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Video di Lucia Licciardi, montaggio: Gabriella Bianchi
“Parlo di Napoli verso New York – incalza Roxy – del 41esimo parallelo. È un progetto ambizioso che ho immaginato in tre tappe e che valicherà anche lui l’oceano. Di questa prima, qui all’Archeologico, ha messo in piedi altre due fasi. In una, rintracciando gli indirizzi dei migranti che ho studiato, ho apposto uno stiker su quei portoni che si sono aperti, una riproduzione di una valigia con la data della partenza. Poi, utilizzando le ‘pagine bianche’ di New York, ho inviato lettere a chi aveva un cognome napoletano, forse discendente da chi era andato via 150 anni fa”.
Alcune risposte cominciano ad arrivarle, la base di un documentario che analizzerà come quella migrazione abbia avuto riflessi nella terra di approdo dei migranti. “L’atmosfera sarà diversa – prevede l’artista – in questa stanza l’impatto è emotivo. Ma non so come camminerà il progetto, in parte ancora embrionale, ma internazionale nelle intenzioni. Avrà spero sostegni tra privati e istituzioni. E’ ambizioso, ma io non ho paura. Si può fare”.
La genesi di questa ricerca, Roxy l’ha sentita nel suo profondo: “Ho seguito una mia esigenza. Il mare per me è un elemento misterioso e affascinante. In famiglia abbiamo avuto emigranti e ho respirato il dolore della separazione che veniva da questo mare. Quindi ho deciso di raccontare un fenomeno partendo da cultura a me vicina e prendendo dati rigorosi, giusti”. La mostra non intende chiudere un cerchio, “perché l’orizzonte del mare non è chiuso, è una linea. La migrazione è qualcosa che si evolve e non bisogna chiudere il cerchio. La linea della vita e del mare continua a proporre migrazione in uno o nell’altro senso. Non volevo parlare della migrazione di oggi, perché avevo paura di sbagliare e perché, poi, se conosci il dolore in prima persona, se ne hai una esperienza personale perché ti riguarda da vicino, se ti brucia, puoi comprendere. Immaginare quel dolore non è comprenderlo”.
Dopo 150 anni da quelle partenze o arrivi, evocati da una stanza che potrebbe essere quella lasciata a Napoli o quella trovata a New York, con comò, cassettone e armadio, “volevo esplorare il positivo, volevo rendere cosa ha potuto portare in America quella carne umana che ha attraversato il mare. E ha portato cultura ed economia , mentre l’Italia si è impoverita, con paesi svuotati. Oggi quel mare è attraversato da prodotti e non più da carne umana, prodotti che alimentano una cultura italiana e napoletana radicata in America grazie a quei disperati di 150 anni fa. Si è creato un business importante e la cultura di Napoli è ora mondiale per merito di quei disgraziati”.
Così, tra una massa di documenti esplorati, Roxy in the box ha selezionato “i volti che mi avevano colpito particolarmente”. Dentro il primo cassettone il comò, “quello in cui tieni le cose che ha più care”, c’è il mare “come sogno nel cassetto, ma anche come esperienza che non dimentichi più dopo che lo solchi per giorni e giorni. Il mare a quel punto è un tuo parente perduto. Deve venire in automatico il paragone con quello che accade oggi. Solo avere la nostra sofferenza può far comprendere il dolore altrui”.
E i vestiti adagiati sulla coperta composta da altri pezzi di documenti, abiti anche loro ricavati da documenti, sono quelli che prendi o forse quelli che lasci. Tutto in questa stanza è leggibile nei due sensi. Il video nell’armadio, animato da Gianfranco Gallo e Fabiana Fazio, è un “racconto di verità. Di quella migrazione sulla rotta Napoli New York, la vera e unica letteratura è stata la canzone del ‘900. Allora, ho fatto un taglia e cuci tra le melodie più conosciute che è diventato un unico testo di monologo. Inserito nell’armadio, luogo che viene riempito o svuotato, colmato ora da ciò che veniva cantato qui e lì allo stesso modo”. ‘
Maresistere raccoglie il messaggio della grande mostra ‘Thalassa’ e ne fa un progetto che va oltre una straordinaria installazione dal forte impatto emotivo. Il nostro museo vuol proporsi sempre piu’ come un protagonista attivo della vita della città e custode della sua memoria. Per non dimenticare quando gli emigranti eravamo noi”, spiega il direttore del Mann, Paolo Giulierini.