Cina e Russia: un’amicizia con tanti limiti

Cina e Russia: un’amicizia con tanti limiti
Fonte immagine: Wikimedia Commons

di Donatello D’Andrea

Un detto comune, il quale conferma quanto la cultura popolare sia più di semplice folklore, dice “mai fidarsi delle apparenze“. Nel caso specifico, c’è molto altro dietro gli abbracci, i sorrisi e le strette di mano. Mi riferisco, ovviamente, allo scenografico incontro, avvenuto pochi giorni fa a Mosca, tra il Presidente Vladimir Putin e il uso omologo cinese, Xi Jinping. Contrariamente a quanto si è visto, cioè alla conferma dell’amicizia senza limiti tra i due Paesi, Cina e Russia, Pechino sta gradualmente, e a modo suo, prendendo le distanze da un partner sempre più ossessionato da una guerra da cui non riesce ad uscire.

Gli elementi per comprenderlo sono sul tavolo ma soltanto in pochi riescono a percepirli, a conferma della scaltra abilità cinese a chiudersi dietro la sua perfetta ma (volutamente?) confusionaria comunicazione. A Pechino questa guerra non è mai piaciuta, questo è lapalissiano anche a chi fa finta di non capirlo. E non le piace per tanti motivi: politici, economici, finanziari.

Inoltre, l’incontro tra i due Presidenti non è andato così bene come certa stampa, da giorni, sta cercando di far credere. Le varie dichiarazioni, nonché l’esito dei colloqui portano tutto in questa direzione. La Cina non ha dato l’appoggio alla Russia nel conflitto e, si legge sui documenti della cooperazione strategica firmati a Mosca, si afferma che Pechino “mantiene una posizione imparziale sul conflitto e sostiene la pace e il dialogo“. Xi ha anche ribadito come la cooperazione non sia militare e che il patto firmato tra i due Paesi non abbia nulla di “militare”. Un chiaro segno di come Xi non voglia impegnarsi “fino in fondo” in un conflitto che, è bene ribadirlo, la Cina non considera per niente suo.

La Russia, infatti, può soltanto “accogliere con favore” gli sforzi di Pechino di svolgere un “ruolo attivo” nel trovare una soluzione al conflitto in Ucraina attraverso mezzi politici e diplomatici – cioè il “piano di pace” cinese. Questo cosa significa, in sostanza? Xi preferisce mantenere lo status quo, non può “mollare” Putin ma nel caso in cui le cose si mettano male potrebbe anche sfilarsi. La posizione sull’Ucraina, da parte cinese, è ferma e irremovibile, tanto che nei documenti non si fa nemmeno riferimento a principi annunciati nelle dichiarazioni precedenti sull’integrità territoriale e sulla sovranità.

Un altro elemento che sottolinea come i colloqui, soprattutto quelli a porte chiuse durati diverse ore, non abbiano soddisfatto le aspettative di Mosca sta nella dichiarazione finale: “i colloqui sono stati franchi, aperti e amichevoli”. Le prime due parole alludono alla presenza di disaccordi, per chi conosce la comunicazione cinese. L’unico punto che Xi concede a Putin, e da cui ripartire per mettere fine alla guerra, è il suddetto piano di pace.

Ed è proprio questo piano di pace ad indicare come la Cina stia cercando di sfilarsi da un abbraccio alla guerra russa. In realtà si tratta più di un position paper, il quale svolge più il ruolo di una dichiarazione di intenti, senza alcun valore tangibile per il conflitto e mirante soltanto a soddisfare le le esigenze cinesi di presentarsi come un attore ragionevole, sempre nel rispetto della tradizionale ambiguità cinese, che dice “tutto e niente” allo stesso tempo.

Un altro elemento per comprendere come le cose non siano andate bene durante gli incontro è il silenzio successivo alla partenza di Xi. Da allora nessuno dei due ha rilasciato dichiarazioni – se non quella di Putin sul nucleare tattico in Bielorussia, ma era un’intervista. La visita dei tre giorni, poi, è durata in realtà due, segno che non c’era molto da dire, soprattutto dopo quel colloquio a porte chiuse che ha dato adito al sospetto che il confronto “franco e aperto” – cioè turbolento – sia stato proprio quello.

Molto semplicemente, il colloquio tra Putin e Xi Jinping ha solamente confermato, da un lato, la debolezza internazionale della Russia (che si traduce in un quasi-isolamento), il cui unico vero partner non vuole impegnarsi in alcun appoggio politico e militare – soprattutto se si tratta di un conflitto che non ha mai “ufficialmente” accettato – e dall’altro la necessità di Mosca di ascoltare e affidarsi alla Cina dal punto di vista economico (ne hanno un disperato bisogno). Indagando a fondo le reazioni e la comunicazione di entrambi i leader, Putin ha bisogno di guardarsi intorno per non cadere ulteriormente tra le braccia di Xi – abbandonandosi, dunque, ad un rapporto di “vassallaggio” completo – mentre il cinese comincia già a comportarsi come se dovesse affrontare il dopoguerra.

A questo proposito, risponde perfettamente il vertice di maggio con i Paesi dell’Asia Centrale, un tempo di competenza sovietica e poi russa, i quali oggi hanno intenzione di affidarsi alla Cina. Pechino non vuole farsi trovare impreparata come nel 1989, quando crollò l’URSS, e in previsione di una evento simile, sta cercando una specie di assicurazione. Da non sottovalutare, però. anche la funzione di avvertimento di una mossa del genere del tipo: “più passa il tempo in cui tu sei coinvolta nella guerra in Ucraina e più è facile che, se non perdi a Ovest, tu perda zone d’influenza ad Est

Quanto detto sottolinea come l’amicizia senza limiti sbandierata dai due Presidenti abbia, in realtà, dei limiti ben evidenti. La Russia è certamente più dipendente dalla Cina di quanto non lo fosse un anno fa, ma nel lungo termine è quasi impossibile che Mosca possa accettare una situazione del genere. Ed è improbabile che Pechino voglia assumersi questo fardello, soprattutto in caso di sconfitta di Putin. E i motivi sono molteplici. Innanzitutto, i due Paesi sono “rivali geopolitici“, per questioni di confine (l’espansionismo pacifico cinese è un problema per Mosca), per una questione di leadership nelle alleanze – fino ad ora la Russia credeva di essere un passo avanti a Pechino – e soprattutto per la competizione che vede i due Paesi impegnati nelle stesse aree geografiche – es. Medio Oriente e Africa.

Il problema è che in questo momento la Russia si trova in una posizione di estrema debolezza, isolata sul piano diplomatico e in grande difficoltà su quello economico. Sembra evidente che Mosca stia cercando di guardarsi attorno, anche per raccogliere consensi attorno alla propria causa – i discorsi di Putin spingono in questa direzione – ma senza successo.

Anche la volontà di creare un nuovo ordine mondiale nasconde delle contraddizioni irrisolte e irrisolvibili. Russia e Cina sono due potenze revisioniste accomunate soltanto da un comune rivale, gli Stati Uniti. Ma anche in questo frangente lo sono in modo diverso. La Russia si approccia al mondo con una visione neozarista, imperiale, non ha altri problemi di autonomia. La Cina ha altre difficoltà, inerenti cibo ed energia ed esporta il suo enorme surplus commerciale verso l’Occidente. Il revisionismo si manifesta in due modi diversi. E ciò è dimostrato dal fatto che in oltre un anno le due potenze non siano riuscite a definire un accordo in questo senso che le unisca. Un timido tentativo è stato fatto con il ricorso allo yuan, che risolve alcuni problemi dei due Paesi ma non tutti. Non è risolutivo.

Insomma, l’amicizia senza limiti ha dei limiti evidenti e con grosse difficoltà, di difficile risoluzione.

Redazione Radici

Donatello D'Andrea

Classe 1997, lucano doc (non di Lucca), ha conseguito la laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e frequenta la magistrale in Sistemi di Governo alla Sapienza di Roma. Appassionato di storia, politica e attualità, scrive articoli e cura rubriche per alcune testate italiane e internazionali.

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