1865 Napoli nuova capitale d’Italia
di Francesco Antonio Schiraldi
Nel 1865 Napoli si trovò sul punto di diventare la nuova capitale italiana, succedendo a Torino, un ostinato veto impedì però che si compisse il trasferimento. Gli eventi e il loro susseguirsi rivestono una sicura valenza storica, molto istruttiva sugli sviluppi del nostro Paese.
Nel marzo 1861, raggiunta l’unità, Torino diventò la prima capitale del Regno d’Italia, sede scontata poiché fu la dinastia sabauda a giovarsi del processo unitario tanto che Vittorio Emanuele conservò la titolazione di ‘II’ come re di Sardegna, poco rilevante stimando la nascita del nuovo Stato unitario. Quattro anni più tardi, però, la capitale fu spostata a Firenze, per rimanervi fino al febbraio 1871. Quale fu la ragione del trasferimento che privava Torino del suo prestigioso status? La scelta, poi, cadde subito su Firenze?
Agli inizi del 1863 il bolognese Marco Minghetti assunse la carica di Presidente del Consiglio, carica che conservò fino al settembre 1864. In quello stesso mese Minghetti stipulò una convenzione con la Francia, ricucendo i rapporti con Napoleone III deteriorati a causa di strani maneggi internazionali di Vittorio Emanuele. Con l’accordo si ripristinava uno schema già definito da Cavour nel 1861: i francesi avrebbero ritirato da Roma le truppe poste a difesa del papato, l’onere sarebbe stato assunto dall’Italia che avrebbe trasferito la capitale nella più importante Napoli, dimostrando la rinuncia ad ogni pretesa di annettere Roma. Questa condizione fu nascosta a Vittorio Emanuele, si reputò infatti che soltanto messo di fronte al fatto compiuto il re si sarebbe piegato a firmare. In quella cruciale decisione, celante ben altri piani, Minghetti ritenne necessario ingannare il sovrano, insofferente di fronte alle restrizioni di un governo costituzionale.
Quando il re fu informato, reagì con la minaccia di non firmare il trattato. Si consultò poi con i suoi consiglieri privati, ma questi, in maggioranza conservatori, incitarono a rifiutare la firma. Il trasferimento della capitale intaccava il predominio piemontese, si era deciso di conservare la denominazione di ‘II’ per Vittorio Emanuele e adesso si doveva rinunciare a Torino capitale? Il rifiuto però avrebbe reso il sovrano avversario in una disputa pubblica di natura politica, fino ad esporlo ad una forzata abdicazione. Intravisto il pericolo e per non rendere noto il fatto di essere stato ingannato, Vittorio Emanuele diede il suo consenso. Tutto ciò che poté fare, con la sua influenza, fu impedire che la capitale venisse trasferita a Napoli, spostandola a Firenze.
Siamo ad appena tre anni dall’unità, lo spirito antimeridionale e la discriminazione territoriale già facevano capolino, si faceva strada la delittuosa disaffezione istituzionale che avrebbe causato il graduale arretramento del Sud e il suo ridotto sviluppo a favore di aree privilegiate della Penisola