Alcune considerazioni sulla vicenda Sea Watch
L’attuale periodo storico è complesso e cruciale: da una parte la crisi economica che ha colpito l’Europa e, specialmente, l’Italia, dall’altra il livello, molto scarso, della cultura politica dei dirigenti dei partiti e/o dei movimenti che hanno la maggioranza in Parlamento e, quindi, hanno assunto le funzioni di governo dello Stato. La maggioranza dei Paesi europei è riuscita, anche se con fatica, a colmare, almeno in parte, il dislivello provocato dalla crisi economica, l’Italia, invece, naviga verso traguardi apocalittici. Se ancora la crisi politica non ci ha portato, nonostante le aberranti posizioni assunte dai nostri governanti, alla morte della democrazia è perché la nostra Costituzione non lo ha consentito. Per cogliere il senso di questo assunto va detto che molto opportunamente i nostri costituenti hanno scelto e costruito una costituzione caratterizzata da una rigidità molto forte, tale da costituire un ostacolo insormontabile alle velleità dei nostri politici che mal sopportano le limitazioni necessari. Scelta per garantire l’equilibrio dei poteri.
La vicenda Sea Watch ne è un esempio illuminante. Salvini, Ministro dell’Interno, nonché vice Presidente del Consiglio e Presidente di fatto, ha reagito con affermazioni che molti (e chi scrive) considerano gravi e altamente lesive del prestigio che deve riconoscersi alle istituzioni pubbliche. La Costituzione ha fatto proprio il principio della separazione dei poteri, per cui la Magistratura non dipende dal Governo, ma è un organo autonomo e indipendente soggetto solo alla legge.
Colpisce la ricorrente affermazione di Salvini che, al solo fine di compensi elettorali, è diretta a screditare la funzione giurisdizionale con frasi tipo, come “i giudici, se vogliono cambiare le leggi, smettano la toga e si facciano eleggere nelle liste della Sinistra”. Ergendosi, così, a supremo giudice ogni volta che le sentenze non sono di suo gradimento. Per usare il suo stesso sofisma si potrebbe affermare: “Salvini, se vuole pronunciare sentenze, si laurei in giurisprudenza e affronti il concorso per accedere in magistratura”. Più facile a dirsi che a fare!
Non è che qui si voglia affermare che tutti i magistrati, uomini come gli altri, siano perfetti. Però una considerazione va fatta. Ogni volta che singoli magistrati vengono sorpresi a porre in essere comportamenti non consoni, la Magistratura non perdona e fa piazza pulita. Cosa che non avviene per le nefandezze dei parlamentari sistematicamente salvati dalle Camere di appartenenza mediante il diniego dell’’autorizzazione a procedere.
Ma torniamo alla vicenda della Sea Watch. Il GIP, investito del problema del fermo del capitano della nave, ha ritenuto, con argomentazioni giuridiche, del tutto estranee alle valutazioni artificiose di Salvini e dei suoi attendenti, che il comportamento del comandante della nave non fosse in contrasto con le norme giuridiche nazionali e internazionali in vigore in Italia. Va ricordato e sottolineato che il giudice deve interpretare le norme di legge non fermandosi alla sola interpretazione letterale, ma deve individuarne la ratio, che è lo scopo cui mira la legge. Scopo che non va individuato nella volontà del singolo parlamentare o ministro che ha contribuito a scriverla. La legge, cioè, non può essere letta e interpretata staccandola dal corpus di cui fa parte, ma ricorrendo a criteri che tengano conto dei motivi etici, economici, politici e sociali che l’hanno resa necessaria. Soprattutto l’interpretazione deve essere costituzionalmente orientata. Nel rispetto, dunque, dei valori e dei principi presenti nella Costituzione.
Ma pretendere che Salvini e i suoi attendenti facciano propria questa logica è come il periodo ipotetico di quarto tipo. La logica interpretativa si ispira alla realizzazione della norma nell’interesse generale, concetto affatto estraneo alla mentalità di Salvini che ha come unico obiettivo l’incremento del consenso elettorale.
Raffaele Vairo