Mauro Cascio, il suo Pozzo, e la differenza tra Arte e propaganda

Mauro Cascio, il suo Pozzo, e la differenza tra Arte e propaganda

di Mirko Crocoli

Plauso di pubblico e critica per il nuovo racconto del filosofo hegeliano Mauro Cascio, premiato di recente anche a Manfredonia e di cui le principali testate nazionali, tra le quali Ansa, AdnKronos, il Fatto e Affari Italiani, parlano come di un talento da riscoprire, con un nuovo stile di narrazione, di certo innovativo, perché fresco, dinamico, surreale. Autore prolifico Cascio, già presente in libreria con precedenti opere, «Piazza Dalmazia», «Sposerò Rossana Doll» e «Davanti alla fine del mondo», con «Un Pozzo di Abati e di Principi» (Gruppo Ed. Bonanno) – che in realtà si sarebbe dovuto titolare «L’Orecchio di Dionisio», e già questo accende l’interesse – apre nuovi scenari che esaltano il piacere della lettura.

Il ‘set’ è Catania, non Siracusa, comunque sempre la sua Sicilia (Cascio è nato a Palermo), i metafisici ‘ciak’ tra stanze di hotel, percorsi teoretici, abazie e aule giudiziarie, popolati da personaggi tutti da amare e da scoprire. E Silvia, lei, il desiderio, l’amore, ma anche il dolore, un Pozzo che illumina ma allo stesso tempo incupisce l’animo sia del narratore che degli ignari questuanti in cerca di un prosieguo, capitolo dopo capitolo, sempre più entusiasmante.

Che Mauro è pratico della materia si ravvisa fulgidamente già dalle prime battute, sagace negli accostamenti, anche quelli che sembrano apparentemente improbabili, intellettualmente onesto e in grado di unire la schiettezza del moderno vivere alla grandezza dei maestri di un tempo, con frammenti di godibile vintage e sprazzi di coinvolgente autoironia.

«Sono debitore a tutti. Perché io sono oggi le letture che ho fatto, i film che ho visto». Ci spiega Mauro Cascio: «A 17 anni ho visto La Voce della Luna di Fellini che per me è il film definitivo. Cioè, dopo non c’è più niente da dire. Che altro puoi fare? Puoi solo ripetere, male. Era qualcosa di così visionario ed evocativo che sembrava dire tutto. Tu potevi cambiare le domande, ma le risposte stavano lì. Certo, merito di Cavazzoni, non c’è dubbio. E io volevo essere qualcosa del genere. L’autore che mette in scena un’idea, ma non una qualunque, l’arte non è pedagogica. Non ti deve fare da maestrina, l’arte. Altrimenti c’è il rischio che diventi propaganda. E di questi tempi abbiamo bisogno di tutto, tranne che di partigianerie. (E oltretutto le partigianerie si lanciano contro opposti slogan, magari si lanciassero opposti libri: metti Gramsci, contro Croce, per dire, o contro Gentile). Magari il livello fosse questo. Io ti cito Gramsci e tu Gentile. Oggi il dibattito politico e culturale è più terra terra. Io ti insulto e delegittimo con le offese che mi vengono, tanto più sono originali e meglio è. Il criterio estetico è altro. È l’idea assoluta, la verità nuda, che si presenta in un’opera che sappia ospitarla. E la verità, proprio perché nuda, ha bisogno di vestiti. E a questo serve la letteratura, per esempio: a dare i vestiti giusti alla verità. Le letteratura può servire a ‘presentare’ la filosofia che fai. Più tipicamente le opere d’arte rappresentano la loro epoca, diciamo meglio: la coscienza che un’epoca ha di sé. Così i Pozzi servono anche ad andare nel sottosuolo collettivo e nel recuperare tutto ciò che resta indietro, che non viene invitato in televisione, che rimane nelle ultime file, nel passato che al massimo è memoria, al massimo è nostalgia. La Letteratura deve rendere manifesta la Filosofia. Se non si fa questo, se non si corteggia l’idea, si finisce per inseguire un gusto e si diventa altro: l’opera d’arte diventa intrattenimento.

Tutto buono, tutto interessante. Ma a me piace altro».

 

Redazione

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