I tormenti di un “Puntero”

I tormenti di un “Puntero”

di Fil De Fazio

Riesce indigesto all’Inter il Bologna, ormai è definitivo. Lo era stato nell’ottobre scorso, strappando il pareggio, lo era stato soprattutto due anni fa, quando vincendo 1 a 0 (ma si era a Bologna) costrinse la prima Inter di Inzaghi a dire addio ad una consistente fetta di scudetto, a favore del Milan. Oggi quella stessa banda abdica dalla sua coppa preferita dopo due anni di dominio. Ne esce male e subito, col traguardo talmente lontano da non intravvedersi nemmeno. Ne esce più per propri demeriti che per i meriti (che comunque non sono pochi) del Bologna. Ai rossoblù è bastato semplicemente ripetere, par-pari, il canovaccio della partita di campionato disputata il 7 ottobre scorso. Che si traduce in difesa ad oltranza, novanta minuti in trincea con il chiaro intento di tirarla fino alle calende greche, contando sull’aleatorietà dei calci di rigore. Una volta lì, affidarsi a quella lotteria che normalizza le differenze tecniche insistenti tra una squadra che costruisce e attacca, e l’altra che sta a guardare supinamente.

Ai calci di rigore infine non ci sono arrivati, ma è stato comunque un tiro dal dischetto determinare l’andamento del match.

Quello di Lautaro, parato da Ravaglia, al 63esimo minuto. Calhanoglu non c’era, e per un mai troppo chiarito mistero, pare che in sua assenza l’annosa incombenza tocchi proprio al “puntero” argentino. Non è invece un mistero invece quello che il medesimo di rigori ne azzecchi pochi. Gli impietosi numeri che lo riguardano raccontavano che ancor prima di quest’ultimo, di rigori ne aveva realizzati la miseria del 59 percento di quelli tirati. Per farsi un’idea più precisa, si tenga conto che la percentuale dei rigori realizzati in ogni campionato di serie A, viaggia abbondantemente sopra gli ottanta.

Ma all’Inter a quanto pare piace il brivido e così succede che anche un rigore degli ottavi di finale di Coppa Italia tracci una trama degna di un thriller.  E comunque, provaci tu a strappare il pallone dalle mani del capitano.

Lo spirito con cui i 70mila si sono accinti a seguire lo sviluppo di quella vicenda è stato quello della vittima sacrificale.

Lautaro Martinez si sa, è un goleador di razza, ed un rigore sbagliato non altera di una virgola questo assunto Ma egli e anche un istintivo, letale nelle sue estemporaneità. Si muove seguendo i puri impulsi delle sue sinapsi. Non è la logica ad indirizzarlo verso le porte, ma l’estro animale che capta il muoversi della sua preda.

Se lo metti davanti al dischetto del rigore, con l’azione congelata, e lo lasci solo con sè stesso, egli si perde nelle sue elucubrazioni, in cui si imparpaglia, incespicando nelle sue stesse idee.

“Come lo tirerò?” si chiederà guardando perplesso quel pallone innaturalmente fermo, con sempre rinnovata sorpresa.

Poi sfoglierà mentalmente il suo “Manual de futbol” fino ad arrivare alla voce “Còmo patear una penalti”, come tirare un rigore. Leggerà “Fuerte, en angulo y en cerca del suelo”, cioè forte, angolato e rasoterra”, come recitato da quel manualetto. Ci sarebbe una seconda opzione, apposita per i rigoristi più dubbiosi, “fuerte y central”, ma il Martinez ha già riposto il prezioso libricciolo in qualche anfratto della sua memoria.

Durante la rincorsa però gli emergono quei certi dubbi perché quelle poche nozioni gli si sono intoppate nella mente, come granelli di sabbia umida all’ingresso del restringimento di una clessidra. E’ entrato in uno stato di confusione tale che il calcio scoccato è la negazione di tutte le informazioni di cui si è ingozzato: debole, a mezza altezza, molto lontano dal palo che è alla sinistra di Ravaglia. Il portiere bolognese non crede a tanta benevolenza, persino potrebbe bloccarlo quel pallone, ma è talmente sorpreso da accontentarsi di respingerlo.

Redazione

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