L’Opinione di Roberto Chiavarini
É bene fare una riflessione sul sostantivo “Perdono”.

Vi siete mai posti questa domanda: Cos’è concettualmente il perdono, in questa nostra società moderna?

In vero, il perdono, nella letteratura classica, rappresenta la ipotetica cessazione da parte nostra del risentimento personale, di cristiana memoria, verso chi riteniamo che abbia sbagliato nei nostri confronti, ovvero la nostra rinuncia a qualsiasi idea di vendetta o di punizione da comminare “all’altro”, per la sofferenza che ci “avrebbe inflitto” (il condizionale è d’obbligo), naturalmente interpretato secondo il nostro punto di vista.

Dell’intenzione religiosa riferita al perdono, abbiamo così un esempio su tutti nella nostrana letteratura, quando, il Manzoni, nel suo Romanzo dal titolo i Promessi Sposi, mette in bocca a Fra’ Cristoforo la famosa frase “Verrà giorno”, che il Frate rivolge personalmente al nobile e prepotente Don Rodrigo, non mancando di puntare il suo dito indice della mano destra verso il Cielo (in senso di ammonizione), proprio laddove risiede l’unico Tribunale possibile da adire, per essere giudicati e/o per invocare il perdono.

Ovvero, il Religioso, in quella circostanza da resa dei conti, afferma, così, la sua rinuncia a qualsiasi vendetta terrena per i soprusi commessi da quel Potente, in danno di due giovani fidanzatini, che il Frate tiene sotto la sua guida spirituale, tali Renzo e Lucia e, in nome dei quali, egli parla a Don Rodrigo…

Ma, al contempo, dall’alto del suo ruolo di rappresentante di Cristo in terra, Fra’ Cristoforo ricorda a Don Rodrigo che, un giorno, vicino e/o lontano non importa, sarà un Dio Superiore a giudicare e a punire i misfatti che quel Potente ha perpetrato contro i due giovani ragazzi, innocenti e puri, dimostrando, così, che il perdono non è di questa Terra.

Dunque, il Frate, non perdona né condanna Don Rodrigo, ma lo rimette alla Giustizia Divina.

Oltretutto, sappiamo come il perdono, sia un’arma micidiale nelle mani di chi, presuntuosamente avvolto nella bandiera del martirio cristiano, agendo quindi arbitrariamente, si metta, ipso fatto, nel ruolo di giudice supremo delle proprie azioni e ragioni, in applicazione al principio “dell’Ego assolvo” per sé stesso e di condanna per “l’altro”.

Ovvero, nel qual caso, il giudizio se pur di parte, non è applicato in termini di torti e/o di ragioni, ma in termini di forza (anche sproporzionata) da chi si senta dalla parte della ragione (e, quindi, del giusto), praticata attraverso l’appropriazione indebita di una posizione di privilegio, che gli consente di spogliarsi del ruolo di “parte in causa” e di assumere quello di “Terzo giudicante” (ovvero due ruoli in uno), così da valutare l’altrui comportamento e condannarlo in contumacia e/o, addirittura, senza il suo consenso.

Non vi narro quale “eco” devastante assuma presso il Popolino un simile perdono, che avvicina il maldestro, nell’immaginario collettivo, alla sua santificazione sociale, quale uomo buono e puro, pronto a perdonare … mentre in realtà condanna il suo avverso, per colpe tutte da dimostrare.

Infatti, quella forza riviene dal diritto arrogante di chi conceda il perdono “all’altro”, senza che “l’altro” lo abbia mai chiesto e, magari, senza che lo sappia (e, addirittura, non sappia neppure di essere il destinatario di un perdono) poiché, molto probabilmente, quest’ultimo, contrapposto ad una contestazione di colpa qualsiasi, potrebbe sentirsi inevitabilmente, egli stesso dalla parte della ragione.

Concludendo.

Il perdono, non può essere esercitato autonomamente solo da una parte che si ritenga lesa, ma deve essere concordato e concesso solo quando, anche l’altra parte presunta ledente, riconosca d’aver sbagliato e chieda inequivocabilmente il perdono al danneggiato, per i propri eventuali errori commessi.

Mia nonna, Donna “matriarcale” d’altri tempi, diceva dall’alto della sua riconosciuta saggezza: per comprendere i torti e le ragioni di un contendere insorto tra due persone, si rende necessario sentire sempre le due campane.

E in tema di perdono, perdonatemi Voi, se vi ho sottratto del tempo domenicale prezioso, invitandovi a leggere questo mio testo.

ROBERTO CHIAVARINI
Opinionista di Arte e Politica

Redazione

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