Le altre guerre nel mondo

Le altre guerre nel mondo
Fonte immagine: Staff Sgt. Adriana M. Diaz-Brown/Wikimedia Commons

di Donatello D’Andrea

Non solo Ucraina. Dalla Siria alla Nigeria, passando per il Myanmar (l’ex Birmania) e l’Etiopia. Secondo l’Armed conflict location & event data project, un’organizzazione indipendente che si occupa di raccogliere dati non aggregati per monitorare i conflitti, al momento ci sono ben 59 guerre nel mondo.

Alcuni di questi conflitti vanno avanti da decenni, altri avvengono in luoghi e contesti a noi sconosciuti – ma non ai governi che le finanziano. Tra i motivi c’è un po’ di tutto: lotte per il possesso di risorse strategiche, religione, inimicizia e differenze etniche e politiche. In Messico, ad esempio, la guerra dei Narcos, che tiene sotto scacco l’intero Paese, riguarda il commercio di sostanze illegali.

Secondo una classificazione molto usata, ma considerata per forza di cose poco indicativa, esistono tre categorie di conflitti: le guerre maggiori, le guerre, i conflitti minori. Come si determinano queste grandezze? In base al numero di persone che perdono la vita ogni anno a causa della guerra.

I conflitti principali sono 5. Tra di essi c’è la guerra in Ucraina. Seguono quella in Afghanistan, che si è riacutizzato dopo il plateale ritiro degli americani e degli europei, e si svolge tra un fronte conosciuto come “Repubblica islamica dell’Afghanistan”, che è espressione in sostanza del vecchio governo assieme ad altre forze anti-taliban, e lo stato governato dai taliban. In realtà il conflitto riguarda quella piccola parte del Paese rimasto in mano ai guerrieri del Panshir, gli unici a porre una resistenza armata adeguata allo strapotere militare dei talebani.

Il conflitto avrebbe provocato ben 40mila morti ma il problema maggiore è la fame. Dalle sanzioni americane alle devastazioni belliche, come sempre a soffrirne è soprattutto la popolazione civile. Le cronache di quei giorni difficili hanno fatto il giro dei giornali e delle televisioni di tutto il mondo, così come le immagini, tragiche e indimenticabili, come quella dell’uomo attaccato a un aereo in volo.

Altrettanto grave è il conflitto etiope. Il Paese arriva da un trentennio di lotta con l’Eritrea, ma al momento la preoccupazione è tutta sulla regione del Tigré, in cui opera il “fronte della liberazione”.

Un’altra guerra devastante è quella nello Yemen. Dieci anni di guerra hanno ridotto il Paese alla fame, con 4 milioni di sfollati e quasi 17 milioni di persone in condizioni di povertà. Si tratta di un conflitto civile dalle radici profonde che ha visto la partecipazione di governo arabi e occidentali i quali supportano le forze governative armandole fino ai denti.

Infine, c’è la guerra nel Myanmar. Da sempre soggetto a colpi di stato improvvisi, il Paese ne ha vissuto un altro di recente. Nel febbraio dello scorso anno i militari hanno preso il potere e hanno ribaltato il governo democratico birmano. Decine di migliaia di persone sono state arrestate e un migliaio uccise.

E questi sono solo i conflitti principali. Degli altri 18 considerati rilevanti, ben 14 si trovano in Africa e contano migliaia di morti ogni anno. Dalla Nigeria alla Somalia, passando per il Congo e il Sud Sudan, tanto per citarne alcuni. Altri due si trovano in Asia (Iraq e Siria), uno è in Sud America (il conflitto civile in Colombia) e l’altro è in Centro/Nord America (la guerra della droga in Messico). Degli altri conflitti considerati minori, 11 sono in Asia e 8 in Africa.

Le aree di crisi individuate in Africa sono circa 20. Secondo il già citato ACLED, sono 12 i Paesi che dal 1 gennaio 2021 all’8 aprile 2022, hanno superato la soglia dei mille morti per violenze armate: Nigeria (circa 10mila), Etiopia (8mila), Repubblica Democratica del Congo (5mila), Somalia (3500), Burkina Faso (circa 3000), Mali (2300), Sud Sudan (2160), Repubblica Centrafricana (1801), Sudan (1342), Niger (circa 1300), Mozambico (1276) e Camerun (1141). Complessivamente le vittime di conflitti sono state oltre 46mila di varia natura e decine di milioni di profughi. Inoltre, secondo un rapporto dell’Istituto dell’Economia e della Pace, il Medi Oriente e il Nord Africa hanno rappresentato il 40% delle morti legate al terrorismo in tutto il mondo tra il 2007 e il 2021.

Come si classifica una guerra

Quello legato ai decessi non è l’unico modo per classificare una guerra. Ci sono altri metodi che tengono in considerazione la geografia, chi sta combattendo e l’intensità. Il criterio geografico, o dell’estensione, suddivide i conflitti in tre categorie: mondiale, regionale e locale. Nel primo caso la catalogazione risponde a un’estensione in più teatri in contemporanea o in continenti diversi mentre nel secondo il suo svolgimento deve interessare un solo teatro operativo e deve coinvolgere almeno una media potenza regionale più altre potenze minori della stessa regione. Nell’ultimo caso, invece, si tratta di un limitatissimo confronto che coinvolge solo due potenze e interessa una porzione di territorio limitato.

L’altro criterio, quello che interessa “chi sta combattendo” suddivide le guerre in due categorie: conflitto asimmetrico e simmetrico. La prima definizione è legata alla classica guerra che coinvolge tendenzialmente due stati e i loro eserciti regolari, mentre la seconda indica in genere un conflitto che avviene fra uno stato dotato di esercito e gruppi meno organizzati o milizie locali. La guerra al terrorismo forse l’esempio più evidente di conflitto asimmetrico.

Un’altra classificazione concerne i mezzi impiegati. In questo caso si distingue tra guerre non convenzionali, che avvengono fra due o più potenze che dispongono di armi di distruzione di massa e sono disposte a impiegarle fin dall’inizio dello scontro – si tratta di un conflitto fortunatamente ipotetico, visto che non ne esistono esempi fino ad ora – e guerre convenzionali, nelle quali le parti non dispongono di armi di distruzione di massa (o rinunciano al loro impiego).

Infine, si potrebbe distinguere un conflitto in base alla sua intensità. Se è ad alta intensità (HIC, ovvero high intensity conflict) significa che raggiunge la soglia dei 1000 morti – non necessariamente in battaglia – in un anno, e si caratterizza per l’uccisione indiscriminata di civili non combattenti. In caso contrario, si tratta di un conflitto a bassa intensità (LIC), cioè caratterizzato da un graduale cambiamento della natura del conflitto, da guerriglia a conflitto convenzionale e le cui vittime non superano le mille unità. C’è anche una terza categoria di conflitto che è quello “politico violento“, in genere caratterizzato da una progressiva escalation da un confronto non violento fra attori, all’utilizzo di strategie violente.

Insomma, le guerre nel mondo sono varie, diverse e soprattutto numerose. Tutte, però, hanno almeno un elemento in comune: coloro che ne subiranno le conseguenze maggiori, cioè i civili.

Redazione Radici

Donatello D'Andrea

Classe 1997, lucano doc (non di Lucca), ha conseguito la laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e frequenta la magistrale in Sistemi di Governo alla Sapienza di Roma. Appassionato di storia, politica e attualità, scrive articoli e cura rubriche per alcune testate italiane e internazionali.

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