Dejando la chacra (lasciando la fattoria)

Dejando la chacra (lasciando la fattoria)

La commovente testimonianza di Emilse Elinor Ruffini de Rozadilla racconta l’abbandono dell’amatissima chacra da parte del nonno paterno Nazzareno, costretto a trasferirsi da Pujol a Conesa con il figlio, essendo rimasto solo dopo la morte della moglie Maria Maraviglia, con la quale aveva condiviso tutta la vita. (testimonianza trasmessa da Pergamino il 4 luglio 2003)

‘La verde poltroncina sgusciata stava lasciando l’impronta dei suoi piedi corti sopra il cortile di terra spianata.
Aprendo la porta, la trascinò fino ad appoggiarla sopra il cerchio di fango che fino a poco tempo prima, era un bell’orto. Seduto lì, vedeva la terra che il camion che andava al paese sollevava.
Nessuno scese a chiudere il cancello. Nessuno pensava che potesse andarsene.
Accendendo la pipa, strinse gli occhi.
Scendemmo sotto i mobili di casa e tornammo a cercarlo.
Povero vecchio! Lasciava la sua chacra e senza alcun testimone! Ho un nodo in gola per averlo costretto a fare ciò, ma non c’è altra via.
Girò lo sguardo verso il cortile che il glicine copriva interamente.
La cucina con la porta aperta lasciava vedere un lungo tavolo con le panche di legno, la vecchia Istilart, la Marlera col suo coperchio sollevato.
Sorrise ricordando…sopra di lei ballavano e cantavano Elba e Omar quando erano piccoli, mentre suonava alla radio la musica di Brunelli o Cavestri.
Le stanze con i mobili accatastati in un angolo attendevano l’asta.
Alla fine del corridoio, la vecchia dispensa con le pareti impregnate degli aromi saporiti, dei pezzi di maiale divisi tra tutti.
Girò lo sguardo al cortile ombreggiato, vide Maria annaffiarlo e poi spazzarlo di qua e di là e il cortile sembrava che brillasse nel suo zig zag.
Coltivò mais, girasole e lino. E grano ondeggiante. Ora si muovevano soavemente le foglie della soia, quasi pronta per essere raccolta.
E quando mamma era ancora viva, io li volevo portare al paese ma non c’era verso. Tra loro si facevano compagnia. Ora il vecchio è solo, vede poco, come possiamo lasciarlo qui, anche se qui fu tanto felice?
Vennero dall’Italia alla fine del ’10. Erano nati in paesi vicini, Tolentino lei e Macerata lui, ma si conobbero in America, giovani entrambi, sconosciuti in un posto così lontano e vivendo in fattorie vicine, nella nuova terra.
Solo lui, con molti fratelli lei; si sposarono in poco tempo e quanto lavorarono!
Presero in affitto un piccolo campo a Pujol e lentamente costruirono la casa, prima con pareti de fango, poi con mattoni.
Mentre aravano la terra, seminavano. Maria faceva i lavori di casa, allevava galline, anatre, tacchini. Era bella Maria, coi suoi capelli neri, divisi nel mezzo e una treccia avvolta a spirale e trattenuta da lunghe forcine.
Vent’anni, quaranta, sessanta…fu sempre uguale. Il suo abito scuro, con fiori piccoli, il suo lungo grembiule, la sua pazienza.
All’inizio ci portavano a scuola in carro, poi con il calesse. Mi ricordo il viso orgoglioso del vecchio quando si fermava alla cooperativa. Si erano uniti un sacco di gringos e gallegos, l’avevano costruita anni fa e guarda ora quello che è diventata! Siamo circa cinquanta impiegati.
A me non piacque mai lavorare in campagna; in poco tempo Elba si sposò e anche lei si trasferì in paese. Venivano alla domenica con i bambini. A loro piaceva la campagna, correvano per il sentiero, salivano sull’aratro vecchio, giocavano a seminare…Però poi andavano via. Ci lasciavano soli, la vecchia e me, aspettando la domenica successiva.
Poi Maria si ammalò. Quanto mi manca!
Una vita in questa fattoria che era il loro posto, la loro terra, il loro paese.
Il figlio diceva che con loro sarebbe stato bene:
Andrà a giocare a carte, ammazzerà il tempo nel bar di Levino. La domenica all’asta, no, meglio non portarlo. A far che? A vedere che gli danno quattro lire mentre per lui vale oro?
Il camion si avvicinava. Dall’orizzonte erano comparsi, per accompagnarlo nel suo viaggio, Macerata, i suoi genitori, i giovani fratelli che non aveva più visto, la nuova patria, Maria, i raccolti, i figli, la vita.
Nazzareno pareva più magro da seduto, però ancora agile, forte. Scosse la pipa, sistemò il fazzoletto, si alzò, e prima di lasciare la fattoria trascinò la poltroncina lasciando l’impronta dei suoi quattro piedi sopra il pavimento di terra spianata’.

Paola Cecchini

Paola Cecchini

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