La Questione Meridionale

La Questione Meridionale

Editoriale del Critico d’arte Melinda Miceli  

Reduce dallo storico  Convegno sulla Questione meridionale, indetto dalla Svimar l’Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno e delle aree interne, riunendo Sindaci e Associazioni in un protocollo d’intesa tra il presidente della terza Commissione speciale aree interne, Michele Cammarano, e il presidente dell’associazione Svimar, Giacomo Rosa, ritengo opportuno pubblicare il mio intervento in merito, essendo stata invitata come relatrice. Il documento firmato a Napoli mira a sostenere lo sviluppo economico e sociale delle regioni interne, ridurre i divari infrastrutturali e territoriali, ridistribuire i servizi pubblici essenziali come istruzione, ricerca, università, sanità, mobilità, energia e beni pubblici, promuovere, tutelare e valorizzare il turismo. e cucina locale, prodotti alcolici, patrimonio culturale e risorse naturali, paesaggistiche e ambientali.

Il protocollo d’intesa apre un importante appuntamento di grossa importanza per la Campania e il Mezzogiorno che si è tenuto venerdì 26 gennaio a Pompei, dove ci sarà la l’assemblea-convegno degli Stati generali delle associazioni, dei sindaci e dei cittadini.

La Questione Meridionale che perdura si riferisce all’insieme dei problemi emersi nel Mezzogiorno d’Italia dopo l’unificazione del Paese nel 1861. Il Sud è stato a lungo caratterizzato da arretratezza economica e disuguaglianza sociale e ciò nel contesto storico e nel background della Questione Meridionale sono cruciali per comprenderne l’impatto sulla società e sulla politica italiana. Il Meridione era in gran parte agricolo basato sul sistema feudale che era piramidale mentre il Nord si stava industrializzando e modernizzando rapidamente. Questo netto contrasto nello sviluppo italiano, gettò le basi della Questione Meridionale, ovvero delle persistenti disparità economiche e sociali tra i due estremi della penisola. L’incapacità del paese di affrontare i problemi del Sud ha portato all’instabilità politica e ai disordini sociali. La mancanza di sviluppo economico nel Sud ne ha inoltre ostacolato la crescita e il progresso in termini di infrastrutture, istruzione e industria. La questione meridionale resta un problema nazionale che richiede una soluzione globale, ma l’incapacità o la riluttanza del governo ad affrontarlo ha contribuito all’ascesa del regionalismo e del separatismo.

L’impatto del divario sulla società e sulla politica italiana ha plasmato il panorama politico del paese, con l’emergere di movimenti regionalisti e separatisti. La questione meridionale ha avuto implicazioni anche per la reputazione internazionale del paese, poiché l’incapacità dell’Italia di affrontare le questioni del Sud è stata vista come un fallimento della nazione nel suo insieme mentre il Sud che continua ad affrontare sfide economiche e sociali. Comprendere il contesto storico, le questioni politiche ed economiche è fondamentale per comprendere l’Italia moderna e le sue continue lotte con le disparità regionali.

Dobbiamo però ammettere che “di fronte al Sud l’Italia non è oggettiva”.

In riferimento al Sud e al Nord, subito ci sovvengono due immagini totalmente divergenti.

Uomini di cultura o economisti difficilmente riescono a valutare in modo sereno e oggettivo la questione meridionale che non è solo tale ma che va a incidere su tutta l’immagine  dell’Italia all’estero.

Vi è quindi una sorta di pietà immotivata che vorrebbe fare del Sud un’eterna vittima a cui fare l’elemosina dimenticando totalmente una storia fatta di innovazioni, Premi Nobel, Patrioti, risorse geologiche e turistiche e un patrimonio agricolo smisuratamente più grande del territorio.

Dall’altra parte vi è una demonizzazione;  a parte qualche eroe il Sud viene visto come fucina di ogni forma di clientelismo e mafia.

Ora mentre la seconda visione, chiaramente ingiusta, viene respinta dalle persone di reale preparazione culturale scevre da pregiudizi e capaci di contestualizzare i fenomeni, la prima interpretazione sembra quasi giusta e dovuta, considerando quello che ha pagato il Sud come forza lavoro e offerta di risorse; da qui scelte come distribuzione a pioggia, senza controllo reale, di bonus e aiuti minimi e sicuramente inservibili per chi avesse voglia creare piccole imprese o acquistare apparecchiature moderne.

Altro punto dolente è la necessità di  spostamenti molto costosi per raggiungere le Università del Nord; particolarmente incomprensibile dato che sia la Medicina sia la Letteratura sono nate proprio al Sud.

D’altronde la mancanza di reali prospettive causa un abbandono scolastico di proporzioni inaccettabili.

Cosa fare quindi? Studiare la storia e

vedere come ci sia un’altra realtà, spesso taciuta in favore dei racconti verghiani, fatta di piccole imprese tessili ma anche

di epopee familiari come quella dei Florio in Sicilia. Una realtà storica che comprende la nascita della prima ferrovia fino a Portici.

Se c’è e ci deve essere una speranza per il Sud deve basarsi sulle peculiarità della cultura meridionale e sulla valorizzazione dei prodotti tipici, su una equa distribuzione delle risorse e della tassazione. Non si può pensare di estirpare una mentalità clientelare e di pura sussistenza senza far percepire lo Stato come padre comune anziché come uno dei tanti dominatori della Storia.

Dott.ssa Melinda Miceli Critico d’arte, editorialista

Antonio Peragine

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