Come interpretare il nuovo discorso di Vladimir Putin

Come interpretare il nuovo discorso di Vladimir Putin

di Donatello D’Andrea

Ieri Vladimir Putin ha annunciato l’avvio di una nuova fase della guerra contro l’Ucraina. In un breve discorso che doveva tenersi martedì sera ma che è andato in scena soltanto ieri mattina, il Presidente ha annunciato una mobilitazione parziale dei riservisti – 300mila uomini – ha minacciato, ancora, l’Occidente e ha benedetto i referendum stile Crimea nel Donbass.

Dal punto di vista comunicativo, le parole di Putin, prese singolarmente o all’interno di striminziti ma precisi concetti, sono una miniera d’oro per comprendere a che punto del conflitto siamo giunti e quale sia, realmente la situazione interna allo stato profondo” russo, all’opinione pubblica e all’esercito di Mosca.

Nelle scorse settimane sui giornali sono comparse le prime notizie che parlavano di un sensibile malumore all’interno dell’apparato politico russo. Si faceva riferimento, in particolare, a dei parlamentari della Duma che avevano manifestato una certa contrarietà alla guerra. Non sono gli unici, ma il fatto che la notizia abbia avuto una certa risonanza mediatica, nonostante la grande forza dell’apparato repressivo russo, qualcosa vorrà pur dire.

In questo momento, in Russia ci sono due grandi formazioni: il partito della guerra e quello dell’exit strategy.

Il primo è quello capeggiato dagli industriali e produttori di armi e da certi vertici dell’esercito che ritengono che la Russia non sia stata abbastanza “tosta” contro gli ucraini.

Dall’altro c’è il partito dell’exit strategy, i cui maggiori sostenitori si trovano fuori i confini russi. Ci sono la Cina, soprattutto, che teme un eccessivo indebolimento di Mosca – e di un partner troppo debole e ridimensionato Xi Jinping non se ne fa nulla – e l’India, che teme di aver puntato sul cavallo sbagliato. Pechino, teme inoltre, che una recrudescenza della tensione internazionale possa mettere fine ai propri propositi geopolitici – tipo la Nuova Via della Seta – e ridimensionare il suo apparato commerciale.

Nel discorso di Putin si condensano le posizioni di entrambi gli schieramenti. È una sorta mediazione, compiuta da un uomo che teme soprattutto per la sua posizione e che, per la prima volta da vent’anni, sente realmente la sua leadership in pericolo.

Consapevole delle difficoltà del suo esercito, Putin mobilita i riservisti, cioè coloro che hanno un minimo di esperienza militare (servizio di leva o ex professionisti) rassicurando la popolazione che “soltanto una parte” sarà mobilitata per una causa giusta, cioè per “spezzare le reni” all’Occidente.

In questo contesto si apre anche un grandissimo punto interrogativo sulla reale utilità, almeno nel brevissimo termine, della mobilitazione. Tra un mese, anche meno, inizierà la stagione delle piogge, in cui muoversi sarà davvero difficile. Per mobilitare 300mila uomini ci vorrà tempo – tra difficoltà a reperire l’equipaggiamento, l’addestramento e l’invio al fronte – e non si conoscono i tempi tecnici per inviare i soldati sul fronte. Forse Putin spera che le piogge bloccheranno anche l’offensiva ucraina.

E qui arriva il “deterrente” psicologico. L’uso dell’arma nucleare.

La strategia è, più o meno, sempre la stessa, cioè la “brinkmanship”: minacciare conseguenze terribili e spingersi fino a un millimetro prima di metterle in pratica per indurre il nemico a provare terrore. D’altronde per turbare il sogno degli occidentali “basta” soltanto turbare la psicologia degli uomini e soprattutto dei mercati, che hanno abboccato, infatti.

A rendere più verosimile la minaccia ci sono i referendum, i quali daranno una pravenza di legalità a quella che è diventata una guerra anche in Russia, dato che l’opinione pubblica interna russa vedrà partire 300mila persone, anche provenienti dalla parte occidentale, cioè quella, fino ad ora, meno esposta alla mobilitazione. La sensazione che ne ricaverà sarà quella di essere in guerra. L’annessione, comunque, permetterà alla Russia di trattare un eventuale attacco al Donbass come un attacco alla Russia, quindi permettera l’uso dell’arma nucleare secondo la “dottrina della sopravvivenza”.

Dunque, il nuovo discorso alla nazione di Putin fotografa perfettamente una nuova fase della guerra, molto delicata. Il Presidente continua a inveire contro l’Occidente, spalleggiato dalla minaccia atomica, la quale produrrebbe comunque delle conseguenze anche sulla Russia stessa – lui non lo dice, ovviamente – ma dando conferma alle teorie che vedono la sua leadership in profonda difficoltà, in mezzo a due fuochi tra coloro che sostengono un’intensificazione del conflitto e gli altri che si pongono dubbi sulle effettive possibilità di vittoria dell’esercito moscovita.

Ed è proprio nell’incertezza di Putin che sta la delicatezza di questo particolare momento. Un autocrate messo alle strette, diventa ancor più imprevedibile – e pericoloso.

Redazione Radici

Donatello D'Andrea

Classe 1997, lucano doc (non di Lucca), ha conseguito la laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e frequenta la magistrale in Sistemi di Governo alla Sapienza di Roma. Appassionato di storia, politica e attualità, scrive articoli e cura rubriche per alcune testate italiane e internazionali.

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