Putin vs Prigozhin: tutto finito?

Putin vs Prigozhin: tutto finito?
Fonte immagine: REUTERS/Misha Japaridze/Pool/File Photo

A distanza di pochi giorni dallo strano tentativo di golpe del numero uno della Wagner, formazione mercenaria russa tra le più famose e potenti al mondo, a danno di Vladimir Putin, le cose sembrerebbero essersi appiattite. Prigozhin è finito in Bielorussia, alla corte di Lukashenko, mentre il resto dei “traditori” – come li ha definiti Putin in un discorso molto sottotono – è stato messo di fronte ad una scelta: a casa, a Minsk oppure nell’esercito russo. Una soluzione piuttosto inusuale per un Presidente che ha rischiato di essere rimosso dal suo incarico con la forza e la cui autorità è stata ridimensionata da un golpista e dai suoi “sgherri”. Putin, uomo dalle punizioni esemplari, è sceso a patti con dei “terroristi”.

A “bocce ferme”, come si dice in gergo, gli osservatori hanno potuto analizzare le informazioni disponibili e tracciare un quadro verosimile di quanto accaduto qualche giorno fa. Conviene, a questo punto, ripercorrere la storia di questo “strano” golpe mettendo assieme gli elementi di dominio pubblico e qualche ipotesi non così lontana dalla realtà.

I motivi della ribellione

Da diverso tempo il gruppo Wagner era diventato la “punta di lancia” dell’esercito russo. Nonostante più volte il Presidente abbia negato che i mercenari lavorassero per la Difesa russa, in altre occasioni lo stesso Putin ha implicitamente ammesso che Pigozhin e i suoi uomini operavano per conto del Cremlino in alcune zone del mondo, come l’Africa. Tutto questo fino alla guerra in Ucraina e ai numerosi insuccessi delle forze russe sul campo. Infatti, disponendo di mercenari con notevole esperienza di combattimento – Wagner è stata impiegata in decine di conflitti in tutto il globo – e detenuti arruolatisi con la consapevolezza di dover combattere per ottenere l’immunità penale, il contributo alla causa ucraina è stato determinante per conseguire i pochi successi sul campo (Soledar, Bakhmut).

Al contempo, per rifocillare il fronte interno, la propaganda russa ha osannato, celebrato ed esaltato le capacità militari e l’eroismo della brigata, facendola diventare una sorta di “mito” dell’invincibilità russa. Ovviamente, tutto ciò non deve aver fatto piacere ai vertici delle forze armate regolari, le quali, nonostante la difficile situazione in Ucraina, hanno cominciato a mettere qualche bastone fra le ruote dei mercenari del “cuoco di Putin”.

Ed è così che la tensione fra Prigozhin e il ministro della Difesa Shoigu e il capo delle forze armate Gerasimov ha iniziato a salire e si è manifestata con le pesanti esternazioni e accuse che Prigozhin ha rivolto nei confronti dei due vertici.

Shoigu e Gerasimov, però, evidentemente e inaspettatamente, godevano di una fiducia, da parte di Putin, ben superiore a quella di cui godeva Prigozhin e questa circostanza si è manifestata nella forma di un decreto del governo che ha imposto (subito dopo la conquista di Bakhmut ad opera dei mercenari della Wagner), il transito di tutte le organizzazioni militari private (quindi anche la Wagner) nelle forze regolari russe.

Prigozhin, uomo fortemente ambizioso, geloso del suo potere e del suo ascendente militare, non l’ha mandata giù e ha deciso di giocare la sua carta. Una “marcia della giustizia” per evitare che Wagner potesse finire tra le grinfie dei due generali e soprattutto nelle mani del governo.

La marcia su Mosca

La sera prima del golpe, Prigozhin ha aperto le danze accusando Shoigu di aver ordinato un attacco aereo e missilistico contro un acquartieramento della Wagner, provocando molti morti tra i propri mercenari. In realtà non è che siano emersi così tanti elementi riscontrabili attorno all’attacco ed è probabile che il capo della brigata se lo sia inventato con il preciso fine di aumentare la fedeltà dei suoi uomini. D’altronde, ciò che Prigozhin aveva chiesto loro, cioè marciare su Mosca, era una pretesa altamente rischiosa che richiedeva una motivazione forte. Il capo, facendogli credere che l’esercito russo avesse deciso di “sterminarli”, ha creato le condizioni per spingere loro ad eseguire un ordine profondamente temerario.

E così, i mercenari hanno dapprima preso il controllo di Rostov, città con più di un milione di abitanti e principale centro logistico dello sforzo militare russo in Ucraina. Senza combattere e accolti dalla folla come degli eroi. Da lì, una colonna motorizzata e pesantemente armata è partita verso Mosca, percorrendo l’autostrada che collega la città alla capitale.

Nonostante gli unici sporadici scontri tra i regolari e le forze mercenarie siano stati ampiamente vinti dagli uomini di Wagner, uno studio realistico e onesto dei fatti dice a chiare lettere che quella colonna, composta da qualche migliaio di uomini, non avrebbe mai potuto prendere una città di 12 milioni di abitanti e che si estende su migliaia di km quadri. Inoltre, le condizioni logistiche e le infrastrutture non avrebbero mai favorito dei combattimenti prolungati (carburante, munizioni e viveri), così come non c’erano i mezzi pesanti per sostenere una battaglia alla pari con l’esercito regolare. D’altro canto, è pur vero che qualsiasi scontro “serio” sarebbe costato molto caro all’esercito russo.

Però, a parte, appunto, qualche scontro aereo (Wagner ha abbattuto vari elicotteri e velivoli), la colonna ha proseguito la sua marcia senza incontrare alcuna resistenza, arrivando a conquistare un altro centro importante, a metà strada fra Rostov e Mosca: Voronez.

Nel frattempo, nella capitale russa gli oligarchi e dirigenti si affrettavano ad abbandonare la nave a bordo dei propri jet. Molto probabilmente anche Putin è salito su uno di questi assieme al suo quartier generale per rifugiarsi a San Pietroburgo, anche se la propaganda ufficiale ha smentito tale circostanza. Il Presidente, consapevole di non poter permettersi un bagno di sangue tra l’esercito e la Wagner, nonostante i secondi avrebbero avuto ben poche speranze in campo aperto, alla fine ha optato per un accordo, mediato (forse) dal fido Lukashenko. In effetti, nel caso in cui il conflitto si sarebbe concretizzato, l’opinione pubblica russa non avrebbe digerito il fatto che l’esercito avrebbe combattuto contro quelli che fino alla sera prima la stampa celebrava come degli eroi. Inoltre, togliendo uomini dal fronte per fronteggiare la minaccia, avrebbe lasciato le difese sguarnite in caso di contrattacco ucraino. Entrambi, insomma, erano ben consci dei rischi che stavano correndo ed entrambi sapevano che la cosa non sarebbe andata fino in fondo.

E su questo Prigozhin ha giocato per ottenere quello che voleva.

L’accordo

Prigozhin ha ottenuto l’immunità e la possibilità di trasferirsi a Minsk, in Bielorussia sotto la “protezione” di Lukashenko. E ha ottenuto di portare con sé i suoi mercenari con tutti i loro equipaggiamenti e armi pesanti. La Wagner avrà un nuovo quartier generale presso un base militare abbandonata, in Bielorussia. Ed è altamente verosimile che la Wagner offrirà i suoi servigi a Lukaskenko e si concentrerà sulle operazioni militari in Africa. Infatti circolano già le voci che gli istruttori mercenari abbiano già iniziato ad addestrare i bielorussi.

D’altro canto, Putin dovrà fare ammenda del fatto che nessuno ha cercato di fermare la Wagner, arrivata a 300 km da Mosca. Chi era a conoscenza del piano del capo dei mercenari? Molti puntano il disto sul “macellaio siriano” Surovikin, altro fiore all’occhiello dello stato maggiore russo, altri ipotizzano ci sia stato qualcuno nei servizi segreti che sapeva e non ha detto.

E ora? Cosa succederà?

È difficile pensare che Prigozhin possa sentirsi davvero al sicuro, a Minsk. Lukashenko è un fido alleato del leader del Cremlino. E le tecniche usate da Putin per eliminare i suoi oppositori e dissidenti in tutto il mondo sono cosa nota. Se volesse uccidere anche il suo “cuoco”, non avrà molti problemi a passare dalle parole ai fatti. Non è da escludere però che l’accordo regga. È verosimile che il Presidente si sia trovato a dover gestire una situazione di conflitto tra il numero uno della difesa, Shoigu, e il leader della Wagner e che, infine, non abbia voluto perdere né l’uno né l’altro. In questo modo, le forze regolari resteranno governate dai due generali, fino a quando il Cremlino non troverà di meglio, e la Wagner resterà utilizzabile negli altri teatri in cui la Russia è impegnata. D’altronde, la fedeltà dei mercenari al suo capo è evidente, nel caso in cui le cose dovessero cambiare, chi garantirà a Putin la fedeltà di un gruppo che non ha mai controllato?

Inoltre, se davvero la Wagner non opererà più in Ucraina, l’esercito russo dovrà fare a meno degli unici uomini che hanno ottenuto qualche successo sul campo. Venticinque mila uomini particolarmente determinati e temprati. Anche l’immagine di Putin non n’è uscita benissimo e a sottolinearlo non è tanto la situazione in sé ma le sue parole. Discorsi sottotono, incertezza, riferimenti alla guerra civile che hanno legittimato il suo avversario – Putin non l’ha mai fatto, per non portare allo stesso livello il suo interlocutore – e, infine, la necessità di ricucire il rapporto con l’opinione pubblica attraverso bagni di folla “controllati” in Daghestan. Infine, anche l’immagine dell’uomo forte e determinato ha subito uno smacco: il leader del Cremlino ha sùbito l’ammutinamento della sua formazione militare più importante e famosa ed è stato costretto a perdonarla e a concedere al suo capo di andarsene indisturbato con tutti i suoi uomini ed equipaggiamenti.

Il tempo, poi, ci dirà se e quali conseguenze tutto questo comporterà sul futuro di Putin e sulla guerra in Ucraina.

Redazione Radici

Donatello D'Andrea

Classe 1997, lucano doc (non di Lucca), ha conseguito la laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e frequenta la magistrale in Sistemi di Governo alla Sapienza di Roma. Appassionato di storia, politica e attualità, scrive articoli e cura rubriche per alcune testate italiane e internazionali.

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