Il ricongiungimento familiare nell’esperienza migratoria

Il ricongiungimento familiare nell’esperienza migratoria

Di Miriam Gigliotti 

L’esperienza migratoria assume nuove e differenti connotazioni nel momento in cui si creano i presupposti affinché chi è rimasto in patria divenga in grado di raggiungere chi è già partito. Il ricongiungimento familiare diventa allora un ulteriore complesso step a sua volta costituito da diversi momenti e fasi, come spiega bene M. Tognati Bordogna :

– una fase preliminare, in cui si inizia a valutare la possibilità di ricongiungere una o più persone della famiglia, prendendo in considerazione sia gli aspetti economici, ma anche quelli soggettivi, emotivi delle persone coinvolte in questa decisione. Raramente si coinvolgono i bambini in questa fase di confronto e di valutazione della scelta proprio per evitare di creare in loro ansie e preoccupazioni precoci;

– una fase di predisposizione, in cui si prepara tutto ciò che serve per affrontare il ricongiungimento familiare, come per esempio i documenti, la sistemazione abitativa adeguata per accogliere i nuovi arrivati;

– una fase di attivazione, in cui si ha il trasferimento e l’arrivo dei nuovi arrivati con la conseguente necessità di facilitare il loro inserimento nel nuovo contesto sociale, ma anche di una rivalutazione dei ruoli e dei compiti familiari;

– la fase di elaborazione del lutto, in cui si affrontano gli aspetti, gli eventuali problemi della nuova convivenza, del nuovo contesto, ma anche di ciò che si è lasciato nel paese d’origine, la sofferenza del distacco e della lontananza da quest’ultimo;

– la fase di articolazione, in cui infine la famiglia si attiva per stabilizzarsi in modo più o meno definitivo nel contesto migratorio, affrontando aspetti quali l’inserimento lavorativo del/dei nuovo/nuovi arrivati, l’inserimento scolastico dei figli, etc.

A queste fasi, infine, se ne deve aggiungere un’ultima individuata da C.E. Sluzky , quella cioè del “periodo degli effetti transgenerazionali” che si rifà agli effetti che l’esperienza migratoria produce sulle generazioni più giovani e che si può tradurre in conflitti culturali tra generazioni di uno stesso nucleo familiare, conflitti dovuti in tanti casi al confronto tra le norme ed i valori della cultura di appartenenza con quelli spesso contrastanti del paese di approdo. Come sottolinea U. Apitzsch ogni soggetto che vive direttamente o indirettamente l’esperienza della migrazione sperimenta quest’ultima in modo differente a seconda della sua età, del genere, della propria posizione tra i figli/fratelli, dando vita a traiettorie migratorie specifiche.

Dalla convivenza nel paese d’origine queste famiglie si trovano a dover affrontare la dolorosa esperienza della partenza di uno o più dei suoi componenti, quelli cioè che dispongono di maggiori opportunità di trovare un’occupazione lavorativa nel paese di emigrazione.

È sempre la famiglia che al proprio interno individua di volta in volta le strategie per far fronte alla destabilizzazione e alle conseguenti difficoltà che derivano da tali distacchi fisici ed emotivi.

Si tratta di partenze, distacchi e ricongiungimenti che generano in molti casi mutamenti significativi nell’intero funzionamento e nell’organizzazione del menage familiare ed è per questo motivo che quando si parla di famiglia in migrazione, bisognerebbe anche parlare di “famiglia patchwork” o di “famiglia transculturale”.

La famiglia ricongiunta risulta diversa rispetto a quella che si era lasciata in patria: ogni componente della famiglia a modo suo è cambiato, cresciuto, chi è partito è cambiato, le relazioni familiari e di genere in tanti casi cambiano.

La struttura familiare viene così a doversi confrontare con nuove leggi, regolamenti, codici culturali e simbolici interni ed esterni, che la portano a dover spesso rimettere in discussione le proprie pratiche quotidiane, il sistema organizzativo familiare come quello valoriale.

Ogni processo di acculturazione e socializzazione parte dall’organizzazione familiare dei suoi componenti e con la loro capacità di accogliere o meno gli elementi del nuovo contesto culturale e sociale, di integrarli con i preesistenti valori e con il proprio universo di riferimento simbolico.

Tutto ciò varia chiaramente a seconda del periodo storico in cui si realizza il progetto migratorio, del contesto geoculturale di provenienza e di destinazione, del genere e della generazione di appartenenza.

Il ricongiungersi in un contesto sociale e culturale diverso da quello di origine, di cui solo uno o alcuni componenti delle famiglia ne conoscono il funzionamento e le pratiche sociali, la lontananza dal sostegno familiare e parentale precedente, l’inserimento dei figli nel nuovo sistema scolastico di cui poco si conosce e rispetto al quale i genitori riescono poco ad essere d’ aiuto, di sostegno, sono tutti aspetti che mettono a dura prova la stabilità e la struttura di coppia oltreché familiare.

Da tutto ciò si comprende allora quante e quali difficoltà porta con sé il ricongiungere la famiglia: difficoltà di tipo psicologico-relazionale legate all’allontanamento dal contesto di origine, dai legami creati in questo prima di emigrare, oltreché le sfide che riserva il nuovo percorso di socializzazione nel contesto di arrivo e nella nuova trama di relazioni da imbastire, per poi passare alle difficoltà che possono essere di natura burocratico – giuridica, legate cioè ai rapporti con le nuove istituzioni, alla documentazione necessaria al soggiorno, agli aspetti burocratici ed amministrativi legati all’abitazione, al sistema scolastico, sanitario e così via.

Sono difficoltà queste ultime che non coinvolgono unicamente i componenti familiari adulti che si ricongiungono, ma anche i figli dei migranti, che devono imbattersi nelle regole del nuovo sistema scolastico all’interno del quale da un giorno all’altro si trovano inseriti, in una lingua e cultura differente rispetto a quella familiare, aspetti che comunque vengono spesso incoraggiati a continuare a mantenere e a conoscere affinché non vadano persi a seguito dell’emigrazione. Si tratta di ragazzi che, nati e socializzati nel contesto di origine, vivono l’esperienza migratoria come una scelta altrui, non come decisione personale e che si trovano così imposto il nuovo contesto di vita, la scuola, il gruppo dei pari, i loro punti di riferimento, tutto ciò senza che in molti casi vi sia alle loro spalle una famiglia in grado di sostenerli, essendo quest’ultima altrettanto estranea al nuovo contesto di vita.

Tutto ciò varia chiaramente in base all’età dei figli nel momento in cui emigrano e si ricongiungono agli altri familiari; le modalità, le tempistiche e le condizioni con cui si realizza tale progetto (es. con chi arrivano, dopo quanto tempo dalla partenza dell’altro/altri familiari, in che situazione giuridica, etc.); il modo in cui sono stati preparati nel contesto d’origine ad affrontare questo cambiamento; quale tipo di accoglienza e di sistemazione è stata preparato per loro nel paese di arrivo.

Si comprende allora come la nascita o l’arrivo dei figli nel contesto migratorio siano due esperienze in grado di modificare l’assetto ed il progetto migratorio familiare.

In tanti casi svanisce l’idea del ritorno in patria e l’arrivo delle c.d. “seconde o terze generazioni”, pone queste ultime di fronte al compito di individuare strategie di inserimento spesso differenti rispetto a quelle dei propri genitori. Questi ultimi, dal canto loro, devono iniziare ad individuare strategie e risorse nuove che aiutino le generazioni più giovani ad inserirsi alla meglio in un contesto socioculturale diverso rispetto al proprio di origine, aspetto che spesso mette in discussione i modelli di riferimento tradizionali, dovendo mettere a confronto tra loro sistemi acquisiti e radicati con sistemi nuovi e diversi che garantiscano una cura responsabile e coerente delle nuove generazioni, è tutto ciò in un contesto socialmente e culturalmente poco conosciuto.

Assume allora un’importanza fondamentale la modalità con cui norme e valori familiari vengono proposti dai nonni, dai genitori ai figli o nipoti, il modo cioè in cui vengono “calibrati” in riferimento agli inputs del contesto migratorio.

Tutto ciò fa comprendere lo sforzo che questo complesso processo richiede ad ogni singolo componente della famiglia in migrazione, che dovrebbe trovare un giusto equilibrio tra il non ancorarsi rigidamente ai propri modelli educativi e normativi e l’accettazione passiva ed acritica di quanto proposto dalla società di accoglienza.

A queste difficoltà se ne aggiungono poi delle altre legate al ricongiungimento:
quella della ridefinizione dei ruoli intra-familiari, dei compiti di ognuno al fine di ricompattare l’unità familiare frammentata dall’assenza di chi era partito in precedenza, per tornare a conoscersi, a riconoscersi, se la distanza è durata per molto tempo, a riconquistare il proprio ruolo di “marito”, “moglie”, “figlio/a”, dovendo spesso andare a ringoziarlo, a comprendere quali siano “ora e qui” le aspettative del proprio partner, del genitore o del figlio, tutti aspetti non di poco conto quando bisogna andare a ricreare una famiglia a condizioni ed in un contesto differente rispetto a quello in cui si era formata inizialmente.

Si tratta di un processo non sempre facile e che in tanti casi può tradursi in tensione, depressione, conflitto di coppia o intergenerazionale, facendo nascere la necessità all’interno della famiglia di ripensare, ruoli, legami ma anche modelli educativi.

Anche per i figli l’esperienza dell’emigrazione e del ricongiungimento può comportare significativi mutamenti anche di tipo relazionale come per esempio rispetto ai genitori, con i quali, a causa della frequente e prolungata assenza si è persa ormai intimità, conoscenza, confidenza e che in alcuni casi possono aver perso parte della propria autorevolezza ai loro occhi.

Sarà questo allora un rapporto da ridefinire, da reinventare una volta che si tornerà a vivere sotto lo stesso tetto. Dall’altra parte i figli vivono poi un altro tipo di sofferenza, quella cioè derivante dall’allontanamento dalle persone che fino ad allora si erano prese cura di loro durante l’assenza del/dei genitore/i, oltreché il dolore per il distacco dal gruppo dei propri coetanei.

Con l’arrivo dell’intera famiglia nel contesto migratorio cambia anche la “visibilità sociale” dell’immigrato/immigrata, cambia la relazione con il mondo esterno, la famiglia entra maggiormente a far parte della scena sociale e questo in maniera più duratura, stabile, con esigenze che divengono più complesse, tra le quali quella di usufruire maggiormente delle risorse offerte dal territorio (es. beni, servizi, assistenza sanitaria, esigenze lavorative, scolastiche, etc…) e tutto ciò anche al fine di favorire l’inserimento dei figli arrivati successivamente o nati in loco.

E ancora, è la presenza dei figli nel contesto migratorio che comporta per i genitori il dover fare i conti con le proprie competenze linguistiche, ma anche con la propria identità culturale . Bisogna allora iniziare a riprogettare il proprio futuro sia per sé che per le nuove generazioni, bisogna impegnarsi in modo nuovo e diverso nel “lavoro genitoriale”, di trasmissione culturale e valoriale, bisogna cercare di attutire il più possibile a sé e ai propri figli lo shock che si genera nel confronto con il nuovo ambiente linguistico e culturale in tanti casi vissuto con sentimenti di solitudine, isolamento sociale, emarginazione. Tutto questo fa comprendere quanto sia complesso il processo di ricongiungimento familiare e di stabilizzazione della famiglia migrante, quando la migrazione da “individuale” diviene di “popolamento”.

Il ricongiungersi ai propri familiari si presenta infatti non come un semplice “atto burocratico”, ma come un processo biografico e familiare di graduale ed articolato cambiamento, un adattamento che richiede la scoperta di nuove strategie, risorse biografiche, di un nuovo modo di relazionare spesso ormai anche a livello transnazionale.

Redazione Radici

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