Il tandem Draghi-Macron è la soluzione europea al conflitto?

Il tandem Draghi-Macron è la soluzione europea al conflitto?
Fonte immagine: Quirinale/Wikimedia Commons

di Donatello D’Andrea

Non è un segreto che uno dei Paesi europei più attivi sul fronte della guerra in Ucraina sia la Francia di Macron. Il Presidente, recentemente rieletto all’Eliseo dopo una battaglia all’ultimo voto contro Marine Le Pen, ha usato la politica estera sul fronte interno, dipingendosi un profilo altamente istituzionale, vantando un canale privilegiato con Mosca. Infatti, apparentemente Macron è l’unico presidente europeo a conservare un canale di comunicazione con Vladimir Putin.

Inoltre, il francese, assieme alla Germania, che ora sembra si stia tirando indietro – in questo senso parte della responsabilità è dovuta allo sfilacciato fronte interno e, chi l’avrebbe mai detto, alla debolezza del governo di coalizione retto dal cancelliere Scholz – coltiva da settimane una “linea politica alternativa” ribadita anche dalle parole successive alla telefonata tenuta con Xi Jinping.

Mentre Draghi era a Washington, infatti, Macron parlava al telefono con il leader cinese. Due leader europei hanno ribadito alle due superpotenze mondiali una linea che, sentendo le parole di entrambi, sembrerebbe voler riaffermare una sorta di autonomia decisionale europea.

Macron ha saggiamente detto che per porre fine alla guerra “non bisogna umiliare la Russia” mentre Draghi con Biden ha parlato di una transizione verso un accordo di pace. Si dice che l’ex BCE abbia addirittura invitato l’americano a fare una telefonata a Putin. Il Capo del governo ha più volte sottolineato come le aspettative dell’Italia e dell’Europa siano per dei “negoziati credibili”, dunque non pretestuosi e fallaci. Questo significa – o dovrebbe significare – che Ucraina e Russia non possono, per forza di cose, continuare a trattare senza un Paese o un’organizzazione terza che possa mediare tra le parti. Senza un garante, le parti continueranno ad accusarsi reciprocamente di sabotare ogni passo in avanti e il conflitto non troverà mai una soluzione pacifica.

Parigi e Roma parlano la stessa lingua. Se Washington ha intenzione di impedire che i russi possano vantare una – seppur minima – vittoria militare, Parigi e Roma vogliono da un lato impedire che l’Ucraina sortisca – rendendo inutile ogni tentativo di trattativa – e dall’altro evitare che si ripeta l’errore di Versailles del 1919 nei confronti di Mosca. Si tratta di una intuizione intelligente, la quale rappresenta uno dei rari casi in cui un leader faccia ricorso alla storia in modo corretto, evitando cioè di ripetere gli stessi errori del passato.

Ciò che conta, però, è il tentativo di affermazione di una politica estera comune tra due Paesi europei, recentemente uniti dal Trattato del Quirinale. Con la Germania momentaneamente ai margini, Roma sta cercando di muovere per la prima volta i fili della politica europea. Le intenzioni sono lodevoli, occorrerà però mantenere una certa coerenza, evitando di trasformare un’ottima mossa in un fuoco di paglia. Ovviamente ciò non dipenderà dalla sola persona di Mario Draghi, ma dalla capacità del Parlamento, dei partiti e del successore dell’ex BCE a Palazzo Chigi di continuare in questa direzione, affermando la presenza dell’Italia sullo scacchiere europeo, evitando una sortita proprio sul più bello.

Ciò non toglie che la linea adottata dal governo Draghi, che va nella direzione della cordialità atlantica e dell’autonomia decisionale europea, sia uno degli esempi di come si costruisca un abbozzo di politica estera coerente: cordialità dei rapporti con altri Paesi, collaborazione internazionale e stima tra i Presidenti.

Redazione Radici

Donatello D'Andrea

Classe 1997, lucano doc (non di Lucca), ha conseguito la laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e frequenta la magistrale in Sistemi di Governo alla Sapienza di Roma. Appassionato di storia, politica e attualità, scrive articoli e cura rubriche per alcune testate italiane e internazionali.

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