Se la religione è l’oppio dei popoli, i social ne sono la cocaina

Se la religione è l’oppio dei popoli, i social ne sono la cocaina
Fonte immagine: Wikimedia Commons

di Donatello D’Andrea

Nel 1843, Karl Marx scrisse, in un articolto pubblicato nella rivista “Annali franco-tedeschi” intitolato “Per la critica della filosofia del diritto di Hegel”, una frase destinata a passare alla storia e che è arrivata a noi rimaneggiata e sottoforma di detto popolare.

La frase completa è la seguente:

«La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. È l’oppio del popolo».

Ovviamente la citazione rimaneggiata e famosissima è questa: “la religione è l’oppio del popolo”.

Brevemente, Marx inserisce questa riflessione all’interno di una più ampia analisi circa la religione e il suo ruolo, per comprenderne l’intima natura. Il filosofo di Treviri ritiene che la religione soddisfi nella società lo stesso bisogno cui provvede l’oppio quando una persona inferma, o comunque sofferente, ne fa uso: riduce il dolore immediato e alimenta le illusioni utili a darle la forza per andare avanti. Infatti, l’oppio non è un esaltante, si fuma per annientare la coscienza e cancellare un grande dolore. Una droga che prende in giro la vita, come la religione, sul piano sociale, mira costantemente ad eliminare i conflitti garantendo una ricompensa superiore, rendendo incapace l’uomo di reagire alle ingiustizie e di comprendere la conseguente necessità di lottare per garantirsi il suo posto nel mondo.

Insomma, la religione, come l’oppio, rende l’uomo assuefatto, in uno stato di trance perenne da cui è incapace di risvegliarsi.

Dopo una – forse eccessiva – semplificazione di uno dei concetti più complessi della filosofia marxista, sarebbe opportuno, ora, dare una giustificazione al titolo di apertura e al riferimento a Marx.

L’effetto dell’oppio e della religione è possibile rinvenirlo in quella che è stata definita come la droga del terzo millennio: i social.

I social assuefano l’essere umano ingabbiandolo in una verità trasmessa senza alcuna distinzione tra fatti e opinioni, anzi. La maggior parte delle volte, le opinioni acquistano una forza che un fatto non acquisterà mai semplicemente perché le prime sono sostenute da una platea apparentemente più grande e rumorosa.

Una cosa che avviene soltanto sui social e che costringe l’uomo a vivere in una bolla dove tutto è possibile anche se non verificabile. In questo mondo la persona comune, senza né arte né parte trova la propria realizzazione, il proprio mondo, la propria assuefazione. Ma se l’oppio non è una droga esaltante, i social sì e, come la cocaina, eccita e istiga alla violenza, verbale e a volte fisica – perché se entri in quella bolla così profondamente, ne vieni interamente conquistato, anche fisicamente.

Se la religione invita l’uomo ad eliminare i conflitti sociali in nome di una ricompensa superiore, non presente sulla Terra ma promessa, i social, dal canto loro, permettono alla persona di rifugiarsi all’interno di una realtà fittizia, altamente eccitante e che, come una droga, cattura ossessivamente l’attenzione e le energie dell’uomo impedendogli di produrre un pensiero critico autonomamente, rendendolo dipendente dall’approvazione altrui – da parte di persone fittizie, non conosciute ma la cui opinione diventa inspiegabilmente fondamentale. Come la cocaina, i social provocano dipendenza, spegnendo la coscienza critica dell’uomo. Alla fine, seppur con le dovute differenze, sia la religione (cioè “l’oppio marxista”) che i social annientano la coscienza.

Ecco perché, parafrasando Marx, si potrebbe affermare che se le religioni sono l’oppio dei popoli, i social ne sono la cocaina.

Redazione Radici

Donatello D'Andrea

Classe 1997, lucano doc (non di Lucca), ha conseguito la laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e frequenta la magistrale in Sistemi di Governo alla Sapienza di Roma. Appassionato di storia, politica e attualità, scrive articoli e cura rubriche per alcune testate italiane e internazionali.

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