Veles, Perun, Dazhbog e Morana.Guerre e rivalità nella mitologia slava

Veles, Perun, Dazhbog e Morana.Guerre e rivalità nella mitologia slava

Di Chiara Fiaschetti

La creazione del cosmo e dell’universo secondo alcune tradizioni delle antiche tribù slave è attribuita al dio Perun, divinità principale del pantheon slavo, affiancata spesso al dio Rod.
Perun è un dio tonante, distruttore di serpenti, signore della guerra e del tuono e, come per Thor, personificazione del fulmine, il suo albero sacro è la quercia.
Nelle fonti più antiche compaiono spesso menzioni a Perun, una più antica testimonianza è quella riportata dallo storico bizantino Procopio di Cesarea nel VI secolo:
«gli slavi riconoscevano un unico dio, creatore del fulmine, solo padrone dell’universo, a cui venivano sacrificati bestiame e uccelli di diverso tipo»

Suo principale nemico è Veles, o Volos, dio della terra, protettore del bestiame, astuto e ingannatore, legato alla magia, agli inferi e al mondo ctonio. Raffigurato come un drago o spesso come un grosso serpente.
Per le antiche tribù slave il loro mondo era un enorme albero dove sul ramo più alto che si propendeva verso il cielo sedeva Perun. In basso, avvolto tra le radici, si trovava veles, dio degli inferi. Nell’oltretomba (virey) rappresentata come un luogo piacevole dove dimoravano le anime dei cari defunti in un’eterna primavera, potevano risiedere altre divinità come Jarilo che durante l’inverna si rifugiava nel mondo dei morti che ogni anno tornava nel mondo dei vivi per riportare la primavera.
Secondo alcuni Volos è molto simile alla figura di Hermes, divinità greca, messaggero degli dèi e psicopompo, ovvero trasportatore di anime negli inferi.

La dicotomia
Un racconto popolare narra di quando le genti smisero per un lungo periodo di fare sacrifici a Volos. Questa scelta fece raffreddare le fiamme del suo tempio e Volos, per punire gli uomini impedì alle sorgenti di trasportare l’acqua in superficie, così che tutti i popoli patissero la sete e l’arsura. Un corvo, volando nei cieli sopra ai villaggi rimase colpito da tutta quella tristezza e decise di avvertire Perun che immediatamente fu pronto ad intervenire.
Il signore del tuono salì sul suo carro e iniziò sfrecciare nel cielo per raggiungere l’oltretomba dove Volos dimorava avvolto tra le radici. Perun lanciò le sue frecce infuocate e squarciò il cielo da dove caddero le sfolgoranti saette che scossero tutti i villaggi. Volos riuscì grazie alla sua agilità di serpente a rintanarsi proteggendosi dietro le sue radici, ma le saette del dio Perun causarono un incendio e Volos iniziò ad avvampare tra le fiamme. Volos così si arrese e tornò nel mondo ctonio.
Nonostante l’ostilità e la malvagità che contraddistingue Volos in questo antico racconto, il dio non veniva considerato un dio malvagio dalle antiche tribù slave. Come protettore del bestiame, con l’avvento del cristianesimo tra gli slavi, Volos venne soppiantato con la figura di San Biagio, povero contadino tormentato da Sant’Elia, legato al cielo e al tuono, che rappresenterebbe il dio Perun.
La dicotomia tra queste due divinità non rappresenta dunque lo scontro tra bene e male, bensì l’opposizione tra terra e acqua, principi legati alla figura di Volos e cielo e fuoco, principi legati a Perun.

Il mito della tempesta
Non si sa molto su Volos, le poche informazioni giunte fino a noi sono state analizzate e ricostruite da parte dei filologici russi Vyacheslav Ivanov e Vladimir Toporov con l’aiuto di racconti tradizionali del folklore slavo.
I due studiosi sono riusciti a ricostruire la famosa battaglia tra il dio del tuono e un drago con testa di serpente.
All’origine dello scontro ci sarebbe il rapimento di Dodola, moglie di Perun, da parte di Volos.
Dodola, dea delle piogge mungeva le vacche celesti, ovvero le nuvole, causando piogge sulle terre dei popoli. Un giorno, passeggiando tra le foreste, incontrò Volos, il quale decise di rapirla per condurla nel mondo ctonio.
Secondo alcune interpretazioni, in questa occasione Volos concepì con Dodola Jarilo, dio legato alla bella stagione e alla primavera.
Accortosi dell’assenza dell’amata, Perun si armò di tuoni e fulmini e condusse battaglia per tre lunghi giorni con il suo rivale. In fine, Perun, vittorioso, riprese con sé l’amata e la riportò nel reame dei vivi, lasciando Volos nell’oltretomba.

Dazhbog e Morana
Veles non si arrese e continuò a provocare Perun.
Convinto che poteva prendersi cura delle vacche meglio di chiunque altro essendo il dio del bestiame, decise di rapirle e un poco alla volta le condusse tutte nell’oltretomba.
Perun decise nuovamente di intervenire ma questa volta con l’aiuto del dio solare Dazhbog. I due scesero lungo l’enorme quercia che sorreggeva i tre reami e, arrivati in basso, tra le radici, scorsero Volos in forma di serpente che si rifiutava di uscire allo scoperto. Perun decise di scagliargli contro le sue saette ma Dazhbog lo implorò di fermarsi, perché in questo modo rischiava di distruggere la sacra quercia, così Perun lo sfidò a duello. Anche questa volta fu il dio tonante a prevalere in battaglia e Volos strisciò via.
Dazhbog intanto era riuscito a ritrovare le mandrie intrappolate nel sottosuolo, così Perun con le sue saette spaccò in due la terra permettendo alle mandrie di tornare in superficie.
Esiste anche un’altra versione più recente di questa storia del XVIII secolo, in cui compare la dea Morana. Questa versione ci racconta di come Dazhbog, vagando nel sottosuolo alla ricerca delle mandrie trovò un palazzo abbandonato. Una volta entrato vi scorse un uomo incatenato. Dazhbog decise di liberarlo convinto che si trattasse di una delle vittime di Volos che il dio catturava per condurle nell’oltretomba. Tuttavia, una volta che il dio solare ebbe liberato il misterioso uomo, scoprì che si trattava di Koschei il Senza Morte, un uomo malvagio, impossibile da uccidere.
Dazhbog tornò il superficie e iniziò a tormentarsi per il danno che aveva commesso. Tormentato, Dazhbog venne avvicinato dalla dea Morana, legata all’inverno, al freddo e alla morte. Era stata proprio lei ad imprigionare Koschei e Dazhbog, tormentato dal senso di colpa verso Morana, decise di passare del tempo con lei. La dea oscura iniziò a sedurlo, ma senza ricambiare l’amore che il dio solare iniziava a provare per lei.
Durante la notte Morana, mentre Dazhbog riposava sul suo carro, si recava dall’amante Koschei con il quale concepì due figlie, Karna la dea del pianto e del dolore e Zhelya, messaggera della morte.
Dazhbog, una notte, accorgendosi dell’assenza della dea, scoprì i suoi tradimenti e decise quindi di scendere nel sottosuolo per affrontare il suo rivale. Indebolito dal tormento d’amore finì sconfitto. Tuttavia Koschei decise di non ucciderlo perché Dazhbog tempo prima lo aveva liberato.
Koschei gli concesse la salvezza per altre due volte, ma in fine intervenne la dea oscura che decise di imprigionare Dazhbog, anche lui nell’oltretomba.
Il dio solare, offuscato e avvolto dall’oscurità smise di brillare causando sofferenza agli uomini dei villaggi.
Zhiva, dea della vita che aveva cercato di mettere in guarda Dazhbog dalla malvagità di Morana, decise di salvarlo. Tramutatasi in un bellissimo cigno volò lungo le radici della quercia schivando le freddi correnti d’aria che Morana le lanciava. Zhiva riuscì a liberare il sole e lo condusse in superficie dove di nuovo si illuminò scaldando le terre degli uomini. Morana venne trasformata in un’orrenda vecchia sfigurata e bruciò tra le fiamme generate dalla forgia di Svarog. Sofferente, Morana decise di rivelare il luogo dove si trovava la morte di Koschei, separata dal suo copro. Solo trovando la sua morte, il malvagio Koschei poteva essere ucciso e riposare per sempre.
Tra le radici della quercia era riposto un forziere e al suo interno si trovava una lepre con all’interno un’anatra che custodiva un uovo. Dazhbog doveva riuscire a romperlo per provocare la morte del suo odiato rivale.
Il dio solare si mise subito alla ricerca dell’uovo, mentre ignorava gli avvertimenti di Volos, che con la sua astuzia non credette ai suggerimenti della dea oscura. Dazhbog lo ignorò e una volta trovato l’uovo ne ruppe il guscio. Koschei trovò la morte, ma la benda che si trovava avvolta sugli occhi del dio Triglav, protettore dei mondi, cadde a terra. La benda era stata posta da Rod – divinità, insieme a Perun, ritenuta la creatrice dell’intero universo – convinto che se Triglav avesse guardato i tre mondi contemporaneamente con i suoi tre diversi occhi tutto il cosmo sarebbe sprofondato nel caos più assoluto.
Così venne il caos. Le acque primordiali inghiottirono il suolo e quasi tutti gli uomini trovarono la morte.
Rod, infuriato, si trasformò in uno storione e riportò la terra in superficie dividendola dagli oceani e in fine bendò di nuovo Triglav.
Gli déi si impegnarono per ristabilire un equilibrio e tutto tornò all’origine.

Chiara Fiaschetti

Redazione Radici

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