La Voce del Popolo/ Strette di mano per un confine che unisca

La Voce del Popolo/ Strette di mano per un confine che unisca

Sergio Mattarella è stato eletto il 31 gennaio 2015, entrando in carica il 3 febbraio, quando ha prestato giuramento, mano sulla Costituzione. Sgomberato il campo da un possibile (molto richiesto) bis, si appresta a lasciare il Quirinale al suo prossimo inquilino. O inquilina, come auspicano alcune personalità del mondo della cultura e dello spettacolo. La corsa è iniziata. Il 24 gennaio il Parlamento deciderà a camere riunite chi sarà il nuovo capo di Stato. Voteranno1009 grandi elettori (mancano due, che devono ancora subentrare): 630 deputati, 321 senatori (inclusi quelli a vita) e 58 delegati regionali. Considerato che occorre il “sì” di due terzi dell’assemblea – che nessuno degli schieramenti è in grado di assicurare, a meno che non si punti su un nome condiviso da tutti –, è difficile che la fumata bianca arrivi nei primi tre scrutini (finora gli unici casi in cui ciò è riuscito è stato con Francesco Cossiga nel 1985 e Carlo Azeglio Ciampi nel 1999); più probabile che si punti al quarto appuntamento, quando la soglia scende alla maggioranza assoluta”.

A scriverne è Ilaria Rocchi per “La Voce del Popolo”, quotidiano diretto a Fiume da Roberto Palisca.

“Come sono stati i sette anni di Mattarella al Colle? La comunanza fra italiani e presidente, ma anche lo stile amabile che l’ha caratterizzato, sono racchiusi in quelle indimenticabili battute trasmesse fuori onda durante la registrazione del messaggio al Paese per l’emergenza del Coronavirus, nel marzo 2020, al portavoce che gli chiedeva di sistemarsi il ciuffo, rispose: “Eh Giovanni, non vado dal barbiere neanche io”, alludendo all’isolamento al quale tutti i cittadini erano costretti.

Un sondaggio della Svg, pubblicato ad agosto all’inizio del “semestre bianco”, ha rivelato che il presidente della Repubblica gode di un’ampia fiducia: il 63% degli italiani apprezza l’operato di Mattarella, ben 22 punti in più rispetto a quando era salito al Colle. Soltanto nel 2006, un presidente era stato più popolare (Ciampi), arrivando all’80%. Per il 60% degli intervistati, il politico siciliano è stato efficace nel dare importanza al suo ruolo; per il 59% ha avuto capacità di mediazione, per il 58% ha creato un rapporto di empatia con i cittadini.
Italia più unita e rispettata.

Pacatezza, umanità, ma anche fermezza: il dodicesimo presidente della Repubblica Italiana si è presentato con questo volto fin dall’inizio del suo mandato. Un volto calmo e rassicurante, con lo sguardo sempre rivolto ai cittadini, al bene comune. Il messaggio che lascia in eredità è chiaro: nelle fasi più difficili e impegnative, il Paese deve mettere da parte, a tutti i costi, le divisioni e unirsi, con saggezza, in nome dell’orgoglio e della dignità di essere italiani.
Il Quirinale è diventato un punto di riferimento di un’Italia impaurita e preoccupata. Se è vero che lascia dietro di sé un Paese più forte e rispettato, è altrettanto inequivocabile che chiude un settennato fra i più duri. In un panorama politico complesso, a tratti confuso, si è mosso in modo autorevole e al contempo familiare, saggio ed equilibrato, si è trovato a gestire l’ascesa dei populismi, il loro ribellismo e l’euroscetticismo (l’attuale legislatura si è aperta con l’affermazione eclatante di Movimento 5 Stelle e Lega), crisi di governo (ne ha visti nascere ben cinque: quello di “transizione” di Paolo Gentiloni, dopo le dimissioni di Matteo Renzi; l’Esecutivo giallo-verde di Giuseppe Conte; quello giallo-rosso del Conte bis; e, infine, il Governo di Mario Draghi), tragedie (come il terremoto di Amatrice, la valanga di Rigopiano, il crollo del ponte Morandi, l’incidente del Mottarone, i casi Regeni e Zaki, i migranti, il terrorismo), la pandemia.

Eletto con 665 voti su 910, puntualizzò immediatamente che il suo ruolo sarebbe stato quello di un arbitro cui “compete la puntuale applicazione delle regole”, con assoluta imparzialità. Richiamandosi alle prerogative indicate dalla Costituzione, si è fatto carico di atti significativi, come il veto opposto alla nomina di Paolo Savona a ministro dell’Economia o la scelta di Mario Draghi alla guida di un governo rappresentativo per autonoma iniziativa presidenziale. È stato criticato principalmente per aver spinto al limite l’esercizio dei suoi poteri, pur di evitare avventure dall’esito incerto e garantire la governabilità, motivo per cui è stato sempre contrario a sciogliere anticipatamente le Camere quando più volte gli era stato richiesto di mandare tutti a casa.

Momenti di “svolta”
Non è stato certo un innovatore. Eppure, non sono mancati momenti di svolta. Se portare Draghi a palazzo Chigi, nel febbraio di un anno fa – costringendo i partiti a sostenere a larghissima maggioranza un Governo che opera in una fase di grave emergenza sanitaria – è stato il suo capolavoro politico-istituzionale, è sulle vicende del confine orientale che ha scritto in un certo senso la storia. Da Trieste – quando il 13 luglio 2020 il Narodni dom è stato consegnato ufficialmente alla Comunità slovena e, nello stesso giorno, ha reso omaggio alle vittime delle foibe e ai Caduti sloveni a Gorizia-Nova Gorica (il 21 ottobre scorso, celebrando congiuntamente la nomina a Capitale europea della cultura 2025 delle due città), le strette di mano con il collega sloveno Borut Pahor (pure lui verso l’addio) hanno suggellato i già ottimi rapporti dell’Italia con i suoi vicini. In questi anni, Mattarella-Pahor insieme con i croati (anche se in misura minore) Grabar-Kitarović e Milanović, hanno cercato di costruire un cammino comune, perché la frontiera un tempo divisiva – dal 2015 a oggi, nella ricorrenza del Giorno del ricordo, il presidente italiano non mancherà di sottolineare l’importanza della conoscenza e della corretta e condivisa lettura storica, come base di un’autentica riconciliazione che allontani per sempre la sofferenza delle spaventose violenze del passato – si trasformasse in elemento di raccordo e di collaborazione, punto di incontro e di aggregazione, capace di far crescere insieme, consolidare i rapporti e le tante iniziative che legano i tre Paesi nel contesto delle comuni istituzioni europee.
Al presidente italiano è stata conferita la più alta onorificenza della Repubblica di Slovenia, l’Ordine al merito straordinario. Recentemente, per gli sforzi compiuti in direzione del dialogo, Pahor ha premiato con l’Ordine al merito d’oro il governatore della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, e la senatrice della Tatjana Rojc, con l’Ordine al merito d’argento il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, Ksenija Dobrila, presidente della Skgz-Unione culturale economica slovena, e Walter Bandelj, presidente della Sso-Confederazione delle organizzazioni slovene”. 

Redazione Radici

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