“Mamme in piazza per la libertà di dissenso”

“Mamme in piazza per la libertà di dissenso”

Impegno civile e Polizia penitenziaria alle Vallette tre suicidi in un’estate, due soluzioni

di Serena Campanella

24 agosto, nel caldo più bollente di Torino, fuori dalla Casa Circondariale Lorusso-Cotugno, che i torinesi chiamano Vallette, come il quartiere del suo indirizzo, si sono radunate le donne del comitato torinese “Mamme per la libertà di espressione”, affiancate dalle attiviste femministe del comitato “Non Una Di Meno-Torino”.

C’è stata una manifestazione pacifica di donne e uomini che volevano mostrare vicinanza dall’esterno alle donne e agli uomini che, delle Vallette, vivono l’interno. Musica alta, rassicurazioni al megafono e solidarietà. Nessuna folla a supportare i tanti detenuti nell’ennesimo carcere sovraffollato d’Italia. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, al 31 luglio 2023, comunicava la presenza di 1446 persone nella casa circondariale, la cui capienza è stimata alle 1118 unità. Eppure, le voci che c’erano fuori, si facevano sentire.

C’era Diana del comitato “Mamme per la libertà di espressione” e accanto a lei c’era Elena. Il comitato non gerarchico è nato tra il 2015 e il 2016 spontaneamente, dopo 28 misure cautelare a seguito di manifestazioni politiche di vario genere a Torino e continua a essere alimentato dalle madri torinesi che hanno visto e vissuto quelle misure assegnate ai loro figli.

Il figlio di Diana adesso è un insegnante di fisica e matematica, ha vinto il concorso pubblico, ha un dottorato al Politecnico e la sua cattedra. Nei primi cinque anni degli Anni 10, Jacopo ha ricevuto per due volte misure cautelative. Diana dice di non ricordare nei dettagli quelle date che lei, suo figlio e la loro famiglia hanno vissuto. Jacopo ha trascorso poche settimane tra il carcere di Asti e quello di Torino e poi cinque mesi ai domiciliari. Jacopo aveva 23 anni ed era un manifestante NoTav in Val di Susa. È stato arrestato una volta in Valle e una volta a Torino. A quarant’anni non ha cambiato i suoi ideali, ha cambiato modo di manifestare, per non rivivere il suo passato, ma Jacopo difende ancora quello in cui crede.

Francesco, il figlio di Elena, sta aspettando il suo processo di primo grado a fine settembre. Ha ricevuto misure cautelative a seguito degli scontri contro il sistema della scuola-lavoro dello scorso anno, davanti all’Unione Industriali di Torino. Francesco aveva 20 anni. Elena non parla del suo trattamento, Elena dice che suo figlio adesso fa il perito informatico e non protesta più. Lei è lì a manifestare anche per lui però. Anche per l’ansia che continua ad accompagnare Francesco dopo due mesi e mezzo alle Vallette e cinque ai domiciliari. Elena parla soprattutto di questo. Del segno lasciato su chi ha messo lei al mondo.

Erano lì, per questo, quelle persone di Torino. Per parlare ad alta voce, davanti al carcere, delle condizioni dentro il carcere.

Nicoletta del comitato e l’Istituto Antigone segnalano entrambi l’assunzione di psicofarmaci da parte di 1100 detenuti e detenute al Lorusso-Cotugno, nel particolare erano in 1100 ad assumere sedativi e ipnotici, come le benzodiazepine secondo, l’ultimo report di Antigone del 2022. Le diagnosi psichiatriche gravi erano 35. Dall’interno i detenuti testimoniano ai comitati, alla loro garante, alle associazioni che, non sempre, le cure farmacologiche sono accompagnate da supporto medico. L’Istituto Antigone segnala la presenza di un medico per 24 ore al giorno. Ma nel 2022, Antigone dichiarava che solo una sola porzione del reparto Sestante (reparto per detenuti con infermità psichica) fosse operativa, poiché i lavori di ristrutturazione dovevano ancora essere completati. Le persone sottoposte a osservazione psichiatrica venivano temporaneamente sistemate in una parte del padiglione D e in due camere per la notte nel padiglione femminile. Tuttavia, per le pazienti donne, non era stata istituita una struttura specificamente dedicata alla cura psichiatrica. Si è in attesa del report dell’Istituto Antigone 2023, ma l’11 agosto appena passato Azzura Campari è riuscita a suicidarsi all’interno dell’Articolazione per la salute mentale, aveva un passato di tossicodipendenza e autolesionismo. L’Istituto Antigone indagherà anche quest’anno sulle condizioni attuali del reparto dove Azzura non ha più voluto respirare. Di sé Nicoletta dice che è lì solo come attivista per denunciare le condizioni là dentro. Perché alla sezione femminile delle Vallette sono morte tre donne nella stessa estate quest’anno, dal primo suicidio del 29 giugno agli ultimi due dell’11 agosto. La rete di solidarietà territoriale protesta perché Graziana, Susan e Azzurra non dovevano morire. Perché richiedono più umanità per ogni detenuto, soprattutto adesso per la attivista NoTav Francesca, detta Cecca.

La testimonianza di istruzione nel penitenziario è un esempio di quell’umanità richiesta e un’insegnante di lettere in pensione, Mirca, che adesso insegna volontariamente ai detenuti che desiderano diplomarsi e che sono al padiglione A maschile.

Mirca era anche lei fuori dal Lorusso-Cotugno e dice che i suoi studenti hanno tanta fiducia in chi viene da fuori e raccontano tanto, parlano con lei e scrivono anche per lei. Le regalano pagine di diario, temi, poesie. La scrittura per i carcerati diventa terapeutica, Mirca li chiama poeti e vede che sono persone che hanno abbandonato la scuola, che spesso hanno dovuto abbandonarla e che hanno dietro un passato fatto di difficoltà che lei conosce bene, ma adesso si impegnano, i loro compiti le tornano indietro puntuali. Mirca vede in loro l’interesse, quegli uomini e quelle donne sono volontariamente lì con lei per imparare. Nessuno sconto di pesa, nessun attenuante per chi studia in carcere. Loro sono là e li vede appassionarsi di storia, letteratura, iniziare a parlare di attualità, perché seguono tantissimo i telegiornali. Mirca la vede ogni giorno la loro volontà di cambiare e la loro paura dello stigma che riceveranno domani, quando saranno fuori e anche se ci stanno provando a cambiare, lo sanno che nella realtà fuori dalla casa circondariale quel cambiamento non viene riconosciuto da tutti, che i loro errori li accompagneranno comunque. Graziana, il 29 giugno 2023 si è suicidata dichiarando anche la paura del giudizio che l’avrebbe accompagnata fuori, perché considerata un’assassina.

Anni e anni fa, all’inizio della sua carriera, sempre Mirca insegnava in una scuola elementare del quartiere Vallette ed erano i genitori di quei bambini a dormire nel carcere lì vicino. Nelle storie passate dei detenuti di oggi, Mirca rivede le storie che vivevano i suoi alunni alle elementari di ieri. Lei lo ribadisce che sono eccezioni i detenuti e le detenute provenienti da ambienti agiati e si chiede se il problema di cui preoccuparsi sia solo dentro il penitenziario, sussista solo quando quegli adulti ci finiscono. Mirca si chiede se non ci sia da pensare alle condizioni che certi uomini, donne e bambini vivono anche all’esterno di quelle mura.

Il sindacato Osapp, Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria, dichiara ingestibile la situazione all’interno della struttura e richiede al governo l’introduzione dell’esercito.

La rete di solidarietà ai detenuti e alle detenute torinese riconosce la difficoltà delle situazioni a sua volta e richiede l’introduzione di più personale medico, psichiatrico, psicologico, di più educatori e di più mediatori culturali. Bisogna evitare ulteriori tragici epiloghi come quelli avvenuti in questi ultimi mesi, come quelli avvenuti del 2022, anno in cui Antigone segnala altri 4 suicidi all’interno di quella stessa struttura.

Adesso sta al governo gestire il braccio di ferro tra il sindacato e la rete locale di supporto a Torino, per capire per quale delle due soluzioni stanziare i fondi, ponendo attenzione alla peculiarità delle ultime tre perdite subite solo al Lorusso-Cotugno e in pochissimo tempo.

Redazione

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