Guelfi e Ghibellini per gli eruditi, Coppi e Bartali per quelli del bar. La sostanza non cambia. La deriva verso l’italica contrapposizione era prevedibile in un paese che è o si finge smemorato anche a fronte di fatti che, come l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, richiederebbero la serietà di analisi che meritano le tragedie della storia.

E, soprattutto, non perde l’occasione per fare sfoggio di una preparazione e di una competenza che non possiede e perciò improvvisa dando aria ai denti.
In questo ardito esercizio ora dopo ora, giorno dopo giorno, riaffiora l’antico vizio del “né né”, dapprima cauto poi sempre più esibito e provocatorio come argomentazione di chi non avendo il coraggio di prendere posizione sceglie la distanza, anzi l’equidistanza per cui Putin è un criminale che minaccia di scatenare la terza guerra mondiale ma anche gli altri non sono senza colpe.

E qui si ripropone un già visto che nel Circo Barnum dei dibattiti, televisivi e non, va in scena con una sicumera collaudata e spesso disgustosa complice la selezione degli oratori assortiti in modo da animare il tipo di spettacolo.
Per chi abbia la curiosità di andare a frugare nella memoria il copione è sempre lo stesso.

L’esordio è all’insegna della solidarietà incondizionata per la vittima. Appena qualche giorno e si aprono i primi varchi, operazione alla quale provvedono personaggi con scarsa conoscenza dell’argomento trattato e di discutibile onestà intellettuale. Di alcuni s’era persa felicemente la memoria ma si è provveduto a rispolverarli, trascurando con disinvoltura i loro trascorsi.

A questo proposito c’è un precedente che, senza avere le caratteristiche drammatiche di quanto sta accadendo in Ucraina, aiuta a comprendere il fenomeno. Chi ha vissuto gli anni di piombo non fatica a ricordarlo. Anche in quell’occasione si cominciò condannando le uccisioni e le gambizzazioni e le altre imprese di sangue delle diverse organizzazioni terroristiche, ma poi si scivolò progressivamente nel né né per cui non di terroristi si trattava ma di “compagni che sbagliano” e se la vittima era collocabile sul versante del bieco capitalismo allora i torti e le ragioni andavano suddivisi.

Fino a quando non si è arrivati all’assemblea della Fiat Stura, quando, alla tribuna Bruno Trentin, comparve lo striscione con sopra scritto “contro ogni terrorismo per migliorare questo Stato”.

E fu quello l’inizio dell’equidistanza tradotta nella famigerata posizione “né con lo stato né col terrorismo” che diede fiato a lungo ai sostenitori del nè né che poi sappiamo come si concluse. Una lezione? Nient’affatto. A distanza di oltre quarant’anni quel gioco perverso dell’andare controcorrente sopravvive con rinnovata ebbrezza.

Ma c’è di più. Con un minimo di attenzione ci si può rendere conto che sul fronte del né né gli attori sono quelli di sempre, i quali mostrano una spiccata propensione a riandare indietro nella storia a seconda delle convenienze. Con ciò dimenticando o fingendo di dimenticare la lunga notte dello stalinismo e poi Budapest, Praga, i gulag. Da dove viene appunto Vladimir Putin. Ma questo sembra contare poco.

Come si dice “the show must go on” e il né né trionfa.

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