Argentina: la colonizzazione della pampa

Argentina: la colonizzazione della pampa

2.Agricoltori marchigiani
(segue l’articolo ‘2.I braccianti’) pubblicato il 25 marzo 2022

Di Paola Cecchini

Nell’articolo ‘I Marchigiani nell’Argentina’, pubblicato nella rivista “L’Esposizione Marchigiana” n.12 del 30 marzo 1905, il giornalista Olindo Pantanetti ci informa dettagliatamente sulla situazione agricola nella provincia di Santa Fe dove viveva:

Il periodo dei grandi guadagni è rappresentato per gli agricoltori dall’epoca della raccolta: sono i mesi di novembre, dicembre, gennaio e marzo quelli che da soli dan da vivere per tutto l’anno e permettono di mettere da parte qualche soldo. Prima la mietitura (che per quanto fatta a macchina richiede un notevole numero di braccia di scorta), poi la trebbiatura. Qui il proprietario della macchina deve portare con sé tutto il personale necessario, dal macchinista e fuochista fino all’uomo di cucina che fa da mangiare per tutti; un complesso di 16 o 18 persone.

Da ultimo resta la raccolta del mais: in questo periodo, essendo finite le altre faccende, un gran numero di braccianti marchigiani viene a riunirsi per qualche settimana nei pressi di Rosario ove prevale la coltura di questo cereale. Un buon lavoratore può in tutto questo periodo guadagnare fino a 400 pesos.
Durante il resto dell’anno, qualcuno si pone a servizio nei grandi magazzini- deposito di cereali da cui inizia il movimento di esportazione o nei molini o si pone a mesata presso coloni scarsi di braccia in famiglia: ma in questo tempo la giornata è assai più scarsa arrivando al pagamento di L. 2,20 ed il vitto.

A testa bassa nel loro lavoro, i marchigiani non captarono alcuni usi locali che avrebbero evitato gravi inconvenienti alla salute dei coloni nelle nostre campagne:

Non notarono che gli argentini prima di far cuocere il mais – che da sempre era l’alimento fondamentale degli indios – lo immergevano per qualche tempo in acqua di calce che ammorbidiva la buccia e soprattutto ne diluiva la parte acida, insolubile in acqua semplice, evitando completamente il maidismo o la pellagra che per anni afflissero le nostre campagne

-racconta G.Luchetti nel saggio ‘Influenza dell’emigrazione marchigiana sull’economia della Repubblica Argentina’, pubblicato in “Atti e memorie della Deputazione di Storia Patria per le Marche” (n. 94, 1989).

Per quanto attiene ai fittavoli, diamo la parola a don Nicomede Donzelli, parroco di Camerano (AN) che visse per due anni a Vila (diocesi di Santa Fe) nella prima decade del XX secolo e così raccontò nel suo diario:

Gli agricoltori coltivano il terreno pagando una quota che varia dal 15 al 25 % sulla rendita lorda annuale. Questi debbono possedere animali, buoi e cavalli, attrezzi da agricoltura, fabbricarsi la casa e quant’altro è necessario a loro spese, che il padrone non pone altro che il nudo terreno.
Se le annate son buone, anche questi possono fare dei considerevoli risparmi ed avviarsi a divenire in pochi anni proprietari. Ma per lo più menano una vita dura dentro pessimi tuguri di terra ricoperti di paglia, nido di rattoni e vipere che fa ribrezzo entrarvi. Potrebbero edificarsi un’abitazione più conveniente ma pochi lo fanno, perché i padroni difficilmente affittano le terre oltre di un anno, volendo rimanere liberi pel caso di vendita.
Ciò è un errore evidente, poiché il terreno che avesse una buona casa d’abitazione e piantagioni d’alberi e di alfalfa, crescerebbe considerevolmente di valore, ma i padroni che comprarono queste terre dal governo, non le hanno mai viste e vi tengono amministratori che rubano al padrone stesso e ai coloni contemporaneamente.

Ben diversa dalla loro situazione era quella dei medieros (mezzadri) secondo quanto scriveva Pantanetti:

Il mezzadro non pone alcun capitale, tutt’al più gli richiedono un carro ed un paio di cavalli. Il padrone pone gli animali, gli attrezzi, la casa. Le spese di trebbiatura sono a metà, quelle per i braccianti durante la raccolta a carico del colono. Il prodotto si divide in parti uguali. Una famiglia di 2 uomini adulti e 2 ragazzi dai 12 ai 14 anni può coltivare fino a 4 concessioni di terra, pari a 132 ettari. La rendita della terra, secondo la media decennale accusata dalle statistiche ufficiali oscilla tra 7 – 8 quintali per ettaro: questo per la coltivazione del lino e del grano.
I coltivatori del mais affittano la terra in denaro, pagando prezzi esorbitanti che arrivano fino a 50 franchi l’ettaro; in annate buone ha dato fino a 48 quintali per ettaro.

Meno entusiasta era al riguardo Donzelli:

Ora i proprietari incominciano a fare da leoni e pretendono più di quello che è giusto con patti suppletivi. Da tutto ciò s’intende come i medieri non stiano che raramente due anni in un medesimo luogo sperando sempre di migliorare.
Ad essi va bene solo nelle annate abbondanti; nelle cattive restano senza denaro e senza credito, e sono costretti per vivere a recarsi nei luoghi ove possono lavorare a giornata, come nei ferrocarril e simili imprese.
Inoltre, non affezionandosi mai al luogo ove vivono, non fanno che i lavori puramente necessari, hanno molto tempo di ozio, tempo che spesso passano alle piazze bevendo e giocando!

Annotava Pantanetti che i marchigiani proprietari di terre non erano molti in proporzione al numero totale:

Essi vivono in comoda agiatezza e caratteristica curiosa, mentre nella gran parte dei contadini marchigiani resta vivo il desiderio di un ritorno più o meno pronto in patria, nei primi sparisce questo desiderio, al punto che, pur trovandosi in condizioni prospere, non sentono il bisogno di fare neppure un viaggio di piacere: al contrario del colono ricco piemontese che fa di norma due o tre viaggi in patria.

Per quanto attiene alla proprietà della terra, il giornalista Antonio Franceschini così scriveva nel 1908 nel libro ‘L’emigrazione italiana nell’America del Sud. Studi sulla espansione coloniale transatlantica’:

Chi non l’aveva ricevuta gratuitamente (in genere 1 o 2 concessioni di 20 cuadras ognuna, cioè 30 ettari), la pagò all’inizio tra le 100 e le 400 lire italiane a concessione, a seconda del terreno, della distanza dal centro abitato, della presenza della ferrovia, dell’acqua.
Il pagamento era in genere effettuato con un acconto iniziale e con 4 cambiali con scadenza di 6, 12, 18, 24 mesi, con un interesse annuo del 10% da pagarsi assieme alla cambiale; a garanzia c’era l’ipoteca sul terreno stesso.
Frodi e difficoltà erano annesse a qualsiasi contratto, da quelle inerenti l’effettiva qualità della terra a quella sulla misurazione del terreno, alla consegna dei titoli di proprietà…
Ottenuta la terra, la prima fase dell’impianto dell’azienda era assai difficile. Chi aveva ottenuto la terra gratis, aveva avuto anche un anticipo di sementi, animali e attrezzature per lavorarla; gli altri si rivolgevano all’impresario della colonia o al piccolo commerciante per avere a credito tutto il necessario.

Redazione Radici

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