Evgen Bavčar, il fotografo cieco

Evgen Bavčar, il fotografo cieco
                            
                                    Di Apostolos Apostolou*

Alla fine, ai miei occhi eri destinata.
(Pablo Neruda)

Evgen Bavčar è nato nel 1946 sui monti della Slovenia. A dieci anni il ramo di un albero lo colpì sul viso: in seguito a questo incidente perse l’occhio destro. Dopo un anno un piccolo oggetto metallico trovato per terra catturò la sua curiosità; si trattava di una mina.

La prese tra le mani e mentre giocava con il martelletto la mina esplose, ferendolo all’occhio sinistro. Perse ugualmente la vista dell’unico occhio che aveva, finché non fu in grado di distinguere nemmeno la luce.


Nel 1972 grazie ad una borsa di studio inizia un dottorato alla Sorbona di Parigi. Si laurea in filosofia con una tesi sull’estetica di Adorno e Bloch. Poliglotta, parla francese, italiano, tedesco, spagnolo e portoghese.


Evgen Bavčar scatta fotografie pur essendo cieco. Potrebbe sembrare un ossimoro, ma non lo è. Infatti vede, ma vede nel buio. Gli occhi – come dice Evgen Bavčar – sono nella mente.
Ci sono gli occhi dell’anima. Ricordate il mito della caverna del settimo libro della Repubblica di Platone? Gli uomini sono come tanti prigionieri incatenati con la faccia rivolta verso il fondo della caverna in cui sono rinchiusi.

Alle loro spalle scorrono delle statuette, di cui vedono le ombre proiettare sulla parete che sta loro di fronte. Pensano che quelle ombre siano cose reali, finché non riescono a liberarsi dalle loro catene. Così finalmente vedono e si accorgono che le ombre erano solo le immagini delle statue, e che quelle statue sono a loro volta copie di oggetti reali che stanno fuori dalla caverna.

I prigionieri, una volta usciti dalla caverna, siccome sono accecati dalla luce improvvisa a cui non sono abituati, non possono vedere ancora direttamente gli oggetti reali, ma solo le loro figure riflesse nell’acqua.
Omero racconta l’origine della cecità di Demodoco, cantore alla corte di Alcinoo, re dei Feaci, sottolineando la stretta correlazione tra cecità e doti superiori.

In Grecia, nel IV sec a.C, Aristotele sottolineava lo sviluppo delle capacità mnemoniche consequenzialmente alla cecità, mentre una sentenza dell’oracolo di Delfi aveva già definito la memoria come la “vista del cieco”.

Apostolos Apostolou. Professore di filosofia

Redazione Radici

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