di Paolo Pagliaro

L’ultima volta che Federmeccanica e sindacati si strinsero la mano fu un anno fa, in occasione del rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici. Ma mentre allora stavano dalla parte opposta del tavolo, oggi la crisi dell’industria automobilistica, destinata ad aggravarsi con la transizione ecologica, li ha spinti a prendere un’inedita iniziativa comune, un appello per la sopravvivenza di imprese e lavoro. Parliamo di un’industria che in Italia fattura 93 miliardi di euro, il 5,6% del Pil e nel solo comparto autoveicoli, rimorchi e semirimorchi dà lavoro a 180 mila persone. Entro il 2035 ci sarà lo stop alla vendita di nuove auto che producono emissioni di carbonio, e la previsione è che andranno persi 73 mila posti di lavoro, la maggior parte a partire dal 2025. Nella lettera che Federmeccanica, Fim, Fiom e Uilm hanno inviato a Draghi ci sono diverse proposte: ammortizzatori sociali mirati, formazione di figure utili alla transizione tecnologica, sostegno agli investimenti e incentivi alla domanda.

Alla politica si chiede di passare dalle parole ai fatti, come non è accaduto dopo l’annuncio, salutato con entusiasmo, della nascita di grandi stabilimenti di produzione di batterie per l’auto elettrica.
In un vertice convocato a palazzo Chigi i ministri di Economia, Infrastrutture, Sviluppo economico e Transizione ecologica hanno concordato le prime risposte da dare all’appello delle parti sociali. E’ previsto almeno 1 miliardo all’anno per favorire la transizione verso vetture elettriche e ibride. Sarebbero necessari anche ammortizzatori sociali straordinari, ma se ne parlerà un’altra volta perché al vertice non è stato invitato il ministro del Lavoro.