“La Fabbrica delle Parole” (Museo della Stampa di Lecce)

“La Fabbrica delle Parole” (Museo della Stampa di Lecce)

di Adele Quaranta

“L’utilità della tipografia è di conservare il ricordo delle generazioni passate e di risvegliare in quelle future, nel corso dei secoli, il desiderio di imitarle” (Giambattista Bodoni – Saluzzo 1740 / Parma 1813 –, incisore, tipografo e stampatore italiano).

“La Fabbrica delle Parole” (Museo della Stampa di Lecce) è una mostra permanente situata in una sezione specifica del piano terra dell’ex Convitto Palmieri del capoluogo leccese, incentrata sulla rassegna delle attrezzature otto-novecentesche, fino alla fotocomposizione e al computer. Si tratta di una vera e propria tipografia didattica attorno al mondo e all’arte, nobile ed affascinante, della stampa, aperta al pubblico (associazioni, gruppi e scolaresche di ogni ordine e grado) e fruibile mediante  guide disponibili ad accompagnare i visitatori alla scoperta di segreti gelosamente custoditi, parcellizzati, in continua evoluzione e tramandati da una generazione all’altra *.

In tal modo, ritorna a vivere il passato attraverso la conservazione e fruizione dei suoi cimeli. Un passato costituito da figure professionali specializzate (rappresentate da torcolieri, compositori, inchiostratori, calligrafi, correttori di bozze), scomparse, nel corso degli anni, a causa dell’evoluzione tecnologica che ha segnato il passaggio dalla linotype – al posto della disposizione manuale lettera per lettera, utilizzava una pagina in piombo per stampare giornali, riviste e poster dalla fine del XIX secolo agli anni ’70 e ’80 del XX – alla Qaudritek 1200, che consentiva di sistemare direttamente i caratteri  su pellicola.

Il complesso architettonico dell’ex Convitto Palmieri (illustre economista, illuminista e politico salentino vissuto nel ‘700) si sviluppa intorno a Piazzetta Giosuè Carducci (al centro, è situato il busto marmoreo del poeta) e comprende, protetti da un porticato, la chiesa di San Francesco della Scarpa – realizzata su un edificio sacro del XIII secolo, intorno al quale era stato edificato l’antico convento – e  la Biblioteca “Nicola Bernardini” (trasferita, nel 2009, dall’ex Collegio Argento dove ha sede il Museo Archeologico “Sigismondo Castromediano”). Quest’ultima ingloba, inoltre, il chiostro del XVI secolo, un cortile del XIX, aule disposte intorno al corridoio centrale, altri ambienti collocati al piano terra e primo piano, nonché il teatrino ed il giardino retrostante (in fase di realizzazione).

La struttura, estesa su una superficie di circa 10.000 mq, di proprietà della Provincia di Lecce, ma gestita dalla Regione Puglia, scaturisce da ristrutturazioni e ricostruzioni avvenute nel corso dei secoli (da deposito ad ospedale, da convento a collegio affidato ai Padri Gesuiti, da Regio Liceo Ginnasio ad Istituto Scarambone, etc.), mediante interventi di recupero funzionale e valorizzazione degli spazi coperti ed aperti. In tal modo, è stato allestito un vasto ed articolato centro culturale a disposizione della popolazione leccese e salentina, una struttura di animazione urbana, un punto d’incontro di studiosi, intellettuali e culture diverse, nonché spazio rivolto ad ospitare rassegne letterarie e canore, opere d’arte, mostre (permanenti e temporanee), etc.

Da studi recenti è emerso che la nascita della stampa risale al 3500 a.C., con l’utilizzazione da parte dei Persiani e Mesopotanici, di sigilli cilindrici rivolti alla certificazione di documenti scritti, incisi su tavolette di argilla. L’idea di stampare era già diffusa, nel 200 a.C., pure in Cina, con la comparsa della xilografia cartacea, antichissima tecnica “in rilievo”, usata successivamente dagli Egiziani del V-VI secolo d.C. e anche durante l’epoca della dinastia Tang. La matrice era costituita da una tavoletta lignea, cesellata, intinta nell’inchiostro e impressa su un foglio di carta. La stampa ha svolto un ruolo così importante nell’ambito della civiltà cinese, da essere considerata, una delle quattro grandi invenzioni principali del Paese, insieme alla carta, bussola e polvere da sparo.

Tra i primi libri stampati con tavolette di legno incise, ricordiamo il Sutra del Diamante (868 d.C.), rotolo lungo oltre cinque metri, formato da sei fogli di carta. Tuttavia, una recente scoperta in una pagoda coreana, attesta il ritrovamento di un testo buddista, risalente, addirittura, al 750-751 d.C.

Nell’ambito della storia della stampa, un ruolo significativo ha svolto, senza dubbio, l’invenzione dei caratteri mobili, proveniente, ancora una volta, dalla Cina, dove, nel 1041, il tipografo Bi Sheng utilizza quelli di argilla, sebbene molto fragili. L’invenzione viene perfezionata, nel 1298, da Wang Zhen, il quale introduce sia quelli di legno (più resistenti), sia un sistema di stampa basato su tavole girevoli atte a migliorare la resa sul piano qualitativo.

La stampa viene profondamente rivoluzionata, nell’accezione moderna, comunque, nel XV secolo, in Europa, grazie al contributo fornito da Joahnnes Gutenberg, il quale, al fine di stampare libri e giornali, insieme ai caratteri mobili in lega di piombo, stagno e antimonio (allineati e composti manualmente), utilizza, per la prima volta, non solo inchiostri a base oleosa (più duraturi dei precedenti ad acqua), ma anche il punzone (parallelepipedo di acciaio dove è riportato, in rilievo e a rovescio, un carattere tipografico, rappresentato da un numero, lettera dell’alfabeto, etc.) che svolge la funzione di matrice. All’interno di essa viene realizzata la fusione dei segni tipografici, in seguito sistemati su un vassoio, inchiostrati e trascritti, per compressione, sulla carta.

Il tipografo tedesco realizza, inoltre, la prima pressa per la stampa, il cui funzionamento richiama il torchio usato per la pigiatura dell’uva e delle olive. Dopo circa un anno di sperimentazioni, il 23 febbraio 1455, viene data alle stampe la “Bibbia di Gutenberg”, che raggiunge una tiratura di 180 copie. Il procedimento è gestito, in maniera accurata e minuziosa, da esperti lavoratori impegnati nell’ambito della bottega artigiana, immersi in un ambiente intriso di inchiostri, essenze profumate, rumori metallici di diverso tipo (compresi anche quelli di una pompa idraulica). Sulla parete di un corridoio che immette nelle sale espositive, è collocata l’immagine di Gabriel Garcia Marquez, intento a comporre i suoi romanzi di successo nel frastuono della tipografia, senza il quale, affermava, di non poter trovare la giusta ispirazione.

A partire dal XVI secolo, l’editoria comincia ad essere una vera e propria industria, con l’invenzione di nuovi caratteri ed il passaggio dal supporto piano in pietra a quello in ghisa, dalla vite in legno agli esemplari  in rame, dallo spaziatore delle righe alla maggiore leggibilità dei testi, fino all’adozione di torchi interamente metallici e l’introduzione della macchina a pressione rotativa. Le innovazioni tecnologiche rivoluzionano, pertanto, sia la produzione dei libri, sia la comunicazione in generale e la diffusione della cultura in diversi strati sociali, grazie anche alla riduzione dei costi e del prezzo dei prodotti finiti.

Il cuore della macchina è costituito da un piano fisso sul quale è situata la composizione destinata ad essere trasferita sulla carta, inchiostrata mediante i mazzi (grossi tamponi rivestiti in pelle), con la parte superiore mobile (formata da un secondo piano, azionato mediante un sistema meccanico di levavite). La carta, collocata sopra la forma, riceve, quindi, la stampa attraverso la pressione esercitata dalla discesa del piano superiore. Il movimento della leva in senso contrario innalza il piano di pressione, consentendo il ritorno del carrello, l’apertura del timpano e l’estrazione del foglio impresso.

A Lecce, la prima bottega autorizzata a pubblicare componimenti religiosi, madrigali, libelli ed opere varie, viene realizzata, nel 1631, da Pietro Micheli, il quale introduce il primo torchio a caratteri mobili. Da allora, si sono avvicendate diverse generazioni di tipografi locali e salentini, fra cui Salvatore Martano. Da garzone, a cinque anni, nella bottega dei Lazzaretti (dove s’innamorò dell’ars artificiliter scribendi), insieme ai figli (Vincenzo ed Ernesto, nominati Cavalieri della Repubblica), nel 1903, fonda una stamperia – ubicata  nel centro storico –, tramandata, ancora oggi, di padre in figlio e, trasferita, per esigenze organizzative, dopo la trasformazione in solida realtà imprenditoriale, in un moderno edificio situato nella zona industriale della città.

Nei vecchi locali, tuttavia, per alcuni anni, in versione ridotta, per volontà di alcuni maestri tipografi leccesi, sono stati conservati ed esposti al pubblico gli antichi macchinari, trasferiti, dal 2020, nell’ex Convitto Palmieri, struttura pubblica appositamente predisposta ad ospitarli permanentemente.

Fra le più antiche attrezzature esposte risalenti al 1814, si annoverano le “Macchine pianocilindriche”, azionate da energia meccanica, scaturita da quella termica prodotta dal vapore acqueo, mentre la pietra era sostituita da una matrice di zinco (litografia offset). Il dispositivo a cilindro – molto usato ai fini della produzione di quotidiani a larga diffusione –, rivoluziona l’industria tipografica, in quanto cambia il modo di stamparli (in precedenza, venivano impressi con torchi a mano).

Grazie alla rotativa, il materiale cartaceo ed il cliché (di forma ricurva) erano avvolti su strutture cilindriche, in grado di riprodurre, in simultanea, su entrambi i lati del foglio.

Un modello molto interessante, sempre risalente agli inizi del XIX secolo, è il “Torchio litografico” – realizzato dall’austriaco Aloys Senefelder, inventore della tecnica di stampa della litografia negli anni ’90 del Settecento –, dotato di un manubrio che movimentava una serie di ingranaggi ed il carrello scorrevole. Il sistema sfruttava un particolare tipo di pietra, opportunamente levigata e disegnata con una matita grassa, per consentire all’inchiostro di essere respinto dalle parti inumidite e trattenuto da quelle tratteggiate, sottoposte, poi, allo schiacciamento da parte della pressatrice.

Dopo l’Unità d’Italia, furono distrutti tutti i torchi di fabbricazione austriaca, eccetto due esemplari, di cui uno, quello del 1848, è conservato a Brescia, mentre l’altro, risalente al 1859, è esposto nel museo leccese e fu progettato per migliorare la pressa sul timpano, movimentato da una tavola mobile, dotata di rotaie. Estratto il foglio di carta e impresso il recto, lo si faceva asciugare prima di imprimere il verso. L’operazione, tuttavia, era lenta e poco pratica, in quanto produceva solo circa 250 stampe all’ora.

Lo statunitense Richard March Hoe inventa la prima rotativa della storia, perfezionata e brevettata nel 1847,  adoperando il rullo continuo in grado non solo di ottenere migliaia di copie di quotidiani all’ora, ma altresì di stampare le pagine fronte retro. All’inizio, questo processo editoriale era alimentato da fogli singoli, ma, nel 1863, William Bullock, con l’introduzione dell’alimentazione a bobina e di cilindri ruotanti, avvia la produzione industriale, in quanto le macchine utilizzano nastri cartacei, in grado di produrre fino a ottomila copie all’ora.

Le tecniche tipografiche cominciano, quindi, a progredire nella seconda metà dell’800, con la “Linotype” (cioè, linea di caratteri), primo dispositivo meccanico, ideato, nel 1881, da Ottmar Mergenthaler, il quale rivoluziona il sistema adoperando caratteri mobili, custoditi in apposite cassettiere. Le parole del testo vengono composte con l’ausilio di una tastiera (come avviene con la macchina da scrivere). I tipografi, pertanto, in seguito, non comporranno i testi in modo manuale, accostando i caratteri per allestire le righe, in quanto le singole operazioni saranno svolte meccanicamente. La matrice è composta così in modo automatico ed i diversi tipi di caratteri sono fusi insieme per garantire la stabilità delle posizioni reciproche, mentre, dopo la stampa, vengono recuperati e posti nel serbatoio a monte della macchina.

Fra le attrezzature esposte nel museo, risalenti al 1881, si annovera anche il “Torchio tipografico” (o a vite), macchina già introdotta, in Germania, da Johannes Gutenberg, molto semplice, detta a “un colpo”. L’evoluzione si basa su meccanismo a “due colpi”: il torcoliere ripone un foglio cartaceo su una matrice, solleva la barra e, grazie ad un insieme di corde collegate ad un molinello, consente sia al carrello di ritornare indietro, sia all’operatore di sollevare il timpano e di estrarre la carta messa ad asciugare, prima di essere sottoposta all’impressione del verso, dopo quella del recto.

Lungo i corridoi e le sale espositive – dove le pareti, in gran parte, sono rivestite con pannelli in fibra di vetro (che permette la traspirazione) e carta da parati decorata con didascalie, simboli e caratteri grafici che, illustrando il percorso della storia della stampa, diventano il filo conduttore dell’allestimento –, fanno bella mostra di sé, le attrezzature da lavoro, tra cui gli “Strumenti Tagliacarte” a mannaia (i più antichi), oppure in ghisa ed in legno (quelli del 1926), dotati di grosse lame per tagliare, a misura, i blocchi di carta, …

… le “Pedaline per la stampa” (anche da tavolo) – sia del XIX sec. che della prima metà del XX, adoperate per riprodurre, soprattutto, piccole tirature e volantini, …

… il “Duplicatore ciclostile” del 1880, che, grazie all’inchiostro riposto nel crogiolo interno, permetteva la riproduzione di volantini, mentre, sullo sfondo, una “Stampa piano-cilindrata”, in acciaio e legno, degli inizi del XX secolo, fornita di carrello passante sotto i rulli inchiostratori, consentiva l’impressione dei giornali avvolti intorno al cilindro, …

… la ”Tastiera della Linotype” del 1881 e le “Macchine da scrivere” del 1895, 1910, 1911, 1938, …

… la “Pressa” del 1888 (ubicata all’ingresso del museo), un torchio atto a comprimere il materiale posto fra due piani (uno fisso e l’altro mobile), …

… le “Occhiellatrici” sia del  XIX che del XX secolo. A quest’ultimo periodo appartengono anche lo strumento per smussare gli angoli e le presse da tavolo …

… le “Macchine fotografiche”, che utilizzavano, alla fine del XIX sec., un sistema di cassette scorrevoli (l’una nell’altra), per realizzare la corretta messa a fuoco sulla lastra, collocata nella parete opposta all’obiettivo, …

… un “Ingranditore fotografico” (ultimi decenni dell’Ottocento) in ghisa, legno e cuoio, adoperato per accrescere o rimpicciolire le immagini, …

… il primo “Dispositivo tipografico” (in ghisa e corredato di carrello) degli inizi del ‘900, che trova il suo punto di forza nelle grandi tirature …

… al XX sec. risalgono, inoltre, sia il “Banco tipografico”, con gli scomparti per conservare i caratteri a mano, sia il “Torchietto tipografico” da tavolo, …

… le riviste ed i quotidiani editi tra i secoli XIX e XX, etc. etc.

Al termine del lungo percorso sull’evoluzione tipografica, vengono passate in rassegna le ultime innovazioni tecnologiche, ancorate allo sfruttamento delle potenzialità dell’ormai insostituibile computer. Grazie alla multimedialità e all’esperienza dei Martano, troviamo, ogni mattina nelle edicole, freschi di stampa, numerosi quotidiani.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE. La preziosa esposizione di macchine e strumenti tipografici –  fruibili lungo un itinerario documentale elaborato da esperti del settore – custoditi nel museo “La fabbrica delle parole” –, dagli antichi torchi lignei ai punzoni ed ai caratteri di piombo e legno, dalle macchine pianocilindriche e linotype ai primissimi modelli di Macintosh (vera e propria alba della stampa moderna), non più in uso e, quindi, destinati alla rottamazione, ritrovano una nuova vitalità e costituiscono un corposo canovaccio di partenza per narrare la nascita della tipografia e l’evoluzione delle sue tecniche artigianali nei secoli: un passato recente, ma rapidamente superato dalla rivoluzione prodotta dal modello digitale e dalle sue incessanti innovazioni.

Al tempo stesso, il percorso affascina per la storia in generale dell’industria grafico-cartaria fra Otto e Novecento, sebbene sopraffatta, a cominciare dagli anni Ottanta del secolo scorso, dall’incessante processo evolutivo nell’ambito della comunicazione e dell’editoria, che ha rapidamente messo in crisi i sistemi basilari tradizionali, impegnata con un graduale e lento processo tecnologico a favorire la circolazione del sapere nel corso dei secoli. Altresì, avvince per il racconto relativo all’origine dell’attività imprenditoriale della famiglia Martano, ancora oggi protagonista di una delle aziende all’avanguardia nel settore tipografico.

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* Le foto sono state realizzate dall’Autrice, la quale ringrazia, per la disponibilità dimostrata e la concessione a pubblicare le fotografie, i funzionari ed il personale del Polo Biblio-museale di Lecce: il Dott. Luigi De Luca (Direttore), la Sig.ra Sara Saracino, la Dott.ssa Anna Lucia Tempesta e, in particolare, la Dott.ssa Alessandra Berselli per il tempo profuso e le numerose informazioni sulle attrezzature esposte.
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Adele Quaranta

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