I N  B I L I C O   –   Da “Il tessuto dell’Anima”

I N  B I L I C O   –   Da “Il tessuto dell’Anima”

di Rossella Cerniglia

Si svegliò e sentì quella trafittura di desiderio e di libidine trapassare in lei dal sogno alla veglia, dall’astrattezza alla fisicità, e pensò all’uomo strano che l’aveva provocata.

   Rivide quel viso davanti al suo come nel sogno. Dove si trovavano? Non lo sapeva. Conservava la sensazione del loro essere in un ben determinato posto senza riuscire a definire dove fosse e come fosse fatto quel posto.

   Poi ripercepì o ricordò almeno una caratteristica sicura: era un posto coperto, un posto riparato. Un posto riparato e loro due. Lui la guardava con occhi trasognati, ma pieni della sapienza di chi sa leggere ben dentro l’altro. E ne fu certa: era stato quello sguardo a provocarle quella profonda trafittura. Inspiegabile (perché immediato ) c’era stato anche un fugacissimo incontro del loro sesso, ma così vago, un’impressione, un semplice essere lambiti. Chi era quell’uomo? Da quale finestra dell’essere si affacciava quel volto sconosciuto, da quale sito lontano era venuto a tentarla, a inquietarla con la sua apparizione? Era un uomo di più di cinquant’anni che non aveva mai visto, che non conosceva.

   Sollevò le coperte e abbandonò il letto. Ma durava ancora l’impressione che quell’uomo fosse in qualche modo suo. Suo in qualcosa di assai intimo, di profondo e inspiegabile. E non era un bell’uomo, anzi non lo si poteva neppure definire piacente, a guardar bene. Perché allora quel viso esercitava su di lei una così straordinaria attrazione? Il suo corpo le disse che avrebbe potuto fare all’amore con quello sconosciuto ed anzi, forse, l’avrebbe voluto.

   Fece colazione: prima la preparò accuratamente, poi sedette godendo l’onda di piacevolezza che scorreva nelle sue vene  e il sottile piacere d’essere lì, in quel momento, e che tutto quello che le stava davanti era per lei, e che l’attimo scorreva unicamente in quel piacere di essere lì, con se stessa, coi pensieri e i ricordi, col suo tempo che l’orologio alla parete scandiva, lì con le piccole cose quotidiane che erano la sostanza della sua mattinata di quasi vacanza, dove mancava l’assillo immediato del lavoro.

   Era in una rara sospensione dell’essere o per meglio dire della pena, nell’oasi beata del presente. Pensò che molti tormenti per l’uomo nascono da questo proiettarsi avanti o indietro nel tempo. Invece, il presente era la calma, il godimento immediato, minuto, lo stesso che una briciola e un nido per l’uccello.

   Poi giunse la telefonata di un amico. Il loro parlare si fece intimo, quasi affettuoso. E ricordò l’uomo del sogno, rapportò inspiegabilmente questo a quello senza sapere che nesso ci fosse tra i due: forse, unicamente, si ripresentava la stessa situazione, lo stesso desiderio riviveva. Pensò ai fantasmi che l’uomo genera per dare sostanza ai propri impulsi vitali, fisiologici.

   Come tutto si diluiva, si dispiegava, come anche la sostanza delle cose diradava in sogno, si smemorava, consumando la propria concretezza! Così il sogno diveniva a volte realtà e la realtà sogno. E realtà e sogno si mescolavano inscindibili, si intarmavano l’uno dell’altro, tenevano l’essere in bilico in una specie di limbo trasognato. In ogni cosa le parve di avvertire l’ineluttabile trascendimento dell’essere verso l’idealità.

Redazione Radici

Redazione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.