Sì, parlare di salute mentale e malattie mentali è ancora un tabù

Sì, parlare di salute mentale e malattie mentali è ancora un tabù

Ci sentiamo tutti veramente liberi di dire alle persone come ci sentiamo?

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), le malattie mentali colpiscono 1 persona su 8. Solo nel 2019, 970 milioni di persone soffrivano di disturbi mentali. Le più colpite sono proprio le donne, 1 su 4 rischia di soffrire di un disagio psichico nel corso della propria vita. Le donne colpite da problemi di salute mentale rappresentano circa il 53%, in quanto hanno una probabilità quasi tre volte superiore rispetto agli uomini di soffrire di un disturbo mentale. Gli uomini invece rappresentano il 29,3%. I disturbi mentali più diffusi sono: l’ansia (31%), e la depressione (28,9%). In tutto il mondo sono circa 300 milioni di persone a soffrire di depressione, e anche in questo caso le donne sono maggiormente colpite rispetto agli uomini. 24 milioni di persone soffrono di schizofrenia, mentre 46 milioni sono affette dal disturbo bipolare. Nel mondo ogni anno si tolgono la vita circa 700 mila persone.

Da sempre le persone affette da gravi disturbi mentali sono state trattate come dei reietti, sottoposte in passato ai più crudeli trattamenti: lobotomia, esorcismi,torture. Purtroppo nel Medioevo le persone che manifestavano comportamenti bizzarri, si pensava che fossero possedute dal demonio e venivano anche condannate al rogo. Nei manicomi avvenivano le peggiori delle atrocità, avveniva la disumanizzazione dell’essere umano, perdendo così la loro identità. Ma lì non vi ci finivano solo quelli considerati “matti”, ma anche gli omosessuali e tante donne. Queste persone venivano sottoposte all’elettroshock oltre che alla lobotomia. Erano tecniche utilizzate per tenere sotto controllo il comportamento di individui ritenuti strani e scomodi per la società. Tutte le persone che non ricoprivano un ruolo nella società, che venivano considerate economicamente problematiche, con ritardi cognitivi, che non erano in grado di svolgere un lavoro, o che appartenevano a famiglie borghesi alle quali potessero rovinare in qualche modo la reputazione, venivano rinchiusi in quelli che noi oggi chiamiamo “ospedali psichiatrici.” Esseri umani privati della loro umanità, allontanati dalla società, sottoposti a delle vere e proprie torture, perché non vi era questa sensibilità che vi è oggi nei confronti di chi lotta con un mostro interiore, invisibile agli occhi degli indifferenti.

Ma ancora oggi nonostante abbiamo compiuto enormi passi in avanti sul trattamento di queste malattie, ci sono ancora molti tabù, si prova ancora molta vergogna nel voler parlare di salute mentale. Le persone vengono etichettate molto spesso come “strani” o “matti.” Oggigiorno ancora molte persone provano vergogna e paura a dire a chi gli sta accanto di stare male, per paura di essere allontanate, per paura di essere giudicate, per paura di non essere capite e confortate. La malattia mentale non è una scelta, non è uno stile di vita, non è una scusa per non avere una vita normale. La malattia mentale è qualcosa che può capitare a chiunque, come una qualsiasi altra malattia fisica. Così come il cuore può avere problemi, così anche il cervello può averne. Mente e corpo non sono due cose separate, l’uno influenza il benessere dell’altro. Eppure se si hanno problemi al cuore si va dal medico, senza vergogna, allora perché se sentiamo di stare male psicologicamente dobbiamo vergognarci? Perché non può esserci un’assistenza sanitaria completamente gratuita per tutti coloro che non possono permettersi uno specialista privato? Perché sottovalutare un tema così importante? Tante volte si tende a sottovalutare le situazioni, e purtroppo alcuni disturbi mentali possono portare l’individuo che ne è affetto a compiere gesti estremi su se stessi ma anche sugli altri. Saper accogliere, confortare, aiutare e ascoltare qualcuno che sta soffrendo è la più alta forma di umanità che ci possa essere. Discriminare o allontanare chi è affetto da problemi mentali rende le persone brutalmente insensibili e incapaci di provare empatia, di fronte a un malessere che è reale e non inventato.  Non aiutare qualcuno affetto da gravi problemi mentali che ha commesso dei gesti estremi su se stessi o sugli altri, ci rende in qualche modo complici di quel gesto.

“Quando siamo troppo allegri, in realtà siamo infelici. Quando parliamo troppo, in realtà siamo a disagio. Quando urliamo, in realtà abbiamo paura. In realtà, la realtà non è quasi mai come appare.” Virginia Woolf

Non sempre le cose sono come ci appaiono. Una persona può essere in grado di nascondere il proprio malessere al mondo esterno, può sorridere sempre, ma soffrire dentro, uscire di casa ma avere paura, trovarsi in mezzo alla folla ma essere pervasi da una forte ansia. Solo perché una cosa non si vede non vuol dire che non c’è. Solo perché non vediamo qualcuno piangere o urlare, non vuol dire che quella persona non stia soffrendo. Alle volte dietro a molti sorrisi si nasconde un grande dolore, dietro a un gesto si può nascondere tanta sofferenza. L’empatia collettiva dovrebbe spronare le persone a voler aiutare il prossimo, a non giudicarlo, perché a tutti può succedere di stare male, di aver bisogno d’aiuto, perché nessuno è immune alle malattie. Un tema assai delicato, che purtroppo ancora oggi si fa fatica a parlarne nelle scuole, nelle università, ai docenti, nelle famiglie. Questo forte bisogno di dover per forza etichettare una persona, dando un nome al suo stato mentale chiamandolo “pazzo”, “strano”, “complicato”, “inadeguato”, non fanno altro che rafforzare il suo malessere, e a far sentire queste persone “diverse”, ed escluse dalla società.

Redazione

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