Outline per storia pulp. Titolo indicativo “soffocanti aspirazioni”

Outline per storia pulp. Titolo indicativo  “soffocanti aspirazioni”

di Franca Picchieri

Lo scompartimento della metropolitana era pieno, come al solito. Ma era anche venerdì sera, pensò Shayla, aggrappata al corrimano come un pappagallo sul trespolo. Non vedeva l’ora di tornare a casa e di fiondarsi nella doccia. Serata sul divano in pigiamone di pelouche antistupro, come lo chiamava la sua amica Janet, con popcorn al burro e litri di bevande gassate. Alla faccia della dieta, per una volta.

Anche quel viaggio allucinante finì e percorse a piedi la poca strada che portava al suo appartamento, a Brooklyn. Assaporava già il tepore della doccia, il dolce del popcorn e le scene di quella nuova serie su Netflix, mentre una pioggerellina simile a nebbia liquida le attraversava i vestiti ed i pensieri. Odiava l’inverno.

La chiave girò con un po’ di difficoltà nella toppa, ma non ci dette grande peso. Maledetta umidità, si infilava dappertutto, pensò con leggerezza. Entrò  in casa. Una certa sensazione di attesa, di non compiutezza nell’aria che respirava si impadronì di lei; un sottile brivido di paura le corse giù per la schiena. Si dette della stupida. Certo, c’era in giro lo Strangolatore delle segretarie, come lo avevano subito ribattezzato i giornali. Ma lei abitava in un quartiere sicuro: su insistenza di sua madre, aveva fatto installare una nuova super serratura e aveva i fermi di sicurezza anche alle finestre. Al diavolo, era solo lo stress… al lavoro si era sfinita, quella settimana. E poi lei non era una segretaria, rise fra se’. Lei era assistente personale del Capo progetti, fresca di nomina. Altro che galoppina segretaria!  Si tolse in fretta i vestiti bagnati e corse ad aprire la doccia. Voleva che il suo minuscolo bagno, ribattezzato gabidoccia in un momento di follia, fosse in breve pieno di vapore, così da fare la sauna, oltre la doccia.

Stava armeggiando con batuffolo di cotone e struccante, quando si accorse che il vapore aveva appannato lo specchio a figura intera del bagno,  fortemente voluto  appena trasferita in quel bell’ appartamentino in una strada tranquilla di Brooklyn.

Con noncuranza cominciò a ripulire la condensa con la manica dell’accappatoio rosa coi coniglietti.

La visione terrorizzante di un qualcosa di invisibile tenuto da due guanti di pelle nera fu l’inizio del suo incubo, incubo destinato a durare il più possibile, come aveva deciso il suo quasi-assassino, un serial killer ancora piuttosto in erba ma con buone prospettive di fare carriera.

Lo sentì subito, sottile,  penetrante. Non era tanto la mancanza del respiro, ma la sensazione lacerante del filo da pesca di nylon che le penetrava nella carne, segandole la pelle ed i pensieri. Tutto diventò  come il peggior film splatter che avesse mai visto in vita sua. L’unica differenza era che lo stava vivendo, nel peggiore dei modi, con il sangue che le pulsava nelle orecchie, il terrore che le pompava adrenalina nei muscoli, il cervello che le gridava “Fa’ qualcosa, cretina, lo stronzo ti vuole ammazzare!”

Aveva letto che la morte per strangolamento è molto lenta, ci vogliono circa sei minuti. E che l’uccidere tramite strangolamento è una cosa molto personale, addirittura intima, fra vittima e carnefice.

Si riscosse da questi pensieri stupidi in quel frangente, e cercò disperatamente di fare qualcosa per salvarsi la vita, che certo in quel momento, per il suo assalitore, non valeva un soldo bucato.

Alzò le mani in alto, verso il collo, verso quello strumento di tortura che le stava facendo perdere le forze, la ragione e la vita, se non interveniva in fretta. In qualche modo riuscì ad infilare una mano nello spazio fra il filo e il suo collo, e provò a fare resistenza alla forza del suo assassino. Era proprio imbranato, come aspirante serial killer! Si era già stancato e per un attimo aveva allentato la presa. La troietta ne aveva approfittato subito, pensò con disappunto Bryan. Ma chi si credeva di essere? Sarebbe stata la quarta, ne era sicuro. Le altre tre erano state “di allenamento”, diciamo. Questa sarebbe stata il suo capolavoro.  Da quando aveva cominciato a strangolarla,  aveva dapprima visto il terrore nei suoi occhi, il rattrappirsi del suo corpo; poi, pian piano, il suo viso gonfiarsi e cambiare colore. Un immenso piacere, a dir poco sessuale, si era impadronito di lui. “Sìì, così, puttana, fammi godere..” era il mantra che il suo cervello malato gli mandava.

Le dita di Shayla si erano fatte strada a fatica nello stretto spazio creato dalla piccolissima esitazione del suo assalitore, un nanosecondo di respiro che avevano concesso le sue forti e tozze mani . Nonostante il terrore le sfiancasse la volontà e l’istinto di conservazione  le venisse già meno, trovò la forza di infilare due dita nello strumento che la stava portando alla morte: un robusto filo da pesca di nylon, ultimo brevetto, resistente a tiraggio di pesci del calibro di prede da pesca a strascico. Le pareva di vivere una scena al rallentatore. Non era vero che nei momenti prima di morire si riviveva tutta la vita: piuttosto, a lei passavano nello schermo del  cervello, sofferente per mancanza d’ossigeno, scene e spezzoni della sua pur breve vita. Un Natale particolarmente felice, la cerimonia del diploma, il primo bacio, la prima deludente scopata con Jack.

Scacciò quei pensieri e si concentrò solo su quelle due dita, la fonte della sua salvezza, in quel momento. Tentò di farsi ancora più strada in quel minuscolo spazio, ma lo stronzo raddoppiò gli sforzi e fece ancora più presa sul suo strumento di morte e,  per lui, di piacere. Un senso di vischioso calore la pervase: con orrore crescente, si rese conto che il filo di nylon le stava letteralmente tagliando le due dita. Lo specchio si macchiò del suo sangue, con spruzzi dapprima disordinati. Via via che le gocce presero a scendere sulla sua superficie, cominciarono a creare un disegno, come di ragnatela postmoderna.

“Bello, però, bel disegno…” si ritrovò a pensare. Il suo cervello annebbiato stava cominciando a sragionare.

Un clangore metallico si sentì nel lavandino. Insieme a quattro falangi delle sue dita era caduto anche il pesante anello d’argento che lei portava sempre, vezzosamente, sulla prima falange dell’indice.

Non sentiva dolore, l’adrenalina in circolo copriva tutto. Lo strangolatore delle segretarie stava rimirando il suo operato. Come il filo di nylon, dapprima quasi invisibile, si era ora colorato di un bel rosso carminio. Amava ciò che stava facendo, si sentiva nato per questo. Era sull’orlo di un orgasmo tantrico. Ma si trattenne. Voleva che quei momenti durassero all’infinito. Il sangue sullo specchio stava creando dei ghirigori… carini. Gli piaceva il sangue. Era la prima volta che un suo assassinio sfociava nel sangue. Lui preferiva strangolare le “sue troiette”,  come le chiamava, perché dava soddisfazione ed era un lavoro pulito. Ma era pronto a cambiare il suo modus operandi. Chissà, forse poteva servire a depistare i sospetti degli sbirri su di lui. Si ritrovò a pensare come sarebbe stato tagliuzzare con un bisturi le sue prossime vittime.. pian piano, prima una tetta, poi un pezzo di gluteo…sì, sì, poteva andare, per il futuro.. ma adesso doveva concentrarsi sulla troietta di turno. Però, era da ammirare: le altre non avevano fatto resistenza come lei. All’inizio sì, come da copione: una non può buttare via venticinque anni di vita così, in un attimo; deve pur lottare, almeno un po’, per salvarsela. Anche se lui sapeva già che in quei momenti di raro godimento era lui, il giudice supremo di quelle vitucce da poco. Ricordò con voluttà i suoi precedenti omicidi; forse un po’ goffi, ma ci era riuscito, no?  Ne aveva  goduto immensamente,  neanche come dopo una  memorabile scopata  con la più esperta puttana esistente sulla Terra. A trovarla.

Ricordò con piacere estremo tutte e tre le scene dei suoi delitti: dapprima, le facce di stupore di tutte le sue vittime. Poi, a seconda  della persona, terrore, paura, in  una persino rimpianto. Ma il più soddisfacente cambiamento che vide fu il colore  sui volti delle sue vittime: da pallide per il terrore, a rosse per la paura, a violacee, quando stava per giungere la loro ora. Il top comunque era come diventavano, dopo morte. La lingua penzolava fuori dalla bocca, inutile strumento di chiacchiere in vita e magnifico orpello, in morte. Una di loro,   addirittura, l’aveva lunghissima: affascinante, ma un po’ schifoso da vedere.

Si chiese come sarebbe stata la lingua dell’attuale troietta. Mancava ancora un po’, a dire il vero. Si era perso a vedere i ghirigori di sangue che continuavano a ricamare macabramente lo specchio. Erano passati un paio di minuti dall’inizio del “viaggio”, come lo chiamava lui. Sì, paragonava i suoi delitti ad uno sballo da crack. Meglio questo, comunque. Dopo un trip di crack, gli ci volevano almeno un due giorni per riprendersi. Faceva schifo pure come drogato.

Dunque, era appena all’inizio, la goduria. La troietta, dopo aver visto e sentito cadere due delle sue dita nel lavandino, si era come persa, sospesa. Lui la teneva strettamente ancora sotto il suo potere, ne era certo. Poteva tornare a concentrarsi sul suo estremo piacere…

Shayla scelse proprio quel momento per reagire, per tentare il tutto per tutto. Sentiva le forze che la stavano abbandonando, come la speranza. Ma non poteva finire così, dopo tanti sforzi per arrivare dov’era adesso: la giovinezza da spendere, un buon lavoro… chissà che altro. Invece, per adesso la faceva da padrone il terrore puro, le sue povere dita mozze nel lavabo, il suo povero specchio da mille dollari tutto imbrattato di sangue, per non parlare del suo povero accappatoio coi coniglietti… sarebbero andate via le macchie di sangue dalla ciniglia?

Si diede della cretina. Chissenefrega dei coniglietti, pensa alla tua vita, adesso, povera stronza! Ah, meno male, il cervello o meglio, il suo subconscio aveva analizzato la situazione ed elaborato, si sperava, una soluzione.

Con la forza della disperazione, fece un mezzo giro, come le avevano insegnato al corso di autodifesa per donne, e scoccò una gomitata al plesso solare del malcapitato aspirante assassino. Approfittando dell’attimo di dolore e di stupore di Bryan, Shayla rincarò la dose e sferrò una bella calcagnata nei paesi bassi dello stronzo. Un mugolìo di dolore misto a rabbia cieca uscì dalla bocca dell’uomo. Era il primo suono di dialogo che si scambiava quella strana coppia di antagonisti.

Quasi quasi gli fece mezzo piacere, perché era pure masochista, ma li comandava lui e fu più l’offesa al suo ruolo di maschio alfa che altro, che lo fece reagire con una violenza che non sapeva neanche di possedere. Continuò a tenere con una mano il filo di nylon intorno alla gola della malcapitata, e con  l’altra la prese per i capelli e le lanciò, letteralmente, la testa sullo specchio. Mille pezzetti di vetro colorato del sangue della troietta si scagliarono  nell’aria, in tutte le direzioni. Avendo le mani occupate, Bryan non riuscì a scansare qualcuno di quei pezzetti. Un quasi perfetto triangolo di specchio gli finì nella palpebra destra. Parte più delicata e pelle più sottile del corpo: il pezzetto, a quella velocità, ebbe l’effetto di un rasoio e gli tranciò mezzo occhio. Adesso fu il suo turno di sentire vischiosa sensazione di umido calore: con l’altro occhio, dopo un momento di stupore, intravide quello che era il suo occhio destro, trasformato in un sanguinolento brandello di pelle gocciolante che lo faceva somigliare ad un mostro dei cartoni animati. Non ci vedeva, da quell’occhio: l’emorragia era davvero copiosa. Tutto, per metà, davanti a lui, era dipinto di rosso terrore.

Maledetta, gli aveva rovinato il viso e la mantrica esperienza. Con un urlo sovrumano le mollò la testa e con la mano libera recuperò una salvietta di un tenero color rosa, con la quale si tamponò alla bell’e meglio lo spaventoso squarcio che quella gran vacca gli aveva procurato.

Era talmente preso dalla sua situazione e dal suo occhio, che non si era accorto che, comunque, il peggio era capitato a Shayla. Dopotutto, lui era dietro di lei, che gli aveva a malapena fatto scudo col suo corpo.

Il peggio era proprio toccato alla troia, e ben le stava. Adesso lo specchio era ridotto proprio ad un’opera d’arte di molta avanguardia. Shayla aveva letteralmente sfondato lo specchio con il naso:  parte  dei denti superiori erano scheggiati. Il naso era rotto e schiacciato, massa sanguinolenta. Due incisivi volarono per il bagno: uno fece canestro nel bicchiere del dentifricio. Nell’impatto, si era lacerata le labbra di cui andava tanto fiera, alla Angelina. Anche quelle erano strappate e sanguinavano molto. Fu colta di sorpresa,  pensò che stava per arrivare la fine.. ma non poteva arrendersi, non ora. Dopotutto, era riuscita a difendersi, e lo stronzo era malmesso pure lui. Non quanto lei, che ormai vedeva tutto il suo bel bagno tutto rosso di sangue in ogni dove. Il tipo doveva essersi incazzato non poco, perché riprese a stringere il filo di nylon, con più forza di prima, se fosse stato possibile. La vista le divenne viola a pallini gialli. Era subentrato lo choc, evidentemente, e l’adrenalina non aiutava più tanto.

Ebbe la sensazione che qualcosa era cambiato, dopotutto. Fu nell’attimo in cui lo stronzo mollò la presa per prendere uno dei suoi più begli asciugamani del corredo per tamponarsi l’occhio, ora  più simile ad una tartare che ad un occhio. Ben ti sta, stronzo, pensò, ma fu una magra consolazione. Pensavi che avrei subito passivamente? Non mi conosci, evidentemente.

Respirava a mozzichi, adesso mezzo soffocata dal sangue che usciva dal naso, sfracellato dal colpo sullo specchio, inferto con inaudita ferocia da quell’essere immondo che pensava di poter disporre della sua vita, a suo piacimento. Come se non bastasse lo strangolamento con quel cazzo di filo di nylon! Ai pallini gialli si erano unite delle strisce viola. Era grave? Evidentemente sì, cretina! Che fai, ti lasci andare? Lotta, reagisci, che aspetti? L’angelo custode? Spiderman? Muovi quel culo, fa’ qualcosa!

Ok, ok, sta’ calmina, ragazza. Il suo subconscio era parecchio incazzato, supponeva.

Senza più idee, fece l’ultimo gesto che le suggerì l’ineluttabile consapevolezza che stava per scattare la sua ora: con la mano sana mise due dita nell’unico occhio sano restato allo stronzo.

Per una volta, ringraziò il fatto di farsi un’assurda manicure con unghie da vampira, a questo punto diventate la sua unica arma a disposizione. Pur sempre di plastica, ma ben affilate. Gliele piantò, letteralmente, nell’occhio sano.

Un urlo disumano uscì dalla bocca dello stronzo: non poteva credere che quella puttana avesse trovato un altro modo per  fargli del male. Fu meno efficace, comunque: evidentemente, stava finalmente perdendo le forze e, di conseguenza, fra poco la vita.

Basta, troia, mi hai stufato! Si disse Bryan. ‘Fanculo l’esperienza tantrica, ne aveva le palle – doloranti, al momento  – piene. Adesso l’importante era finire, dare la stretta di grazia a quella bastarda che gli aveva rovinato tutto, esperienza, godimento, occhio… l’avrebbe pagata. Poco ma sicuro.

Tentò un’ultima volta di recuperare un briciolo di piacere tantrico da tutto quel gran macello in cui si era trasformato il suo quarto delitto: il suo sguardo sciancato si aggirò per il bagno, ridotto peggio di una sala operatoria dopo un’operazione di otto ore. Sangue dappertutto. Schizzi su quello che restava dello specchio, sangue sulle belle piastrelle bianche,  sulle suppellettili, sulla  biancheria da bagno, Un troiaio. Posò lo sguardo ancora e ancora sul filo di nylon, ben avvolto nel collo della tipa. Che stava cambiando definitivamente colore, finalmente! Alla buon’ora. Era stanco, era stufo di quella situazione. Aveva bisogno di una bella cucita al suo occhio. Sarebbe restata la cicatrice. La stronza! Meritava ancor più di morire, decise, ed in fretta.

Raddoppiò gli sforzi, strinse più che potè le mani e il filo di nylon intorno al collo di Shayla. La lingua si stava gonfiando, aveva il viso viola e stava per soccombere.

L’ultimo soffio di vita le suggerì un disperato tentativo; avrebbe fatto come le bestie,  quando sono in estremo pericolo: si sarebbe finta morta, e avrebbe aspettato la reazione dello stronzo.

Con gesto teatrale, si lasciò cadere verso il basso, tipo per comunicare al suo assassino che aveva finalmente tirato le cuoia. Peccato che nessuno le avesse spiegato che un corpo privo di vita scivola verso il basso, quando cade. Lei si fiondò sul pavimento come se dovesse placcare il quarterback dei Red Socks.

Ma non importava, di nuovo: l’inesperienza di serial killer dello stronzetto era imbarazzante. Ma come, era già tutto finito?

Il pensiero lo turbò, un pochino. No, non era rimorso, ci mancava solo quello: la troia si era meritata tutto quel casino. No, ci era rimasto male, ecco. Pensava di migliorare, con la pratica, invece.. stavolta era proprio andato tutto a puttane.

Dunque, non tutto era perduto: aveva imparato che tante cose avevano il potere di farlo godere, in tanti sensi.

Non solo la sensazione di potere, a stringere il filo di nylon intorno al collo della vittima. Non solo il sangue, copioso veicolo al suo malato piacere. Anche la violenza ben assestata aiutava. Era proprio soddisfatto.

Shayla stava li, sul  pavimento, immobile come una statua. Faceva di tutto per non farsi accorgere di  non essere affatto morta. Cosa sarebbe successo, ora?

“Cazzone, non vedi che è ancora viva? Fa le bolle col sangue,  mentre respira. Ma chi ti ha mandato, si può sapere?”

Il regista era seccatissimo, si sentiva dal tono della voce. Girare snuff  movies non era affatto facile. Dovevi trovare la location, il coglione che si prestava ad essere filmato mentre commetteva un efferato delitto, e poi i tempi.. bisognava fare in fretta. Non c’era script.  La trama era: vai li e uccidila. La ragazza era una prostituta drogata che pensava di farsi un’ammucchiata, guadagnare un sacco e tirarsi via dai marciapiedi per un bel pezzo. Poverina, era altro il suo destino, per quella sera. La distribuzione agli appassionati del genere era la cosa meno complicata: il dark  web aiutava di molto.

“Allora, che aspetti? Va’ li e finiscila. Dai, che per stasera ne ho i coglioni pieni.”

Bryan, preso alla sprovvista, si abbassò e in dieci secondi finì il suo lavoro. Le riprese erano soddisfacenti.

Tutto il casino dello specchio non era certo previsto. Non era previsto nemmeno che si sfigurasse l’occhio in quella maniera. Adesso, probabilmente, tutti i soldi che gli avrebbero dato per questa sua interpretazione da Oscar, sarebbero andati ad un bravo chirurgo plastico. Come attore e come assassino faceva proprio schifo.

Si tamponò ancora l’occhio con l’asciugamano, ormai zuppo.

Gettò un ultimo sguardo al set, a quel bagno devastato di sangue, al corpo di quella povera ragazza, che probabilmente avrebbe ricevuto sepoltura in un bel pilone di cemento.

Non lo eccitava affatto, ovviamente, tutto questo, lo aveva fatto solo per i soldi. Tanti soldi.

Realizzò in quel momento cosa aveva effettivamente fatto, quella sera. Vomitò, a spruzzo, in quel bagno che entro sera sarebbe stato sventrato, per non lasciare prove: il suo vomito e la sua bile verdastra si mescolarono al rosso del sangue.

Redazione

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