Il contesto migratorio nelle biografie delle giovani generazioni: tra uno “spazio di opportunitá” ed il “riscatto migratorio”
Lo studio dei figli dei migranti, delle c.d. “seconde e terze generazioni”, offre l’occasione – tra gli altri aspetti – di meglio comprendere le esperienze migratorie della prima generazione, mettendo maggiormente in luce la complessità dei processi migratori.
La presenza nelle società d’accoglienza dei figli dei migranti, come anche dei loro nipoti, dà conferma del passaggio dalla fase transitoria della scelta migratoria familiare, a quella di stabilizzazione della famiglia, rendendo quest’ultima visibile nella società di accoglienza.
È a partire da questo momento che la famiglia migrata si trova di fronte a nuove questioni, a nuove sfide, a problematiche volte a favorire l’inserimento degli attori più giovani della migrazione, con l’obiettivo di individuare quali risorse e chances il nuovo contesto sia in grado di offrire loro.
Si comprende allora come la tematica dei figli dei migranti sia una tematica ricca di sfaccettature, di punti di luce e ombra, che varia certamente a seconda del contesto storico preso in considerazione, come anche del contesto geografico, culturale e politico. Si tratta di giovani che vivono, sperimentano in modo diretto o indiretto l’esperienza migratoria.
Questo cambiamento si rivela essere un momento cruciale nel loro percorso biografico e questo soprattutto nei casi in cui non sia stato elaborato completamente, potendo generare un sentimento di estraneità sia rispetto al contesto di origine sia rispetto a quello di approdo.
Sono giovani che possono vivere in confusione rispetto alla propria appartenenza etnica, che vivono esperienze di sradicamento non sempre comprese fino in fondo, effetto di una scelta che non è stata propria ma di altri e questo sia nel caso in cui siano nati nella società di emigrazione che in quella di immigrazione. Quest’esperienza di cambiamento diventa ancora più complessa e faticosa se vissuta in fase adolescenziale, durante la quale, oltre all’approccio con il nuovo contesto sociale, con il sistema culturale, scolastico, i giovani devono fare i conti con difficoltà legate alla propria adultizzazione, al porre le fondamenta della propria personalità ed identità e tutto ciò in un luogo completamente sconosciuto ed estraneo.
Come spiega bene V. King (1) l’adolescenza è certamente una fase di cambiamento che comporta una differente percezione sia di sé stessi che della propria famiglia.
È un momento in cui gli adolescenti possono scoprire un approccio riflessivo sia rispetto alla propria storia che a quella familiare, sviluppando rispetto a queste anche un senso analitico, critico.
Cambia così spesso in questa fase di vita non solo il rapporto con sé stessi, ma anche quello con i propri genitori, divenendo l’adolescenza – come sottolinea ancora l’autrice – uno “spazio di possibilità”.
L’elaborazione dell’esperienza della migrazione assume una rilevanza anche nei rapporti generazionali, in particolar modo rispetto al significato che se ne attribuisce, alla situazione successiva che si vive nel paese di emigrazione, oltre che alle esperienze ed aspettative che i genitori ripongono sulle generazioni più giovani nel contesto della migrazione.
Le figure genitoriali mirano al successo scolastico dei figli, quasi a voler in questo modo compensare e giustificare la scelta migratoria ed i sacrifici che sono scaturiti da questa.
Gli adolescenti a loro volta possono vivere tali aspettative in maniera differente, stimolante ovvero opprimente, magari guardando all’esperienza negativa vissuta dai genitori, esperienza di discriminazione, immobilità o peggio ancora di declassamento sociale. Sembra quasi spetti a loro il compito di dare conferma, significato al progetto migratorio familiare, migliorando, attraverso il proprio successo scolastico e professionale anche lo status della famiglia.
L’autrice mette ancora in luce quanto la migrazione comporti allora per gli adolescenti “una doppia esigenza di trasformazione”: una dovuta al cambiamento inerente alla migrazione, l’altra legata al passaggio dall’infanzia all’età adulta. Il cambiamento di persone di riferimento, di lingua, di ambiente socioculturale, sono esperienze di “rottura” che si ritrovano nella biografia della gran parte dei figli di migranti, esperienze che non iniziano solo nel momento in cui sono loro stessi ad emigrare, ma molto prima, quando sono i genitori a partire per primi, lasciandoli in collegi o presso altri parenti.
Ci si ritrova allora di fronte a processi e ad esperienze di socializzazione primaria e secondaria più complesse rispetto a quelle che vivono i coetanei autoctoni. Tanto quanto questi ultimi anche loro si sforzano di raggiungere il successo scolastico e successivamente quello professionale, dovendo però, nella maggior parte dei casi, faticare maggiormente non avendo sempre alle spalle genitori o familiari in grado di sostenerli completamente a causa della mancanza di tempo o del capitale culturale e sociale adeguato a farlo. Sono spesso figure genitoriali che la migrazione ha reso comunque sia più fragili, insicure sia a livello personale che sociale.
In questo percorso di crescita chiaramente segmentato, ma anche transnazionale, si generano allora biografie, identità che si possono definire “ibride”, sulle quali incidono aspetti significativi quale la storia delle generazioni precedenti, il progetto migratorio familiare, il capitale sociale,(2) culturale ed economico che queste sono state in grado di offrigli nel percorso di inserimento nel nuovo luogo di vita, come anche le barriere o le opportunità che quest’ultimo gli offre.
Molteplici sono allora le istanze e le regole di fronte alle quali si trovano questi giovani: da una parte quelle della famiglia, la richiesta diretta o indiretta di “doppia fedeltà” a quest’ultima o in altri termini alle proprie origini, al sistema culturale e tradizionale ricevuto in eredità, al progetto migratorio familiare , dall’altra quelle della scuola, dell’ambiente lavorativo, della società d’accoglienza nel suo complesso, che spesso pare particolarmente “attenta” agli spostamenti e alle scelte dei nuovi giovani migranti, quasi come ponesse su di loro una sorta di “riscatto migratorio”, come sottolinea M. Tognetti Bordogna , per poi includere in tutto questo le proprie personali aspettative, le proprie esigenze, i propri sogni.
Gli agenti della socializzazione quali la famiglia e la scuola esercitano allora un’influenza decisiva sui percorsi biografici di questi giovani, in particolar modo rispetto allo sviluppo delle loro capacità di conciliare mondi e codici diversi.
Da una parte c’è la famiglia che in migrazione deve scoprire ed attivare nuove strategie, nuovi equilibri interni, in alcuni casi nuovi ruoli di genere per far fronte all’esperienza dell’emigrazione.(3;4;)
Si alternano allora in questi momenti di conservazione e custodia della memoria familiare, delle tradizioni, norme e pratiche quotidiane, con momenti di cambiamento, modernizzazione ed emancipazione, con il desiderio d’inserimento, di mobilità sociale. È in questo quadro così che emergono aspetti che fanno mettere in discussione, rielaborare i processi di conservazione e trasmissione, aspetti che si riflettono anche sulla costruzione identitaria dei protagonisti della migrazione.
Questo complesso cambiamento, come anche i momenti di distacco, il dolore dovuto alla separazione dai propri cari, sono tutti elementi che rendono queste famiglie spesso più deboli, anche rispetto alla capacità educativa delle generazioni più giovani e che possono tradursi in difficoltà, dinamiche e relazioni familiari di vario genere. Gli esempi in tal senso sono molteplici: l’irrigidimento dei genitori nell’impartire ai figli le regole educative, dovuto spesso alla difficoltà di conciliarle con il desiderio di maggiore libertà ed autonomia dei giovani nel contesto migratorio vissuto in alcuni casi dai genitori, come pericoloso, troppo diverso dal proprio di origine; il distacco affettivo e le difficoltà di dialogo che anche per questi motivi, possono nascere tra genitori e figli o tra fratelli; la perdita dell’autorevolezza dei genitori agli occhi dei figli e questo anche in base al successo o agli insuccessi vissuti nell’esperienza migratoria dalle figure genitoriali oltreché nel proprio percorso biografico; un capovolgimento dei ruoli familiari, in cui sono i figli a sostenere i genitori nella società di accoglienza e questo anche grazie alla loro migliore conoscenza della lingua, del funzionamento delle istituzioni, etc..
Sono tutti aspetti che fanno comprendere come le nuove generazioni di migranti possano far nascere nuove e diversa capacità, strategie rispetto a quelle messe in atto dalle generazioni precedenti, per riuscire a conciliare il vecchio ed il nuovo, la tradizione con la modernità.
Le giovani generazioni sembrano pertanto abbiano il compito, come anche la responsabilità, di innescare il confronto, la negoziazione o ri-negoziazione di quanto recepito dalle generazioni precedenti, anche a costo di generare volontariamente o involontariamente conflitti intergenerazionali.(5)
Note biografiche
1. King, V., Internetpublikation, “Adolescenza e processi formativi nei giovani con un backgroung di migrazione in Europa. Keynote anlässlich der internationalen Konferenz, Integration fällt nicht vom Himmel. Jugendliche – Identitäten – Kulturen”, Goethe Institut, Torino –2010;
Come spiega bene V. King l’adolescenza è certamente una fase di cambiamento che comporta una differente percezione sia di sé stessi che della propria famiglia.
È un momento in cui gli adolescenti possono scoprire un approccio riflessivo sia rispetto alla propria storia che a quella familiare, sviluppando rispetto a queste anche un senso analitico, critico.
2.Per “capitale sociale” ci si rifà alla definizione di P. Bordieu (“Ökonomisches Kapital, kulturelles Kapital, soziales Kapital” in “ Kreckel R. “Soziale Ungleichkeiten”, Otto Schwarz Co., Göttingen, 1983 pp. 183-198) da intendersi quindi come quell’insieme di risorse che permettono agli individui di realizzare i propri obiettivi personali o collettivi, attraverso il sostegno di reti sociali, gruppi, associazioni, etc. Di queste risorse reali o potenziali fanno parte anche le informazioni sul nuovo contesto (es. su sistemazioni lavorative, abitative,), sulle norme sociali esistenti in tale contesto. La disponibilità di capitale sociale ha pertanto un doppio valore per i migranti: da una parte quello di facilitare, attraverso obblighi ed aspettative reciproche, la cooperazione tra gli individui; in secondo luogo, quello di collegare questi ultimi nuovamente ad un contesto sociale e ad una collettività. Oltre al capitale sociale l’autore introduce il concetto di “capitale economico” e “culturale”.
Il primo si riferisce a quello di cui dispone il soggetto in forma di reddito, beni, proprietà… Il secondo fa invece riferimento ai suoi titoli accademici socialmente riconosciuti, come anche ai beni culturali di cui dispone (es. libri, opere d’arte, dischi.), all’habitus culturale in cui è cresciuto e vive, aspetto per il quale fondamentale risulta essere la provenienza sociale e la conseguente forma di socializzazione sperimentata nel proprio ambiente. Il capitale culturale viene infatti trasmesso in primis dalla famiglia nella fase di socializzazione primaria. La trasmissione intergenerazionale di questo capitale è una determinante fondamentale, secondo l’autore, rispetto al successo scolastico dei giovani.
Questi tre capitali – secondo P. Bordieu – concorrono alla formazione di un ultimo tipo di capitale, quello “simbolico” (o habitus). Quest’ultimo rappresenta la posizione che l’individuo riveste nella gerarchia sociale, il prestigio di cui gode all’interno di questa, oltreché come lo stesso viene da questa percepito.
I diversi tipi di capitali, secondo la teoria dell’autore, sono trasferibili tra di loro, per quanto sia necessario per questo un processo di trasformazione. Dato che attraverso il capitale economico è possibile acquisire gli altri, P. Bordieu considera questo come il principale tra i quattro.
Tanto quanto questi ultimi anche loro si sforzano di raggiungere il successo scolastico e successivamente quello professionale, dovendo però, nella maggior parte dei casi, faticare maggiormente non avendo sempre alle spalle genitori o familiari in grado di sostenerli completamente a causa della mancanza di tempo o del capitale culturale e sociale adeguato a farlo. Sono spesso figure genitoriali che la migrazione ha reso comunque sia più fragili, insicure sia a livello personale che sociale.
3 Cfr. Apitzsch U., “Die Migrationsfamilie: Hort der Tradition oder Raum der Entwicklung interkultureller biographischer Reflexivität?”, in “Das Soziale gestalten. Über Mögliches und Unmögliches der Sozialpädagogik”, Verlag für Sozialwissenschaften, Wiesbaden, 2006, p. 251;
4 Tognetti Bordogna, M., op.cit. 2007;
5 Tognetti Bordogna, M., op.cit. 2007; pp.143-157
(immagine tratta da Corriere della sera direttamente dall’autrice dell’articolo,il giornale si esonera da ogni responsabilità relativa al Copyright)