S T A G N O – da “Il tessuto dell’anima”

S T A G N O – da “Il tessuto dell’anima”


di Rossella Cerniglia

E mentre facevano all’amore, lei interrogava quegli occhi che non avevano risposta. Neutri, sembravano evadere la

domanda ansiosamente formulata: svianti e imprecisi, determinati a nascondere l’anima che era una col vittorioso e

cinico piacere del senso.

E lei colse quanto il suo universo, quanto il mare sotterraneo della sua anima che straripava dai suoi aditi sensoriali,

fosse vasto e convulso.

E allo stesso modo colse quanto l’anima dell’altro fosse una pozza putrida, colse i legami delle cose dette e non dette, i

gesti, gli impercettibili segni, vide intero lo stagno maleolente che le fece distogliere lo sguardo da quegli occhi così

insensibili, scaltri, animaleschi.

Voleva il suo oceano penetrare in quella pozza?

Aspirare ad essere contenuto in quel pantano?

Il malessere s’insinuò nella sua anima. Lui non colse, non lesse.

Non seppe i pensieri reconditi che crescevano con dolore nella mente di lei.


Quando l’atto fu concluso, quando ebbe goduto, egli si alzò, riordinò i vestiti. Tirò su i pantaloni che non aveva tolto

per la fretta. Guardò l’orologio. Le dodici e venti – disse. – Mi hai fatto fare tardi.

Già, dovevo ricordartene io! – rispose con amara ironia.

Era rimasta sdraiata sul lettino di quella stanza; le pesava addosso una stanchezza impotente in quel lubrico stagno

dove si era sentita trasportare.

Gli chiese ancora un bacio come in un fiotto di esasperata speranza. Lui glielo diede in fretta. Doveva andare. Gettò

uno sguardo veloce in giro, nel caso dimenticasse qualcosa. Non dimenticava niente.

Hai goduto? – le chiese di sfuggita.

Lei fece di sì colla testa.

Quanto? Quante volte? – E sorrise.
Lei mentì per compiacerlo, ma senza convinzione.

Infatti si era solo avvicinata all’orgasmo, ma non aveva goduto, tuttavia era quello che lui voleva sentirle dire.

Si diressero alla porta. Si salutarono. Un vuoto enorme le si gonfiava dentro, la gioia dei sensi dileguava.

Gli istanti di prima perdevano significato e la loro consistenza scadeva nell’assurdo. Ogni altro sentimento si complicò

con questa dimensione di vuoto che si gonfiava.

Avrebbe voluto annegarlo dove Dante aveva collocato seduttori e ruffiani. Rabbia e vuoto rimasero in circolazione nei

labirinti sperduti della sua mente e della sua anima.

Nei percorsi obbligati delle sue vene s’ingolfava la rabbia di tutto quel laidume.

Perché lui era venuto a cercarla togliendola un solo attimo dall’insignificanza di giorni senza amore, di giorni rassegnati

che non conoscono la luce, simili a frutti insapori che addentiamo, senza gioia per il nostro palato, perché l’avara

esistenza nient’altro ci porge.

Lei non avrebbe avuto l’ardire di sollevarsi a questa speranza.

Era venuto a pescare lei, proprio lei, tirandola fuori da quel torpore, lei che si sentiva schiava della vita, che la subiva

come una condanna, lei che aveva ormai lo sguardo astratto dal fluire delle cose, lei con quel dolore lungo e

inespresso che da sempre ambiva a mutarsi in gioia… e lui, per un miracolo era riuscito a mutarlo in gioia: una di quelle

cose inopinabili che si danno talvolta nella vita e che per la sconvolgente immediatezza operano una rivoluzione

nell’anima.

E qualcosa di grandioso, di inaspettatamente gioioso e puro brilla sull’orizzonte della stessa anima come un sole

immenso che non ammetta più tenebra.

Ma non era che falsità e illusione questo guizzo. Anche questo le fu subito chiaro.

L’indomani, alla luce del sole, avrebbe dovuto ancora incontrare quella realtà che non sentiva più sua, non percepiva

più come effluvio di luce, non più riconosceva in quel cinismo e in quell’ipocrisia.

Come modificarla? Come ancora ricostruirla? Si chiese. Come renderla accettabile, deglutibile, vivibile?

Perché, al momento, aveva nausea del mondo: tutto quello che appare e quello che è. Come delle due cose, talvolta

agli antipodi, l’apparenza fosse più spesso scambiata per verità e come il mondo dell’uomo fosse tutto un clamoroso

abbaglio, uno sconcertante abbaglio, mentre in realtà era solo un cinico e spietato prevaricare, una lotta belluina che fa

forte l’aggressore e avvilisce lo sconfitto.

E questa crudeltà per un tornaconto infine meschino e quanto mai spietato: l’appagamento dei sensi trionfava sul

sentimento puro, sulla ricerca incontaminata, sull’assolutezza che sperava in un’incarnazione. Una prova ancora che

l’ideale umano trova inciampi in tutte le imperfezioni della materia.

I sogni puri dell’uomo volano alti, esiliati e lontani dalla terra.

Rossella Cerniglia ,scrittrice

Redazione Radici

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