L’interazione istruzione-lavoro renderebbe vincenti e pacifici i popoli?

Separare o mettere in conflitto mente e mano, intellettuali e lavoratori è suicida a livello nazionale;  e a livello mondiale è un crimine contro l’umanità che genera danni, tragedie e guerre senza fine.
L’uomo in buona salute psicofisica ha mente e mano che interagiscono. E gli effetti positivi o negativi dell’esecuzione manuale di un progetto, aiutano il progettista a capire cosa è giusto conservare e cosa correggere o migliorare.
Anche i popoli sarebbero in buona salute e in pace, se il sapere interagisse onestamente con la forza lavoro.
Se pensatori e operatori cooperassero invece di competere o confliggere, istigati da sindacalisti, politici e finanzieri.
Ma partendo dall’asilo, la politica lavora a separare il sapere che è nutrimento statico del cervello, dal lavoro, che oltre ad essere nutrimento e sviluppo dinamico dei muscoli, induce il cervello (valutando gli effetti dell’azione) a scegliere il modo migliore per rendere produttivo ed ecocompatibile l’adattamento umano a l’habitat.
Quindi la scuola, partendo dai grandi pensatori presocratici, socratici e pitagorici, distribuisce sapere storico e statico: ottimo per produrre automobili e conservarle in magazzino, ma non per fare di esse un uso costruttivo, formando autisti veramente capaci.
Mancando l’interazione, il dialogo onesto e costruttivo tra chi pensa e chi fa: pensiero e azione non sviluppano intelligenza dinamica; capacità di individuare ed eliminare gli errori con le soluzioni, per ridurre al minimo i danni individuali, sociali e ambientali. 
Tant’è che l’ingegnere meccanico ha bisogno della mano del collaudatore per capire cosa è giusto e cosa è sbagliato nel suo progetto. E della mano del meccanico per eseguire correzioni e riparazioni.
Insomma, spezzare la filiera, separare l’istruzione dal lavoro e il lavoro dall’istruzione, magari sarà pure positivo; ma mettere in conflitto la classe intellettuale e quella lavorativa è il primo crimine contro l’umanità che da sempre produce tragedie e guerre senza fine.
Il mondo industriale continua a sfornare macchine sempre più potenti e complesse senza mai domandarsi se il mondo dell’Istruzione sta rifornendo i sistemi sociali della giusta quantità e qualità di risorse umane, di tecnici, di autisti, di meccanici, perché i singoli e i popoli facciano buon uso della nuova tecnologia, magari con meno danni e meno vittime.
Produrre e immagazzinare mezzi e un lavoro difficile ma possibile. Formare autisti e meccanici capaci e affidabili, che non lo siano solo in teoria sulla scartoffia burocratica chiamata patente è un altro paio di maniche.
I robot e l’intelligenza artificiale sono quattro ferri appiccicati con la saliva, se l’istruzione non riesce a tenere il passo del progresso scientifico e tecnologico, distribuendo adeguata intelligenza dinamica alla collettività, che dei robot e dell’intelligenza artificiale dovrà sopportare i costi e possibilmente incassare i ricavi.
Mio padre aveva la capacità di produrre grandi quantità di mosto, ma mio nonno non riusciva a consegnare tutte le botti necessarie per contenerlo, trasformarlo in vino e conservarlo: e in casa nostra l’aceto abbondava.
Il mondo industriale, al pari di mio padre, produce un diluvio universale di tecnologia, ma è destinata a diventare aceto.
Promette miracoli e restituisce catastrofi, se la scuola che dovrebbe fornire le Botti del Sapereintellettualitecnici e governanti, non riesce ad adeguare la quantità e la qualità dei soggetti necessari per fare buon uso della nuova tecnologia.
E così le catastrofi socio ambientali sono servite, con effetti pari o superiori alla guerra.
Franco Luceri

Antonio Peragine

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