La nuova malattia

La nuova malattia

Il 2019 è iniziato con circa due milioni di famiglie nel “limbo” della povertà. Realtà certa, ma non sempre riconosciuta da chi dovrebbe. Il grafico in “negativo” è andato crescendo dal 2015.  Si tratta a ben osservare, di uno stato sociale assai simile a una patologia per la quale la cura non può essere che politica. Non ci sono, di conseguenza, “farmaci” capaci d’invertire la tendenza che falcidia il futuro di giovani e anziani. Neppure l’osannata quota “100”.

Vivere alla giornata è sempre meglio di nulla. Sopravvivere nella speranza di tempi migliori è il sintomo, non meno insidioso, della nuova patologia. Quest’affezione, insensibile a ogni terapia farmacologica, ha un nome: “Povertà”. Uno stato di complessa disfunzione che i nostri padri avevano vissuto subito dopo il secondo conflitto mondiale quando, però, la voglia di ripresa era favorita dall’uscita da una ventennale dittatura.

Nel nuovo millennio, la realtà è assai diversa e, per questo, molto più complessa. I sintomi sono facilmente identificabili: disoccupazione, precarietà nel lavoro, bassi salari e negligenza dilagante. Insieme, tutte queste condizioni determinano il sorgere e il diffondersi della “malattia”. Gli effetti sono già palesi, ma si accentueranno se non si tenterà di cambiare ”terapia”. Perché, sia ben chiaro, la prostrazione sociale di questo nostro Paese, non ha un nome proprio, ma dei responsabili politici che, nonostante lo sfacelo, provano a riciclarsi. Magari sotto altro simbolo per assumere nuove “responsabilità” da scaricare sul Popolo italiano.

Per evitare che la “povertà” si trasformi in un’affezione cronica, le terapie ci sarebbero. Resta da verificare chi sarà nelle condizioni di concretarle senza togliere attimi di vita al malato. Il primo sintomo, facilmente rilevabile, è il disagio che ci accompagna giornalmente. Le terapie, che non sono mediche, possono solo avere un’origine socio/politica. In questo periodo di trasformismo politico, convulso e raffazzonato, ci siamo resi conto che mancano idee chiare su come si potrebbe vivere meglio nel Bel Paese.

I “parallelismi” col passato, anche quello remoto, ci stanno stretti e, ovviamente, non solo a noi. Insomma, è un po’ come curare la “malattia” con una dialettica che infastidisce anche chi non ci sente. Tra l’altro, le polemiche parlamentari non ci confortano. E’ venuto il tempo di rivedere la “salute” italiana. Insomma, le certezze politiche dovrebbero scaturire da un fronte di rappresentatività più coerente. Lo avranno inteso i nuovi condottieri della politica spicciola italiana?

Giorgio Brignola

Redazione

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