, forse volevo un voto alto assicurato, perché chi darebbe un voto basso ad una bambina che parla del fratello morto?

Mi piaceva parlare di te una volta. Presentandomi chiedevo agli altri quanti fratelli avessero, apposta per dire che io avevo perso te. Ricordo di averlo fatto con Carola sul gruppo di classe, e lei mi ha risposto che le dispiaceva, e io dissi qualcosa tipo “È passato tanto tempo,” ma erano solo tre anni. Ora sono tredici. Non riesco ancora a crederci.

Non ricordo cosa volessi dirti all’inizio di questa lettera, ma ora che la scrivo penso che non voglio finirla. Perché la vivo un po’ come una chiusura, come se dopo questa lettera ti avessi detto tutto, e potessi finalmente andare avanti. Voglio che tu sappia che anche se dovessi riuscirsi, se dovessi andare avanti, non ti dimenticherò. Ti voglio tanto bene.

Sempre tua,

Deborah.

Redazione

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