E’ ora, preghiamo fratello

E’ ora,  preghiamo fratello

Racconto 3p.

di Yari Lepre Marrani

Se non potevo uscire, scappare, se ero in prigione legato come un disgraziato al mio letto, un condannato, volevo almeno avere un po’ di luce e decisi di accendere un altro fiammifero per rompere quella insostenibile tenebra. Così presi il secondo fiammifero e lo sfregai con determinazione a terra, accendendone la capocchia. Ecco di nuovo un po’ di luce perché quella che filtrava dalla minuta grata sotto il soffitto era davvero inutile. E con il fiammifero acceso in mano, rialzatomi dal letto, deviato lo sguardo da quell’infame teschio che mi fissava incastonato nel muro guardai oltre, più in alto, spostandomi di qualche centimetro, verso quella parete dura e lubrica ad un tempo. Il silenzio che mi circondava era come una morsa per il mio spirito, simbolo e spettro del luogo medioevale in cui tragicamente ero imprigionato. Se ero in prigione quest’ultima doveva essere isolata o io dovevo esser stato abbandonato. Mi spostai leggermente a sinistra con la mia fiamma accesa e alzando il braccio di qualche centimetro con il fiammifero tra le mani feci un’altra scoperta. C’era un quadro. Era appeso a quel muro fradicio ma solido e aveva una cornice finissima, lavorata di color viola. Vidi in quel dipinto, sotto un cielo livido che, in secondo piano, sovrastava alte montagne, l’immagine di un vecchio uomo nudo con una lunga barba bianca con una luce d’infervorato misticismo negli occhi che guardava insù verso i cieli; era stato legato con una corda spessa bianca al tronco di un albero ed il suo corpo si piegava in una strana posizione, con le gambe magre, quasi scheletriche che a fatica sembravano sorreggerlo, in avanti, a qualche centimetro dal tronco. Attorno a lui tre uomini diversamente vestiti. Uno di loro aveva abiti semplici, un grembiule bianco chiazzato di rosso ed una specie di cappellino bianco più simile ad uno straccio che gli cingeva il capo, era grasso con braccia robuste e teneva in mano un coltello insanguinato. Dalla scena che vidi doveva essere un macellaio. Sia lui che gli altri 2 uomini erano attorno al vecchio uomo barbuto che guardava, esaltato o estasiato, i cieli, ed anche il terzo uomo, accanto alle gambe del vecchio, aveva un coltello. Tutti recavano in volto un’espressione bizzarra, di cinismo e austerità a un tempo. Il macellaio e il terzo uomo, con il loro coltelli, stavano strappando la pelle al vecchio barbuto ed estasiato e potei vederne due brandelli che già li avevano tolto dalle braccia. Accanto a loro, sulla sinistra, in piedi su uno ampio scalone che portava dentro al palazzo, un uomo cinto di abiti regali ornati di porpora, indicava giulivo e sorridente l’atroce supplizio di quel vecchio e con l’altra mano indicava se stesso. Tutto il quadro era immerso in un paesaggio brullo, con alcune case che, in secondo piano, facevano da sfondo accanto alle montagne verdi. Non mi fu difficile capire: doveva trattarsi di Astiage di Armenia, esultante in piedi, che assisteva compiaciuto al supplizio di San Bartolomeo che egli aveva ordinato fosse scuoiato vivo.  Una storia che conoscevo e di cui avevo visionato diversi quadri ma questo non l’avevo mai visto anche se non  sono un appassionato d’arte. Quel quadro, nel suo brullo contrasto tra la mostruosità del supplizio in primo piano e la serafica calma dei pastori in lontananza, delle montagne sullo sfondo,  mi raffreddò i nervi, mi raggelò il corpo che giaceva, terrificato, con quel fiammifero tra le mani, di fronte a quel quadro di feroce supplizio. Quel quadro cos’era? Perché era lì? Forse era un avvertimento per me… forse il mio destino era terribile, segnato, forse ero stato condannato!

Yari Lepre Marrani

 

Segue…

Redazione Radici

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